Uso di nome e cognome come marchio
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.LLI CAMPANILE S.P.A. – ricorrente –
contro
GIULIA INVEST S.R.L. (C.F. (OMISSIS)), AVC S.R.L (C.F.
(OMISSIS)), – controricorrenti –
contro
avverso la sentenza n. 2612/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 06/06/2005;
Fatto
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE1. Il 10 luglio 1992 la F.lli Campanile s.p.a. citò la Lipar s.r.l., l’AVC s.r.l. e la Giulia Invest s.p.a. davanti al Tribunale di Roma.
Espose che la Giulia Invest s.p.a. aveva registrato il marchio “Adriana V. Campanile” per la produzione e il commercio di scarpe, messe in commercio dalle tre società, e che il marchio era nullo per difetto di novità, avendo essa in precedenza registrato il marchio “Campanile” per gli stessi prodotti. L’attrice chiese che fosse inibita alle società convenute la vendita delle scarpe recanti il marchio in questione, oltre al risarcimento dei danni.
Le società convenute resistettero alla domanda, deducendo che il marchio della società attrice è debole, essendo costituito da patronimico coincidente con quello contenuto in altri marchi usati per le stesse categorie di prodotti; che il marchio contestato conteneva il patronimico della stilista, che aveva lo stesso cognome, ed era stato differenziato con l’aggiunta il doppio nome della stilista, ” A.V.”.
2. La domanda attrice è stata respinta nel doppio grado del giudizio di merito. La corte d’appello di Roma, con la sentenza 6 giugno 2005, ha ritenuto che il patronimico dei F.lli Campanile non è un marchio talmente forte, per la grande capacità di identificare i prodotti della società, da non consentire ad altri di fare successivamente uso dello stesso patronimico per contraddistinguere i suoi prodotti negli stessi settori merceologici; che sebbene tra i consumatori più attenti e qualificati il nome in questione evochi immediatamente quello dei noti produttori di cuoio e di scarpe e affini, in una fascia molto ampia di consumatori, meno esperti ed informati, lo stesso nome non è associato immediatamente alla produzione della società appellante; che quel nome è molto diffuso, e non esclude qualsiasi uso successivo da parte di altri che abbia lo stesso nome, quando questo sia adeguatamente diversificato per evitare confusione, come previsto dalla L. marchi, art. 1 bis, introdotto dalD.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480 in ottemperanza alla direttiva CEE 21 dicembre 1988; che perciò le società appellate avevano rinunciato al marchio depositato, e avevano fatto registrare il nuovo marchio “AVC by Adriana V. Campanile”; che in questo nuovo marchio le lettere AVC sono riportate in caratteri maiuscoli e in grassetto, con sensibile intervallo, con completa autonomia grafica e visiva dell’acronimo;
che in esso, infatti, l’acronimo AVC costituisce il cuore del marchio, assegnando agli altri elementi “by Adriana V. Campanile” funzione meramente descrittiva.
3. Per la cassazione di questa sentenza, notificata alla parte personalmente il 17 gennaio 2006, ricorre la F.lli Campanile s.p.a.
per due motivi, illustrati anche con memoria.
Resistono Giulia Invest s.r.l. e AVC. S.r.l. con controricorso il 21 aprile 2006.
La ricorrente ha depositato una memoria dichiarando l’intervenuto fallimento ma ha poi partecipato alla discussione chiedendo l’accoglimento del ricorso.
4. Il ricorso non è stato notificato alla Lipar s.r.l., ed è pertanto inammissibile nei confronti di questa parte. La natura della controversia, che ha ad oggetto l’accertamento della contraffazione e la condanna di diversi soggetti al risarcimento dei danni conseguiti, esclude la sussistenza di un litisconsorzio necessario anche solo processuale, e non pone la necessità di integrare d’ufficio il contraddittorio.
L’intervenuto fallimento della società ricorrente non ha alcun riflesso nel presente giudizio, essendo ben noto che, per antica e costante giurisprudenza, nel giudizio di cassazione, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto dell’interruzione del processo per uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. e segg., onde, una volta instauratosi il giudizio, l’evento altrimenti interruttivo concernente la parte, comunicato dal suo difensore, non produce l’interruzione del giudizio. (Sez. un. 21 giugno 2007 n. 14385).
5. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, artt. 17 e 18 e succ. mod..
