Le vicissitudini di un Marchio nella procedura fallimentare

Marchio nazionale registrato in capo all’amministratore unico della s.r.l in quanto persona fisica ma usato per promuovere l’attività edile della srl. L’azienda fallisce: nel momento in cui in sede fallimentare un’altra realtà aziendale se ne aggiudica il compendio aziendale, si aggiudica anche i beni immateriali compresi marchi e brevetti. Nel nostro caso viene anche fatto un ulteriore atto di cessione del marchio che in precedenza era stato fiduciariamente intestato a terza persona. Il curatore fallimentare evidenzia tra l’altro l’utilizzo abusivo del marchio da parte dell’amministratore della srl in quanto ai sensi dell’art 19 del D. Lgs. 10.2.2005 n. 30 del Codice della proprietà intellettuale: “Può ottenere una registrazione per marchio d’impresa chi lo utilizzi o si proponga di utilizzarlo, nella fabbricazione o commercio di prodotti o nella prestazione di servizi della propria impresa o di imprese di cui abbia il controllo o che ne facciano uso con il suo consenso” . Si deduce quindi una presunzione di appartenenza del marchio alla società e non alla persona fisica del suo amministratore.

N 1 0 4 9 2 / 2 3 R G

TRIBUNALE di PALERMO

sezione v^ civile specializzata in materia di impresa

Il Giudice designato, letti gli atti del procedimento promosso con ricorso ex art. 670 cod. proc. civ. da **********************************, all’esito della trattazione scritta del 10.10.23, ha pronunciato la presente

