TUUM contro THUN – Court of Justice 06.12.2016

TUUM contro THUN – COURT OF JUSTICE  06.12.2016

marchio TUUM contro marchio THUN

Il marchio nazionale figurativo anteriore THUN  designa prodotti appartenenti, segnatamente, alla classe 14 ai sensi dell’Accordo di Nizza e corrispondenti alla seguente descrizione: «Metalli preziosi e loro leghe e prodotti in tali materie o placcati non compresi in altre classi; gioielleria, pietre preziose; orologeria e strumenti cronometrici».

Con decisione del 3 settembre 2015 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’EUIPO ha respinto il ricorso con la motivazione che nel caso di specie sussisteva un rischio di confusione.

Nel caso di specie è pacifico tra le parti che i prodotti in parola sono di norma venduti secondo modalità che consentono all’acquirente di vedere il marchio. Peraltro, nel caso in cui, all’atto dell’acquisto, il cliente sia assistito da un gioielliere, che pronunci i segni in questione, questi sarà un professionista in grado di spiegare la diversa origine dei prodotti.

 Alla luce delle considerazioni che precedono, il motivo unico della ricorrente deve essere accolto e la decisione impugnata deve essere annullata, in conformità al primo capo della domanda presentata dalla ricorrente.  Per ciò che riguarda il capo della domanda della ricorrente volto al rigetto dell’opposizione, occorre rilevare che la ricorrente chiede in sostanza al Tribunale di adottare la decisione che a suo avviso avrebbe dovuto emanare l’EUIPO, ossia una decisione che dichiarasse che non ricorrevano le condizioni per un’opposizione.

 La decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 3 settembre 2015 (procedimento R 2624/20141) è annullata.

TESTO DELLA DECISIONE

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione)

6 dicembre 2016(*)

«Marchio dell’Unione europea – Domanda di marchio dell’Unione europea figurativo TUUM – Marchio nazionale figurativo anteriore THUN – Impedimento relativo alla registrazione – Assenza di rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009»

Nella causa T-635/15,

Tuum Srl, con sede in San Giustino (Italia), rappresentata da B. Saguatti, avvocato,ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da L. Rampini, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO e interveniente dinanzi al Tribunale: Thun SpA, con sede in Bolzano (Italia), rappresentata da L. Sergi e G. Muscas, avvocati,
avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della prima commissione di ricorso dell’EUIPO del 3 settembre 2015 (procedimento R 2624/2014-1), relativa a un procedimento di opposizione tra la Thun e la Tuum,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione),
composto da G. Berardis (relatore), presidente, D. Spielmann e P.G. Xuereb, giudici,
cancelliere: A. Lamote, amministratore
visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 13 novembre 2015,
visto il controricorso dell’EUIPO depositato presso la cancelleria del Tribunale il 2 febbraio 2016,
visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 gennaio 2016,
visto il quesito scritto posto dal Tribunale alle parti e le loro risposte orali in udienza e,
in seguito all’udienza del 15 settembre 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti

1        Il 28 giugno 2013 la Tuum Srl, ricorrente, ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), ai sensi del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1).

2        Il marchio oggetto della domanda di registrazione è il segno figurativo seguente:

3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione appartengono alla classe 14 ai sensi dell’Accordo di Nizza relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Metalli preziosi e loro leghe e prodotti in tali materie o placcati non compresi in altre classi; oreficeria, gioielleria, pietre preziose; orologeria e strumenti cronometrici».

4        La domanda di marchio dell’Unione europea è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 143/2013 del 31 luglio 2013.

5        Il 31 ottobre 2013 la Thun SpA, interveniente, ha presentato opposizione, ai sensi dell’articolo 41 del regolamento n. 207/2009, alla registrazione del marchio richiesto per i prodotti di cui al precedente punto 3.

6        L’opposizione era fondata sul marchio figurativo nazionale anteriore, registrato in Italia il 1° luglio 2009 con il riferimento 1204573, costituito dal segno figurativo seguente:

7        Il marchio anteriore designa prodotti appartenenti, segnatamente, alla classe 14 ai sensi dell’Accordo di Nizza e corrispondenti alla seguente descrizione: «Metalli preziosi e loro leghe e prodotti in tali materie o placcati non compresi in altre classi; gioielleria, pietre preziose; orologeria e strumenti cronometrici».

8        Il motivo dedotto a sostegno dell’opposizione era quello di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

9        Con decisione del 29 agosto 2014, la divisione di opposizione ha accolto integralmente l’opposizione, dichiarando che sussisteva un rischio di confusione nel caso di specie.

10      Il 13 ottobre 2014 la ricorrente ha proposto ricorso dinanzi all’EUIPO avverso la decisione della divisione d’opposizione, ai sensi degli articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009.

11      Con decisione del 3 settembre 2015 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’EUIPO ha respinto il ricorso con la motivazione che nel caso di specie sussisteva un rischio di confusione. A tal fine, essa ha considerato quanto segue:
–        il pubblico di riferimento era situato in Italia ed era costituito sia da specialisti sia dal grande pubblico, il cui livello di attenzione variava tra medio ed elevato, in funzione del prezzo dei prodotti interessati;
–        i prodotti contrassegnati dai marchi in conflitto erano sostanzialmente identici;
–        i segni erano complessivamente simili, in forza delle loro somiglianze visiva e fonetica, mentre non era possibile stabilire alcun nesso concettuale tra di essi, in considerazione della loro mancanza di significato derivante, per quanto riguarda il marchio richiesto, dall’assenza di prova del fatto che il pubblico di riferimento, o una parte consistente di esso, riconoscesse nell’elemento «tuum» un termine latino.