Si censura l’affermazione che il patronimico “Campanile” sarebbe un marchio debole, a causa della sua diffusione, e si oppone che il marchio patronimico è per ciò stesso un marchio forte.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione della L. Marchi, artt. 1 bis e 13. Si censura l’affermazione che l’adozione del marchio “AVC by Adriana Campanile”, il luogo del precedente “Adriana V. Campanile”, sarebbe sufficiente a differenziare i marchi e i prodotti nella mente dei consumatori, perchè il cuore del marchio sarebbe l’acronimo “AVC”. Si oppone che il nuovo marchio ha il suo cuore non già nell’acronimo “AVC”, impronunciabile in italiano, ma nel cognome Campanile, e che in caso di marchio forte sono illegittime tutte le variazioni e modificazioni che lascino sussistere l’identità sostanziale del cuore del marchio, ovvero il nucleo ideologico che ne esprime l’idea fondamentale (Cass. 16 luglio 2004 n. 13178).
Il ricorso è fondato sotto entrambi i profili prospettati.
6. Come questa corte ha avuto altra volta occasione di affermare, è da escludere che il marchio costituito dall’uso di un patronimico possa essere considerato debole, sempre che il nome utilizzato non abbia alcuna relazione col prodotto e non venga usato nella consuetudine di mercato per designare una categoria di prodotti (Cass. 14 aprile 2000 n. 4839).
E’ conseguentemente errata l’affermazione contraria alla quale la corte di merito è pervenuta, negando il carattere forte del marchio non già per la sua relazione con il prodotto, ma per il grado di diffusione del nome.
7. E’ altresì errata l’affermazione che il marchio accusato sarebbe stato utilmente differenziato da quello protetto, perchè avrebbe usato il patronimico di quello solo in funzione descrittiva, avendo invece il suo cuore nell’acronimo AVC. Secondo l’insegnamento di questa corte in tema di marchi di impresa, è preclusa, per difetto di novità, la registrazione di un successivo marchio che riproduca il cuore del marchio anteriore costituito dal patronimico, nonostante l’aggiunta di elementi differenziatori di contorno, potendosi determinare un rischio di confusione per il pubblico, quale rischio di un erroneo riferimento dell’attività dell’una all’altra impresa, soprattutto qualora tale eventualità sia resa altamente probabile dall’identità, o quantomeno affinità, dei prodotti (Cass. 21 maggio 2008 n. 13067; Cass. 3 aprile 2009 n. 8119).
8. E’ errato l’assunto che in forza della L. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1 bis, comma 1 introdotto dal D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480 in ottemperanza alla direttiva CEE 21 dicembre 1988 (materia oggi regolata dal D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 21), sarebbe consentito l’inserimento dello stesso patronimico, quantunque già registrato da altri come marchio, nel proprio marchio, purchè ciò avvenga in modo conforme ai principi della correttezza professionale.
La testuale disposizione della norma, che autorizza l’uso del proprio patronimico “nell’attività economica”, non lascia margini di dubbio in proposito: ciò è consentito purchè l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale “e quindi non in funzione di marchio”, ma solo in funzione descrittiva. Ciò significa che il patronimico, in questi casi, non può essere inserito nel marchio, che ha funzione distintiva (attraverso tutti gli elementi di cui è composto) e non già descrittiva (Cass. 22 novembre 1996 n. 10351;
Cass. 22 aprile 2003 n. 6424).
9. In conclusione il ricorso è accolto e la sentenza è cassata. La causa è rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa corte territoriale la quale, nel riesaminare – in altra composizione – la domanda dell’appellante, si atterrà ai seguenti principi di diritto:
– ai fini della qualificazione del marchio patronimico come marchio forte deve aversi riguardo non già alla diffusione del nome, bensì alla sua relazione con i prodotti o servizi contrassegnati;
– in tema di tutela del marchio patronimico, non vale ad escludere la contraffazione la circostanza che nel marchio accusato il patronimico protetto sia accompagnato da altri elementi;
in tema di marchio patronimico registrato, la L. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1 bis, comma 1 introdotto dal D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, nel consentire ai terzi l’uso dello stesso patronimico nell’attività economica in funzione descrittiva, esclude che esso possa essere inserito nel proprio marchio.
PQM
P.Q.M.La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti della Lipar s.r.l.; accoglie il ricorso nei confronti delle altre parti, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla corte d’appello di Roma in altra composizione.
Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della prima sezione della Corte suprema di cassazione, il 12 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011