– ORDINANZA –

*******************************, agendo quali eredi di********************************, “socio al 100% e amministratore unico della società *******************************., costituita il ********************” e “dichiarata fallita dal Tribunale di Agrigento sez. fallimentare con sentenza del 03.05.2018”, hanno chiesto – nelle more della introduzione del giudizio di merito teso a veder definitivamente accertati i loro diritti – il sequestro giudiziario ex art. 670 n. 1) c.p.c. “del marchio ****************************, dell’insegna e di ogni altro segno distintivo già dell’azienda della *************************************. in fallimento, in danno della ******************************* e/o di terzi soggetti che si trovino nel possesso dei beni in contestazione, contestualmente nominando un custode giudiziario per gli stessi, fissando il termine per l’instaurazione del giudizio di merito” (v p. 26 ricorso). I ricorrenti hanno fondato i loro diritti sul marchio d’impresa “**************************” – oggetto della domanda di sequestro giudiziario – su due prospettazioni in fatto tra loro alternative. Secondo una prima ipotesi ricostruttiva **************************************, di cui gli stessi ricorrenti sono eredi, sarebbe stato l’originario titolare – a seguito della relativa registrazione pre sso UIBM, avvenuta il 14.9.10 – dei diritti sul marchio “*******************”. Hanno inoltre aggiunto i ricorrenti che con atto pubblico del 07.09.2018 (rep. n. 11385 racc. n. 8193) ************************avrebbe ceduto i propri diritti sul marchio de quo, tuttavia solo fiduciariamente, ad ********************************, amico di famiglia; – che a seguito dell’intertenuto fallimento della **********(dichiarato dal Tribunale di Agrigento con 2 sentenza del 3.5.18), “di cui ********************************** era socio e amministratore al 100%”, sarebbe sorta controversia circa la titolarità dei diritti sul detto marchio; – che in particolare la ***************************** resasi aggiudicataria in sede fallimentare dell’azienda della **********, riteneva ricompresi tra i beni oggetto dell’azienda anche il detto marchio, circostanza questa negata da ********* che ne sarebbe stato l’unico effettivo proprietario; – che al fine di porre fine a tale controversia, in data 13.4.23 il sig. *********, abusando dei propri poteri sul detto marchio che gli derivavano dalla intestazione fiduciaria dello stesso, avrebbe stipulato accordo transattivo con cui cedeva alla ****************************** dietro un corrispettivo esclusivamente simbolico ammontante ad € 200,00, i diritti sul segno distintivo in oggetto; – che tale cessione, avente natura transattiva, sarebbe invalida ex art. 1975, co. 2, c.c. o comunque ex art. 1972 c.c.; – che stante l’invalidità dell’atto di cessione in esame e considerato il diritto dei ricorrenti, quali eredi del fiduciante (******************), ad ottenere il ritrasferimento del marchio dal fiduciario (***************************), non poteva essere negato il diritto di costoro sul segno distintivo. In base ad una seconda ricostruzione il marchio ****************avrebbe fatto parte del patrimonio della società ******************************. e non invece di quello di **************************. Muovendo da tale premessa, antitetica rispetto alla prima, i ricorrenti hanno sostenuto che avendo il fallimento di ****************************. ceduto alla ****************************************** il marchio oggetto di causa in difetto di stima e se na il rispetto delle “forme della vendita forzata, con o senza incanto ” imposte dall’art. 107 lf, la cessione medesima risulterebbe affetta da radicale nullità e il marchio non sarebbe quindi mai fuoriuscito dal patrimonio della società fallita. A seguito della chiusura della procedura concorsuale e dell’estinzione della *************************. “i ricorrenti, quali eredi universali con beneficio di inventario del socio unico sig. ************************, sono subentrati nei diritti già spettanti alla società fallita, trasferitisi in capo al socio in forza del fenomeno successorio che si verifica a seguito dell’estinzione della società ex art. 2495 c.c ”. e tra tali diritti andrebbe ricompreso anche quello al marchio d’impresa **********. Stesse considerazioni hanno svolto i ricorrenti anche con riferimento all’insegna della fallita******************************, che nell’ambito della procedura fallimentare di ***************************** sarebbe stata ceduta alla ************************ in difetto di stima e senza il rispetto delle “f orme della vendita forzata, con o senza incanto” imposte dall’art. 107 lf., con conseguente nullità del relativo contratto. 3 Considerato quindi che analogamente al marchio anche l’insegna non sarebbe mai fuoriuscita dal patrimonio della fallita e sarebbe poi stata acquisita – in forza del fenomeno successorio di cui si è detto – in capo ai ricorrenti, sussisterebbe il diritto di costoro anche su tale diverso segno distintivo. Il sequestro del marchio è dunque stato richiesto nei confronti della ************************** (quale acquirente dell’azienda di ******), di *******, (quale affittuaria della stessa azienda) e di *********************************** (quale fiduciario obbligato al ritrasferimento del marchio). Nei confronti delle prime due è stato richiesto anche il sequestro dell’insegna. Sotto il profilo del periculum in mora i ricorrenti hanno evidenziato che “la *********. ha affittato l’azienda ricomprendendovi il marchio alla *******, società di nuova costituzione, che non reca quindi alcuna garanzia di solvibilità e che sta facendo uso del marchio in maniera quanto meno anomala, risultando ancora inattiva al Registro Imprese ” (v. p. 25 ricorso). All’esito del giudizio – nell’ambito del quale si sono costituiti le resistenti ***************************************** chiedendo il rigetto delle averse pretese per le ragioni meglio illustrate nelle rispettie memorie di costituzione – la causa è stata trattenuta