Conclusioni delle parti

12      Tenuto conto delle precisazioni effettuate in sede di udienza, come risposta a taluni quesiti orali sottoposti dal Tribunale, la ricorrente chiede che il Tribunale voglia:
–        annullare la decisione impugnata;
–        respingere definitivamente e interamente l’opposizione diretta contro la registrazione del marchio richiesto per i prodotti rivendicati nella classe 14;
–        condannare l’EUIPO e l’interveniente alle spese, ivi comprese quelle sostenute nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso.

13      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:
–        respingere il ricorso;
–        condannare la ricorrente alle spese.

14      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:
–        respingere il ricorso;
–        confermare la decisione impugnata;
–        dichiarare irricevibile la domanda della ricorrente intesa al rigetto dell’opposizione;
–        condannare la ricorrente alle spese.

In diritto

15      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce un unico motivo, attinente alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

16      Prima di esaminare tale motivo, occorre pronunciarsi in merito alla ricevibilità della ricerca di mercato che la ricorrente ha accluso al ricorso e che viene contestata dalle altre parti in causa.
Sulla ricerca di mercato allegata al ricorso

17      La ricorrente ha accluso al ricorso una ricerca di mercato realizzata nel 2012 e intesa a comprovare il fatto che il pubblico pertinente non confonde i marchi in conflitto e che essi sono coesistiti pacificamente sul mercato.

18      Come osservano giustamente l’EUIPO e l’interveniente, tale ricerca di mercato, che è stata presentata dalla ricorrente per la prima volta nel contesto del procedimento dinanzi al Tribunale, non può essere presa in considerazione e deve essere respinta in quanto irricevibile. Infatti, il ricorso dinanzi al Tribunale ha ad oggetto il controllo di legittimità delle decisioni adottate dalle commissioni di ricorso dell’EUIPO ai sensi dell’articolo 65 del regolamento n. 207/2009, ragion per cui la funzione del Tribunale non è quella di riesaminare le circostanze di fatto alla luce dei documenti presentati dinanzi ad esso per la prima volta. Detto documento deve essere quindi respinto senza che sia necessario esaminare il suo valore probatorio [v., per analogia, sentenza del 14 aprile 2016, Henkell & Co. Sektkellerei/EUIPO – Ciacci Piccolomini d’Aragona di Bianchini (PICCOLOMINI), T-20/15, EU:T:2016:218, punto 53 e giurisprudenza citata].

19      Di conseguenza, ai fini del presente procedimento, non si può tener conto della ricerca di mercato in questione.
Sul motivo unico tratto dalla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009

20      Nell’ambito del suo motivo unico relativo alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, la ricorrente sostiene che la commissione di ricorso è incorsa in errori nella valutazione della somiglianza sia dei prodotti sia dei segni, che hanno inciso sulla sua conclusione secondo la quale nel caso di specie sussiste un rischio di confusione.

21      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

22      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio con un marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore. Inoltre, a norma dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), sub ii), del regolamento n. 207/2009, si intendono per marchi anteriori i marchi registrati in uno Stato membro la cui data di deposito sia anteriore a quella della domanda di marchio dell’Unione europea.

23      Secondo una giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente legate tra loro. Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione dev’essere valutato globalmente, in base alla percezione dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi da parte del pubblico di riferimento, tenendo conto di tutti i fattori che caratterizzano il caso di specie, in particolare dell’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi designati. [v. sentenza del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T-162/01, EU:T:2003:199, punti da 30 a 33 e giurisprudenza citata].

Sul pubblico di riferimento

24      Secondo la giurisprudenza, nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione occorre prendere in considerazione il consumatore medio della categoria di prodotti o di servizi interessata, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre anche tener conto del fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria dei prodotti o servizi di cui trattasi [v. sentenza del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI – Altana Pharma (RESPICUR), T-256/04, EU:T:2007:46, punto 42 e giurisprudenza citata].

25      Al punto 14 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha ritenuto che, dato che il marchio anteriore era registrato in Italia, il pubblico di riferimento fosse situato nel territorio di quello Stato membro. Atteso che i prodotti interessati dai marchi in conflitto erano destinati sia a specialisti nel settore della gioielleria sia al grande pubblico e che tali prodotti avevano prezzi variabili, tale commissione ha aggiunto che il livello di attenzione del pubblico di riferimento era medio per i prodotti di prezzo più contenuto mentre era elevato per quelli più costosi.

26      Occorre confermare queste constatazioni, che, del resto, non sono realmente contestate dalle parti. In effetti, se la ricorrente fa valere che il pubblico di riferimento è più attento quando si tratta di acquistare gioielli di prezzo assai elevato, è giocoforza constatare che la definizione fornita dalla commissione di ricorso tiene conto di questa circostanza.
Sulla comparazione dei prodotti

27      Ai punti da 15 e 18 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha considerato che i prodotti contraddistinti dal marchio richiesto erano sostanzialmente identici a quelli designati dal marchio anteriore, dal momento che i loro rispettivi enunciati coincidevano, con l’unica eccezione dell’«oreficeria», che figurava unicamente nell’elenco attinente al marchio richiesto, ma era molto affine, se non identica, alla «gioielleria» coperta dal marchio anteriore.