in decisione alla camera di consiglio in epigrafe indicata. *** Preliminarmente, osserva il Tribunale che presupposto ineludibile per l’emanazione di un provvedimento di sequestro giudiziario è la sussistenza dei due requisiti concorrenti, del fumus boni juris e del periculum in mora. Segnatamente, in ordine al fumus, si richiede l’esistenza di una controversia, intesa come esperimento attuale o potenziale (e quindi anche mero contrasto di interessi, senza necessità della pendenza di una lite) di un’azione tipicamente prevista a difesa della proprietà o del possesso (cd. jus in re) nonché di ogni altra azione, anche di natura personale, da cui possa scaturire una pronuncia di condanna alla restituzione o al rilascio della cosa da altri detenuta (cd. jus ad rem) o che comunque comporti una statuizione sulla proprietà o sul possesso (tra tutte, v. Cass., 16 novembre 1994, n. 9645; Cass., 19 ottobre 1993, n. 10333). Inoltre, in ragione della intrinseca strumentalità della misura cautelare rispetto all’emanando provvedimento definitivo, è necessario, ancorché sotto un profilo di mera verosimiglianza, un accertamento delibativo sulla pretesa cautelanda (Cass., 23 giugno 1982 n. 3831; Cass., 24 marzo 1976 n. 1037; Trib. Taranto, 20 ottobre 1995), fondato sulla ritenuta probabilità della esistenza del diritto sostanziale fatto v alere dal 4 richiedente, saggiata sulla scorta dell’intero contesto documentale offerto a conforto della richiesta di cautela e di ogni altro elemento acquisito mediante la sommaria istruttoria propria del procedimento in questione. In merito poi al periculum in mora, questo è dato <> stabilita dall’art. 670 c.p.c., che si ha quando lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporti la possibilità che si determinino situazioni tali da pregiudicare l’attuazione del diritto controverso, ossia il recupero dei beni di cui sia stata accertata la proprietà o possesso, divenendo altrimenti il sequestro giudiziario, non già un vincolo cautelare, ma bensì una mera appendice di ogni controversia sulla proprietà. Ciò debitamente premesso, relativamente al primo requisito è da evidenziare la probabile insussistenza dei diritti dei ricorrenti sul marchio “**********”. Premessa la contraddittorietà di fondo che sconta l’intera impostazione difensiva dei ricorrenti (che fondano le loro pretese su prospettazioni tra loro inconciliabili), deve osservarsi come la sussistenza dei diritti degli stessi sul marchio vada esclusa in base ad entrambe le ricostruzioni offerte. Con riferimento alla prima si rileva come anche a ritenere che ************************** fosse originariamente titolare – a seguito della relativa registrazione presso UIBM, avvenuta il 14.9.10 – dei diritti sul marchio “*************************”, cionondimeno – come dedotto dagli stessi ricorrenti – detto marchio è dal loro dante causa stato ceduto, sia pur fiduciariamente, ad ************************************* (con contratto del 07.09.2018) che a propria volta l’ha trasferito alla ********************************* (con contratto del 13.4.23). Anche a seguire i ricorrenti, i quali affermano che tale ultima cessione sarebbe avvenuta in violazione del pactum fiducia, l’atto compiuto dal fiduciario risulterebbe comunque valido. Ed infatti, per giurisprudenza costante (cfr. da ultimo Cass.Civ. n.17151 del 2023), in caso di intestazione fiduciaria di un bene, il pactum fiduciae presenta efficacia meramente obbligatoria tra le parti; talché, qualora il fiduciario alieni il bene, in violazione di tale patto, il fiduciante non ha tutela reale e non può rivendicare lo stesso, avendo, eventualmente, diritto al solo risarcimento del danno nei confronti del fiduciario e del terzo acquirente ove si provi la mala fede di questi. In questo senso deve escludersi anche un’invalidità della cessione de qua a norma dell’art. 1975, co. 2, c.c. richiamato dai ricorrenti (disposizione questa che – in presenza degli ulteriori presupposti dalla 5 stessa contemplati – sanziona con l’annullabilità la transazione avvenuta in relazione ad un “affare” su cui “una delle parti non aveva alcun diritto”). Anche a ritenere che detta cessione abbia avuto natura e valenza transattive (in quanto funzionale a dirimere una controversia sorta tra le parti in ordine alla individuazione del soggetto titolare del marchio ), rimane il fatto che ************************************ ha ceduto a *******************un bene di cui era esclusivo proprietario (stante la ricordata natura obbligatoria del pactum fiduciae) e di cui aveva pertanto diritto a disporre. Talché, non ricorrono le condizioni per pronunciare l’annullamento della transazione alla stregua della citata norma. Ciò senza considerare che l’annullabilità di cui all’art. 1975, co. 2, c.c. potrebbe al più essere fatta valere dalle parti contraenti e non certamente da chi rispetto a tale negozio deve ritenersi terzo. Ebbene, non avendo i ricorrenti né il loro dante causa preso parte all’a ccordo transattivo, gli stessi non sono legittimati ad ottenerne l’annullamento. I ricorrenti eccepiscono inoltre la nullità della cessione transattiva per illiceità del contratto ex art. 1972 c.c. A dire di ****************************, quest’ultima nullità scaturirebbe dal carattere fraudolento dell’operazione “ a monte” che avrebbe consentito a ******************************** di sottrarre il marchio al fallimento della ********************************** In particolare, il dante causa dei ricorrenti avrebbe registrato il detto segno distintivo “a proprio nome sottraendolo al fallimento con una condotta asseritamente distrattiva, perfezionata poi con la cessione del marchio al sig. ***************” (v. p. 10 memoria dei ricorrenti del 23.9.23). A propria volta il carattere fraudolento dell’operazione comporterebbe “a cascata” la nullità dei successivi atti posti in essere con riferimento al marchio da ********************************e dai suoi aventi causa e tra questi andrebbe ricompresa anche la cessione del segno distintivo effettuata a titolo transattivo da *************************** alla ********************* L’assunto difensivo, più che porre un problema di nullità del trasferimento transattivo ai sensi dell’art. 1972 c.c. , pare introdurre elementi funzionali alla seconda ricostruzione in fatto proposta in via alternativa dai ricorrenti, secondo la quale l’unica titolare del marchio de quo sarebbe sempre e solo stata la ***************************** che lo avrebbe impiegato nella sua attività sociale e non invece ************************ che lo avrebbe indebitamente registrato in suo favore al solo f ine di sottrarlo ai creditori sociali (prima) e concorsuali (poi) della società. Anche tale prospettazione non è comunque idonea a fondare il diritto di proprietà dei ricorrenti sul marchio di che trattasi. 