28      La ricorrente non mette in discussione tali affermazioni, sebbene sostenga che, in realtà, il marchio anteriore riguarda prodotti molto specifici, meno preziosi dei suoi, e differenti da questi ultimi, i quali, a suo parere, sono destinati ad un pubblico diverso, tramite altri canali di distribuzione.

29      L’EUIPO e l’interveniente ribattono che la commissione di ricorso si è correttamente fondata sui prodotti per i quali era stato registrato il marchio anteriore. L’interveniente aggiunge che, ad ogni modo, gli argomenti della ricorrente attinenti alle differenze tra i prodotti interessati sono errati.

30      Si deve rammentare che, per costante giurisprudenza, il confronto dei prodotti previsto dall’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 deve riferirsi alla descrizione dei prodotti designati dal marchio anteriore e non ai prodotti per i quali questo marchio è stato effettivamente utilizzato, a meno che detto marchio non sia già soggetto all’obbligo dell’utilizzo, a norma dell’articolo 42, paragrafi 2 e 3, di tale regolamento e che, in seguito ad una richiesta di prova dell’uso effettivo di tale marchio, detta prova sia fornita solo rispetto a una parte dei prodotti o dei servizi per cui il marchio anteriore è stato registrato [v. sentenza del 12 dicembre 2014, Selo Medical/UAMI – biosyn Arzneimittel (SELOGYN), T-173/13, non pubblicata, EU:T:2014:1071, punto 19 e giurisprudenza citata].

31      Nel caso di specie non poteva essere presentata alcuna domanda di prova dell’uso effettivo del marchio anteriore, poiché quest’ultimo usufruiva del periodo di tolleranza di cinque anni a decorrere dalla sua registrazione previsto dall’ultima parte della prima frase dell’articolo 42, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, applicabile ai marchi nazionali anteriori in forza del paragrafo 3 di detto articolo.

32      La ricorrente riconosce questa circostanza, ma afferma che occorrerebbe nondimeno tener conto del fatto che i prodotti protetti dal marchio anteriore e quelli designati dal marchio richiesto non coincidono e si rivolgono a pubblici diversi.

33      Ebbene, un argomento del genere non può essere seguito, giacché rimette in discussione la scelta del legislatore secondo cui un marchio registrato da meno di cinque anni al momento in cui viene depositata la domanda di marchio dell’Unione europea protegge tutti i prodotti e i servizi per cui è stato registrato, a prescindere dall’uso che ne sia stato concretamente fatto.

34      Peraltro, occorre far notare che l’argomento addotto dalla ricorrente, secondo cui essa vende esclusivamente prodotti preziosi, è irrilevante, in quanto essa non ha affatto circoscritto la sua domanda di marchio dell’Unione europea a tali prodotti. Pertanto, qualora essa ottenesse la registrazione del marchio richiesto, sarebbe autorizzata ad utilizzarlo per qualsiasi tipo di prodotti contemplati da suddetta domanda, ivi inclusi prodotti simili, o addirittura identici, a quelli dell’interveniente.

35      Alla luce delle suesposte considerazioni occorre confermare la constatazione della commissione di ricorso secondo cui i prodotti cui si riferiscono i marchi in conflitto sono sostanzialmente identici.
Sulla comparazione dei segni

36      La commissione di ricorso ha ritenuto che i segni fossero complessivamente simili, in virtù delle loro somiglianze visiva e fonetica, mentre la somiglianza concettuale era neutra.

37      La ricorrente afferma che la commissione di ricorso avrebbe dovuto, in un primo momento, compararli in modo unitario e sintetico, e solo in un secondo momento, in modo analitico, tenendo conto delle somiglianze e delle differenze specifiche. Essa aggiunge che le valutazioni svolte dalla commissione di ricorso riguardanti le tre suddette somiglianze sono errate.

38      L’EUIPO e l’interveniente replicano che la commissione di ricorso ha esaminato i segni in conflitto nella loro globalità. L’interveniente precisa che la necessità di procedere a una siffatta valutazione globale non esclude l’esame analitico degli elementi che compongono ciascun segno, e ciò sotto il profilo visivo, fonetico e concettuale.

–       Osservazioni preliminari

39      La valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi da parte del consumatore medio dei prodotti o dei servizi in questione svolge un ruolo determinante nella valutazione globale di detto rischio. A tale proposito, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C-334/05 P, EU:C:2007:333, punto 35 e giurisprudenza citata).

40      La valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e paragonarla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto esaminando i marchi in questione considerati ciascuno nel suo complesso, il che non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico si riferimento da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C-334/05 P, EU:C:2007:333, punto 41 e giurisprudenza citata). È solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili che si può valutare la somiglianza sulla sola base dell’elemento dominante (sentenze del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C-334/05 P, EU:C:2007:333, punto 42, e del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C-193/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:539, punto 42). Ciò potrebbe verificarsi segnatamente quando tale componente può, da sola, dominare l’immagine di tale
marchio che il pubblico di riferimento conserva nella memoria, cosicché tutte le altre componenti del marchio risultino trascurabili nell’impressione complessiva da questo prodotta (sentenza del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C-193/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:539, punto 43).

41      Pertanto, la ricorrente è nel giusto quando asserisce che la somiglianza dei segni va valutata in maniera globale. Tuttavia, come fa correttamente osservare l’interveniente, la suddetta valutazione complessiva può essere preceduta da un esame analitico dei segni in conflitto sotto i profili visivo, fonetico e concettuale, allo scopo, segnatamente, di individuarne gli eventuali elementi distintivi e dominanti.

42      Il primo argomento della ricorrente, quindi, non è idoneo a dimostrare che la commissione di ricorso abbia proceduto in modo errato.
–       Sulla comparazione visiva

43      Ai punti 21 e 29 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha rilevato che i segni in conflitto presentavano una certa somiglianza visiva, in quanto erano entrambi composti da un elemento denominativo consistente in quattro lettere maiuscole, di cui la prima e la terza coincidevano, inserite all’interno di un elemento figurativo caratterizzato da una figura geometrica semplice, circolare per quanto attiene al marchio richiesto e quadrata per quanto riguarda il marchio anteriore. Le differenze derivanti dalle lettere seconda e quarta di ciascun elemento denominativo, dalla collocazione di tali elementi all’interno degli elementi figurativi e dalla presenza di una linea nera orizzontale che sottolinea l’elemento denominativo solo nel marchio anteriore non sono state reputate sufficienti ad escludere l’esistenza di tale somiglianza.

44      La ricorrente rimarca che gli elementi figurativi dei segni in conflitto sono differenti e non trascurabili, che i caratteri impiegati per gli elementi denominativi sono diversi e che questi ultimi elementi si distinguono nella loro lettere seconda e quarta. Pertanto, a suo modo di vedere, tali segni, che sono brevi, non possono essere confusi sul piano visivo.

45      L’EUIPO e l’interveniente ribattono che la commissione di ricorso poteva legittimamente considerare che i segni in conflitto, nonostante talune differenze che essa ha menzionato, fossero simili, in ragione della loro struttura di base, costituita da quattro lettere, con caratteri tipografici simili, che coincidono parzialmente e che figurano all’interno di forme geometriche semplici.

46      In primo luogo, giova rammentare che, secondo la giurisprudenza, quando un marchio è composto da elementi denominativi e figurativi, i primi sono, in linea di principio, maggiormente distintivi rispetto ai secondi, giacché il consumatore medio farà più facilmente riferimento al prodotto in questione citandone il nome, piuttosto che descrivendo l’elemento figurativo del marchio [v. sentenza del 7 febbraio 2013, AMC-Representações Têxteis/UAMI – MIP Metro (METRO KIDS COMPANY), T-50/12, non pubblicata, EU:T:2013:68, punto 29 e giurisprudenza citata]. È proprio questa l’ipotesi che si verifica nel caso di specie, giacché gli elementi denominativi dei segni in conflitto occupano un posto importante all’interno di ciascuno di questi e i corrispondenti elementi figurativi non colpiscono particolarmente l’attenzione.

47      In secondo luogo, va notato che, invero, gli elementi denominativi dei segni in conflitto hanno in comune la struttura, dato che entrambi constano di quattro lettere. Tuttavia, sebbene le loro prime e terze lettere coincidano, le seconde e le quarte differiscono. Inoltre, e soprattutto, nonostante gli elementi denominativi di cui si tratta comincino con la stessa lettera «t» e le lettere «n» e «m» non siano molto diverse, detti elementi producono cionondimeno sul pubblico italiano un’impressione complessiva differente, giacché in italiano è alquanto insolito imbattersi in parole che presentino due lettere «u» consecutive o una lettera «h» preceduta da una lettera «t» e seguita da una «u», come ha asserito la ricorrente in sede di udienza per rispondere a un quesito del Tribunale, senza che le altre parti la smentissero. In virtù del loro carattere inusitato, tali sequenze di lettere, che sono differenti l’una dall’altra, attirano particolarmente l’attenzione del pubblico di riferimento.

48      A questo riguardo, non può avere successo l’argomento, propugnato dall’EUIPO in sede di udienza, secondo cui il pubblico di riferimento rammenta meramente il fatto che i segni in conflitto presentano ognuno una sequenza di lettere inusitata, ma non si ricorda delle differenze tra tali sequenze. In effetti, dal momento che tali sequenze di lettere, insolite e differenti l’una dall’altra, riguardano la metà, se non di più, dei rispettivi elementi dei segni in conflitto, che sono corti, non è concepibile che il pubblico di riferimento non se ne ricordi, sebbene, per costante giurisprudenza, il consumatore medio solo raramente abbia la possibilità di procedere ad un raffronto diretto dei vari marchi, ma debba invece fare affidamento sull’immagine imperfetta che ne ha mantenuto nella memoria (v. sentenza del 26 aprile 2007, Alcon/UAMI, C-412/05 P, EU:C:2007:252, punto 60 e giurisprudenza citata).

49      In terzo luogo, sebbene gli elementi denominativi dei segni in conflitto siano scritti in lettere maiuscole, con caratteri non particolarmente stilizzati, resta il fatto che il marchio richiesto utilizza caratteri più fini e allungati, mentre il marchio anteriore contiene caratteri più spessi, posti in risalto dall’elemento figurativo della sottolineatura.

50      In quarto luogo, gli elementi figurativi al cui interno si collocano gli elementi denominativi differiscono quanto alle loro forme e allo spessore dei loro bordi. Nel marchio richiesto, infatti, si tratta di una circonferenza dal bordo molto spesso, mentre nel marchio anteriore di un quadrato dal bordo fino. Benché entrambe le forme in parola costituiscano figure geometriche semplici, non si può ritenere che la differenza tra un cerchio e un quadrato sfugga al pubblico di riferimento o non sia tenuta a mente da quest’ultimo.