6 Questi sostengono che avendo il fallimento di ******************************* ceduto alla ********************* il marchio oggetto di causa in difetto di stima e senza il rispetto delle “forme della vendita forzata, con o senza incanto ” imposte dall’art. 107 lf, la cessione medesima risulterebbe affetta da radicale nullità e il marchio non sarebbe quindi mai fuoriuscito dal patrimonio della società fallita, almeno fino a che la stessa non è stata cancellata dal registro delle imprese. Con la conseguenza che dopo la chiusura della procedura concorsuale e la estinzione del sogge tto giuridico tale marchio sarebbe stato acquisito dai ricorrenti quali successori della società. Viene richiamato in proposito il costante orientamento di legittimità formatosi con riferimento all’interpretazione dell’art. 107 l. fall che fissa le modalità per la vendita dei beni immobili in sede di liquidazione dell’attivo fallimentare. In particolare, secondo la S.C. tale norma “non consente la vendita di un bene immobile a trattativa privata, ma soltanto l’alienazione nelle forme della vendita forzata, con o senza incanto, che si concludono con il decreto di trasferimento del bene, onde è nulla per contrarietà a norma imperativa la suddetta vendita a trattativa privata. È, peraltro, illegittimo il provvedimento del giudice delegato che autorizzi una vendita non pienamente corrispondente ad uno dei due tipi, con o senta incanto, espressamente previsti e disciplinati dall’art. 108” (citata in massima Cass. n. 3624/2016; conf. Cass.16670/2013)”. Ritiene questo organo giudicate che la vendita non sia nulla sotto il profilo esposto dai ricorrenti. Va detto al riguardo che la cessione avvenuta in sede fallimentare ha avuto ad oggetto non solo il marchio (come pure lasciato intendere dai ricorrenti) ma l’intera azienda, che è stata aggiudicata alla ****************nelle forme della esecuzione forzata previste dalla legge fallimentare, e previa stima del complesso aziendale. Nella relazione di stima agli atti il perito estimatore ha individuato il valore del patrimonio aziendale anche in relazione a tutti i beni immateriali di proprietà dell’azienda fallita. Con riferimento al marchio oggetto di causa il perito ha inoltre rilevato l’anomalia dell’intestazione del marchio “******” in capo alla persona fisica dell’amministratore invece che alla società, e concluso comunque che, così come per gli altri marchi utilizzati da ******************** e per tutte le altre immobilizzazioni immateriali, “non è possibile l’attribuzione di un valore economico autonomo, per i motivi sopra narrati”. Il perito non ha pertanto affatto omesso la stima del marchio, ma piuttosto lo ha valutato insieme a tutte le immobilizzazioni immateriali riferibili alla fallita, arrivando alla conclusione che il valore delle stesse, non essendo suscettibile di benefici futuri, doveva essere annullato. 7 I soggetti interessati, qualora avessero ritenuto tale valutazione non corretta, avrebbero potuto proporre reclamo, o istanza ai sensi dell’art. 108 L.F. al fine di sospendere le operazioni di vendita. Ciò che è certo è che essendo stata effettuata la stima di tu tti i beni dell’azienda ed essendo la stessa stata aggiudicata nel rispetto delle procedure competitive di cui dall’art. 107 l.f., non può configurarsi la nullità prospettata dai ricorrenti. Pertanto il marchio deve ritenere essersi trasferito in favore de lla *******************. unitamente all’azienda con atto che in quanto non reclamato nei termini non è più contestabile. Parte ricorrente afferma inoltre che anche l’insegna non sarebbe stata oggetto di stima, con conseguente invalidità del suo trasferimento effettuato in sede concorsuale con l’aggiudicazione alla ****************************Anche tale assunto non risulta condivisibile essendo sufficiente osservare in proposito che l’insegna, costituendo un segno distintivo tipico strettamente collegato ai locali dell’azienda, non può costituire oggetto di rapporti giuridici separati da quelli relativi ai locali del complesso aziendale. Essendo questi ultimi stati acquistati in sede fallimentare dalla ****************************unitamente all’azienda, deve ritenersi che anche l’insegna (la cui stima è insita in quella dei locali su cui risulta apposta) si sia trasferita in favore della *************** medesima. Una volta acclarata l’inesistenza d e l f u mu s b on i ju r i s , og ni c o n side r az i on e i n m er i t o al pe r ic u l u m in m or a a pp ar e supe r fl ua. Per quanto esposto il ricorso va rigettato. Il carattere anticipatorio del provvedimento impone la regolazione delle spese da porre a carico del ricorrente secondo il principio della soccombenza, che si determinano in dispositivo, avuto riguardo all’attività difensiva svolta. P.Q.M. rigetta il ricorso proposto da *******************************************; condanna*********************************************, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in favore di ciascuno dei resistenti costituiti in€. 3.800,00 per compensi di avvocato, oltre a sp ese generali del 15%, I.V.A. e C.P.A. nella misura legalmente dovuta; manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza Palermo, 11.10.23

Il Giudice Designato dr. Andrea Illuminati