51      In quinto luogo, per quanto attiene alla collocazione dell’elemento denominativo all’interno dell’elemento figurativo, occorre osservare che, nel marchio richiesto, la parola «tuum» appare nel mezzo del cerchio, circostanza che conferisce un’impressione complessiva di simmetria, laddove, nel marchio anteriore, la parola «thun» è posizionata verso il basso del quadrato, il che trasmette un’impressione complessiva di asimmetria.

52      Le differenze testé evidenziate consentono di trarre la conclusione che, considerati ciascuno nel suo complesso, i segni in conflitto non sono simili sul piano visivo, contrariamente a quanto ha deciso la commissione di ricorso.
–       Sulla comparazione fonetica

53      Al punto 22 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha ritenuto che a livello fonetico i segni in conflitto presentassero un alto grado di somiglianza. Al riguardo, a suo avviso, la maggior parte del pubblico di riferimento considera le parole «thun» e «tuum»
come parole straniere e le pronuncia come monosillabi, senza tener conto della lettera «h» del marchio anteriore né della seconda lettera «u» del marchio richiesto. La commissione di ricorso ha aggiunto che, quand’anche il pubblico di riferimento suddividesse la parola «tuum» in due sillabe, la pronuncia di quest’ultima rimarrebbe cionondimeno analoga a quella della parola «thun», giacché la lettera «h» in italiano è muta ed entrambi i segni iniziano quindi con il medesimo suono, prodotto dalle lettere «t» e «u», e terminano con suoni simili, quelli delle lettere «m» e «n».

54      La ricorrente afferma che il pubblico italiano pronuncia il termine «thun» in una sola sillaba, con una cadenza secca e tronca, mentre riconosce nella parola «tuum» un aggettivo possessivo latino, che pronuncia in due sillabe, con una cadenza piana e prolungata. Le impressioni fonetiche complessive prodotte da ciascuno dei segni in conflitto sarebbero dunque diverse, anche tenuto conto della loro brevità.

55      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

56      In primo luogo occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, non può in generale presumersi la conoscenza di una lingua straniera [sentenza del 13 settembre 2010, Inditex/UAMI – Marín Díaz de Cerio (OFTEN), T-292/08, EU:T:2010:399, punto 83; v. anche, in questo senso, sentenza del 24 giugno 2014, Hut.com/UAMI – Intersport France (THE HUT), T-330/12, non pubblicata, EU:T:2014:569, punto 40].

57      Ciò vale in particolare qualora, come nel caso di specie, si tratti di una lingua morta, cui il pubblico pertinente è inevitabilmente meno esposto rispetto ad una lingua straniera vivente e di uso molto diffuso.

58      Sebbene, come fa valere la ricorrente, l’italiano derivi dal latino, e tale lingua sia insegnata nel contesto di taluni studi superiori ed utilizzata in alcune preghiere, tali circostanze non bastano per presupporre che la maggior parte del pubblico pertinente pronunci la parola «tuum» secondo le regole del latino, e quindi in due sillabe.

59      Peraltro, come fa correttamente notare l’interveniente, la circostanza addotta dalla ricorrente che parole in latino come virus, gratis, sponsor, agenda, super, deficit, ultimatum, referendum, ultra, bis e aula magna possano essere di uso corrente è irrilevante ai fini di chiarire se il pubblico di riferimento riconosca la parola «tuum» come appartenente al latino, poiché non è dimostrato che tale parola sia di uso corrente. Del resto, non è provato che il pubblico di riferimento, quando utilizza le suddette parole, sappia che si tratta di espressioni latine.

60      Pertanto, la commissione di ricorso ha ritenuto correttamente che sia la parola «thun» sia la parola «tuum» siano pronunciate come composte ognuna di una sillaba. Essa era nel giusto anche quando ha osservato che le pronunce di ognuna di tali sillabe presentano un elevato grado di somiglianza, poiché cominciano con la stessa consonante «t», seguita foneticamente dalla vocale «u», anche nel marchio anteriore, giacché in italiano la lettera «h» è muta, e che esse terminano con suoni simili, ossia quelli delle lettere «n» e «m». Anche ammettendo che una parte del pubblico di riferimento, davanti alla sequenza di lettere «t» e «h» del marchio anteriore, la quale non esiste in italiano, non si limiti a ignorare la lettera «h», bensì si avvalga, ad esempio, delle regole dell’inglese, occorre considerare che tale modo di procedere riguarderebbe solo un numero limitato di consumatori, dato che la maggior parte impiega, invece, la pronuncia per la quale ha optato la commissione di ricorso.

61      In secondo luogo, ad ogni modo, va osservato che, come fanno notare l’interveniente e l’EUIPO, la commissione di ricorso ha esaminato l’ipotesi che la parola «tuum» sia pronunciata in due sillabe. Le sue considerazioni in proposito, da cui si evince che il grado di somiglianza rimarrebbe elevato anche in un caso del genere, sono condivisibili, giacché la sillaba «tu» produrrebbe lo stesso suono dell’inizio della parola «thun» e la sillaba «um» sarebbe pronunciata in modo simile alla fine di tale parola.

62      In terzo luogo, la ricorrente non può desumere alcun argomento utile dalla sentenza del 16 gennaio 2008, Inter-Ikea/UAMI – Waibel (idea) (T-112/06, non pubblicata, EU:T:2008:10), che essa deduce in giudizio. Infatti, in tale occasione il Tribunale ha certamente constatato che la somiglianza fonetica tra le parole «idea» e «ikea» era debole, nonostante le distinguesse una sola lettera, ma si è a tale scopo fondato sulla sonorità totalmente differente delle consonanti «d» e «k». Nel caso di specie, invece, quand’anche si aderisse alla tesi della ricorrente, ne risulterebbe semplicemente una pronuncia più lunga della vocale «u» nel marchio richiesto, senza che muti in misura significativa la percezione della sonorità.

63      In quarto luogo, per quanto concerne le decisioni emesse dagli organi di primo grado dell’EUIPO che la ricorrente menziona, basti ricordare che, per costante giurisprudenza, le commissioni di ricorso non possono essere vincolate dalle decisioni di organi di grado inferiore dell’EUIPO [v. sentenza del 26 novembre 2015, Nürburgring/UAMI – Biedermann (Nordschleife), T-181/14, non pubblicata, EU:T:2015:889, punto 44 e giurisprudenza citata]. In ogni caso, le decisioni che le commissioni di ricorso dell’EUIPO devono adottare, in forza del regolamento n. 207/2009, relativamente alla registrazione di un segno come marchio dell’Unione europea, rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non in quello di un potere discrezionale. Pertanto la legittimità di dette decisioni deve essere valutata unicamente sul fondamento di tale regolamento e non sulla base di una prassi decisionale precedente. Inoltre, se è pur vero che, alla luce dei principi della parità di trattamento e di buona amministrazione, l’EUIPO deve prendere in considerazione le decisioni già adottate e chiedersi con particolare attenzione se occorra o meno decidere nello stesso senso, l’applicazione di tali principi deve, però, essere conciliata con il rispetto del principio di legalità (v. sentenza del 26 novembre 2015, Nordschleife, T-181/14, non pubblicata, EU:T:2015:889, punti 45 e 46 e giurisprudenza citata).

64      Conseguentemente, la persona che chiede la registrazione di un segno come marchio non può invocare a proprio vantaggio un’eventuale illegittimità commessa in favore di altri al fine di ottenere una decisione identica (sentenza del 10 marzo 2011, Agencja Wydawnicza Technopol/UAMI, C-51/10 P, EU:C:2011:139, punti 75 e 76).

65      Per di più, per motivi di certezza del diritto e di buona amministrazione, l’esame di ogni domanda di registrazione deve essere rigoroso e completo per evitare l’indebita registrazione dei marchi. Tale esame deve avvenire in ogni caso concreto. Infatti, la registrazione di un segno come marchio dipende da criteri specifici, applicabili nell’ambito delle circostanze di fatto del caso di specie, destinati a verificare se il segno di cui trattasi rientri in un impedimento alla registrazione (sentenza del 10 marzo 2011, Agencja Wydawnicza Technopol/UAMI, C-51/10 P, EU:C:2011:139, punto 77).

66      Nel caso di specie, dalla decisione impugnata si desume che la commissione di ricorso ha proceduto ad un esame completo e concreto prima di pronunciarsi sulla somiglianza fonetica tra il marchio richiesto e il marchio anteriore.

67      Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve confermare la constatazione della commissione di ricorso secondo cui, a livello fonetico, i segni in conflitto presentano un alto grado di somiglianza, per lo meno per una parte cospicua del pubblico di riferimento.
–       Sulla comparazione concettuale

68      Al punto 23 della decisione impugnata la commissione di ricorso ha considerato che, in assenza di prove o indizi che il pubblico di riferimento associ l’elemento «tuum» del marchio richiesto ad una parola in latino, i segni in conflitto sono percepiti come parole di fantasia, senza alcun nesso concettuale, il che, sostanzialmente, equivale ad affermare che la somiglianza concettuale è neutra.

69      La ricorrente sostiene che il pubblico di riferimento riconosce nell’elemento «tuum» del marchio richiesto l’aggettivo possessivo latino che significa «tuo», presente in particolare nella versione latina della preghiera «Padre Nostro», laddove l’elemento «thun» del marchio anteriore è percepito come un elemento di fantasia. Ne conseguirebbe che i segni in conflitto sono concettualmente diversi.

70      L’EUIPO e l’interveniente controbattono che non è possibile presumere che la maggior parte del pubblico italiano conosca il significato della parola «tuum» e che gli argomenti dedotti dalla ricorrente a tale riguardo non dimostrano che sia così.

71      In proposito, per le ragioni già esposte ai punti da 56 a 59 supra, non si può ritenere che la maggior parte del pubblico di riferimento riconosca nell’elemento «tuum» un aggettivo possessivo latino.

72      Da ciò si evince che per lo meno un’ampia parte del pubblico di riferimento non attribuisce alcun significato ai segni in conflitto, circostanza che, per costante giurisprudenza, permette di trarre la conclusione che il confronto sul piano concettuale è neutro [sentenze del 29 aprile 2014, Asos/UAMI – Maier (ASOS), T-647/11, non pubblicata, EU:T:2014:230, punto 27; dell’8 luglio 2015, Deutsche Rockwool Mineralwoll/UAMI – Redrock Construction (REDROCK), T-548/12, EU:T:2015:478, punto 71, e del 28 gennaio 2016, Sto/UAMI – Fixit Trockenmörtel Holding (CRETEO), T-640/13, non pubblicata, EU:T:2016:38, punto 86].
–       Conclusioni sulla comparazione dei segni

73      Al punto 24 della decisione impugnata, la commissione di ricorso è giunta alla conclusione che «te[ne]ndo conto delle forti somiglianze esistenti sotto i profili esaminati», i segni in conflitto erano simili. Parimenti, al punto 28 di tale decisione, la commissione di ricorso si è riferita all’esistenza di un’«elevata somiglianza visiva e fonetica».

74      Orbene, non è facile comprendere quali siano queste «forti somiglianze», al plurale, né come mai l’aggettivo «elevata» si applichi anche alla somiglianza visiva. Infatti, ai punti della decisione impugnata specificamente dedicati alla comparazione dei segni sotto i tre profili, visuale, fonetico e concettuale, la commissione di ricorso ha spiegato le ragioni per cui riteneva che esistesse un grado elevato di somiglianza fonetica, che la comparazione concettuale era neutra e che esisteva solo un certo grado di somiglianza visiva. Ebbene, quest’ultima constatazione non equivale affatto a quella di una somiglianza visiva forte o elevata. Si tratta quindi di un errore da parte della commissione di ricorso la quale, quando ha
tratto le conclusioni dalla sua analisi della comparazione dei segni sotto i tre aspetti summenzionati, si è discostata, senza motivo alcuno, dall’esito cui era pervenuta per quanto attiene alla somiglianza visiva.

75      A questo riguardo non appaiono convincenti le tesi propugnate dall’EUIPO e dall’interveniente in sede di udienza per rispondere al quesito scritto del Tribunale che poneva in evidenza la mancanza di coerenza tra, da un lato, il punto 21 della decisione impugnata e, dall’altro, i punti 24 e 28 della stessa. In effetti, considerato il contesto in cui è inserito, l’aggettivo «certa», collocato davanti al sostantivo «somiglianza» all’interno del citato punto 21, possiede un valore di attenuazione, che è assolutamente coerente con le osservazioni formulate dalla commissione di ricorso figuranti nel medesimo punto.

76      Ad ogni modo, per le ragioni esposte ai punti da 46 a 52 supra, occorre smentire la constatazione della commissione di ricorso relativa all’esistenza di una certa somiglianza visiva, stante il fatto che, sotto questo profilo, i segni sono differenti.

77      Tutto ciò premesso, occorre considerare che l’esistenza di una somiglianza tra i segni in conflitto è limitata all’aspetto fonetico, rispetto al quale essa possiede un grado elevato.
Sul rischio di confusione

78      La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza dei fattori che vengono presi in considerazione, e in particolare della somiglianza dei marchi e di quella dei prodotti o dei servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa [sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C-39/97, EU:C:1998:442, punto 17, e del 14 dicembre 2006, Mast-Jägermeister/UAMI – Licorera Zacapaneca (VENADO con riquadro e a.), T-81/03, T-82/03 e T-103/03, EU:T:2006:397, punto 74].

79      Ai punti da 28 a 31 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha ravvisato l’esistenza di un rischio di confusione tra i marchi in conflitto – anche per i prodotti per cui il pubblico di riferimento è più attento a causa del prezzo – a motivo dell’identità dei prodotti stessi, delle somiglianze visiva e fonetica dei segni, che, in questo contesto, essa ha qualificato come elevate (punto 28 della decisione impugnata) e soprattutto dell’impressione globale di somiglianza che tali segni suscitavano (punto 30 della decisione impugnata).

80      In proposito, occorre in primo luogo rilevare che i segni sono differenti sul piano visivo, così come risulta dai punti da 46 a 52 supra.

81      In secondo luogo, in base alla giurisprudenza, nella valutazione globale del rischio di confusione, l’aspetto visivo, fonetico o concettuale dei segni in conflitto non ha sempre lo stesso valore. Occorre analizzare le condizioni obiettive nelle quali i marchi possono presentarsi sul mercato. L’importanza degli elementi di somiglianza o di differenza tra i segni può dipendere, in particolare, dalle caratteristiche intrinseche degli stessi o dalle condizioni di commercializzazione dei prodotti o dei servizi contrassegnati dai marchi in conflitto. Ove i prodotti contrassegnati dai marchi in questione siano di norma venduti in negozi self-service, in cui è lo stesso consumatore a scegliere il prodotto, facendo quindi affidamento principalmente sull’immagine del marchio apposto su di esso, una somiglianza visiva tra i segni avrà, in linea generale, maggiore rilevanza. Se, invece, il prodotto considerato viene per lo più offerto in vendita oralmente, verrà di norma attribuito più valore ad una somiglianza
fonetica tra i segni [sentenze del 6 ottobre 2004, New Look/UAMI – Naulover (NLSPORT, NLJEANS, NLACTIVE e NLCollection), da T-117/03 a T-119/03 e T-171/03, EU:T:2004:293, punto 49, e del 15 dicembre 2010, Novartis/UAMI – Sanochemia Pharmazeutika (TOLPOSAN), T-331/09, EU:T:2010:520, punto 61].

82      A tale riguardo, come ha fatto opportunamente notare la ricorrente, in particolare in occasione dell’udienza, dalla giurisprudenza risulta anche che il grado di somiglianza auditiva tra due marchi ha un’importanza ridotta nel caso di prodotti commercializzati in modo che, di regola, il pubblico rilevante, al momento dell’acquisto, percepisca in modo visivo il marchio che li designa [sentenze del 14 ottobre 2003, Phillips-Van Heusen/UAMI – Pash Textilvertrieb und Einzelhandel (BASS), T-292/01, EU:T:2003:264, punto 55, e del 21 febbraio 2013, Esge/UAMI – De’Longhi Benelux (KMIX), T-444/10, non pubblicata, EU:T:2013:89, punto 37].

83      Nel caso di specie è pacifico tra le parti che i prodotti in parola sono di norma venduti secondo modalità che consentono all’acquirente di vedere il marchio. Peraltro, nel caso in cui, all’atto dell’acquisto, il cliente sia assistito da un gioielliere, che pronunci i segni in questione, questi sarà un professionista in grado di spiegare la diversa origine dei prodotti.

84      Infine, occorre rilevare che l’interveniente, pur menzionando, in sede d’udienza, la notorietà del marchio anteriore, ha omesso di eccepire e, a maggior ragione, di dimostrare, davanti all’EUIPO, il carattere distintivo accresciuto di esso, sebbene tale fattore, per costante giurisprudenza, avrebbe potuto aumentare la probabilità di esistenza di un rischio di confusione [v. sentenza del 7 maggio 2015, Cosmowell/UAMI – Haw Par (GELENKGOLD), T-599/13, EU:T:2015:262, punto 74 e giurisprudenza citata].

85      Tutto ciò premesso, occorre escludere l’esistenza di un rischio di confusione tra i segni in conflitto per quanto riguarda i prodotti in parola. Ciò vale a maggior ragione per quanto concerne prodotti più costosi tra quelli coperti da tali marchi, ossia prodotti che, in virtù del loro prezzo, rendono il pubblico di riferimento più attento e, di riflesso, meno esposto a questo rischio.
Conclusioni in merito all’esito del ricorso

86      Alla luce delle considerazioni che precedono, il motivo unico della ricorrente deve essere accolto e la decisione impugnata deve essere annullata, in conformità al primo capo della domanda presentata dalla ricorrente.

87      Per ciò che riguarda il capo della domanda della ricorrente volto al rigetto dell’opposizione, occorre rilevare che, per il tramite di tale capo, la ricorrente chiede in sostanza al Tribunale di adottare la decisione che a suo avviso avrebbe dovuto emanare l’EUIPO, ossia una decisione che dichiarasse che non ricorrevano le condizioni per un’opposizione. Di conseguenza, la ricorrente chiede la riforma della decisione impugnata, come prevista all’articolo 65, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009. Tale domanda è quindi ricevibile, a dispetto di quanto asserisce l’interveniente [v., in questo senso, sentenza del 16 gennaio 2014, Investrónica/UAMI – Olympus Imaging (MICRO), T-149/12, non pubblicata, EU:T:2014:11, punto 65 e giurisprudenza citata].

88      Inoltre, giova rammentare che il potere di riforma, riconosciuto al Tribunale in forza dell’articolo 65, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, non ha come effetto di conferire a
quest’ultimo la facoltà di procedere a una valutazione alla quale la commissione di ricorso non ha ancora proceduto. Pertanto, in linea di principio, l’esercizio del potere di riforma deve essere limitato alle situazioni nelle quali il Tribunale, dopo aver controllato la valutazione compiuta dalla commissione di ricorso, sia in grado di determinare, sulla base degli elementi di fatto e di diritto accertati, la decisione che detta commissione era tenuta a prendere (sentenza del 5 luglio 2011, Edwin/UAMI, C-263/09 P, EU:C:2011:452, punto 72).

89      Nel caso di specie sussistono i presupposti affinché il Tribunale eserciti il suo potere di riforma. Dalle considerazioni riprodotte ai punti da 22 a 85 supra si evince infatti che la commissione di ricorso era tenuta a dichiarare che, contrariamente a quanto aveva considerato la divisione di opposizione, nel caso in esame non sussisteva un rischio di confusione. Di conseguenza, mediante riforma della decisione impugnata, occorre respingere l’opposizione.
Sulle spese
90      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’EUIPO e l’interveniente sono rimaste soccombenti, occorre condannarle alle spese, conformemente alla domanda della ricorrente.
91      Inoltre, poiché la ricorrente ha chiesto che l’EUIPO e l’interveniente siano condannati anche alle spese da essa sostenute durante il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso, si deve ricordare che, ai sensi dell’articolo 190, paragrafo 2, del regolamento di procedura, le spese indispensabili sostenute dalle parti per il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso sono considerate come spese ripetibili. Pertanto, occorre condannare l’EUIPO e l’interveniente a sopportare anche dette spese.
92      Per quanto riguarda la ripartizione delle spese, sarà operata un’equa valutazione delle circostanze di specie decidendo che l’EUIPO e l’interveniente sopportino ciascuno, oltre alle proprie spese, la metà di quelle sostenute dalla ricorrente, sia dinanzi al Tribunale sia dinanzi alla commissione di ricorso.
Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione)

dichiara e statuisce:
1)      La decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 3 settembre 2015 (procedimento R 2624/20141) è annullata.
2)      L’opposizione è respinta.
3)      L’EUIPO sopporta le proprie spese nonché la metà di quelle sostenute dalla Tuum Srl, sia dinanzi al Tribunale, sia dinanzi alla commissione di ricorso.
4)      La Thun SpA sopporta le proprie spese nonché la metà di quelle sostenute dalla Tuum, sia dinanzi al Tribunale, sia dinanzi alla commissione di ricorso.
Berardis Spielmann Xuereb

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 6 dicembre 2016.

Il cancelliere       Il presidente
E. Coulon       G. Berardis