MARCHI D’IMPRESA: il marchio GSE è un marchio debole

La Corte di Cassazione ha stabilito, al termine di una lunga vertenza, iniziata nel 2006, che il marchio GSE, registrato da Prodeco Pharma s.r.l., è un marchio debole e, quindi, la stessa sigla GSE poteva essere utilizzata anche da Erbavita s.a., che la aveva inserita in un proprio prodotto, insieme ad altri elementi che erano idonei a escludere la confondibilità con i prodotti GSE di Prodeco Pharma

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 13 giugno 2006, la S.r.l. Prodeco Pharma proponeva ricorso D.Lgs. n. 30 del 2005, ex art. 129 davanti al tribunale di Venezia, sezione specializzata nella materia della proprietà industriale. Chiedeva fossero inibiti ad Erbavita s.a. con sede nella Repubblica di San Marino, la produzione, il commercio e l’uso di prodotti recanti la sigla GSE, in quanto costituente violazione del marchio registrato da essa istante, relativo a prodotti contenenti estratto di semi di pompelmo (grapfruit seed extract, realizzato nell’acronimo GSE). Il tribunale accoglieva il ricorso.
Erbavita conveniva Prodeco davanti allo stesso tribunale con atto del 22-25 settembre 2006 chiedendo dichiararsi la nullità del marchio della convenuta in quanto descrittivo, ovvero, in subordine, che fosse accertata la debolezza del marchio stesso e la inesistenza di ogni contraffazione. Il tutto con pubblicazione della sentenza richiesta e condanna al risarcimento dei danni per concorrenza sleale. Resisteva Prodeco deducendo essa la contraffazione del proprio marchio, da considerarsi segno forte, nonchè la concorrenza sleale da parte dell’attrice delle cui domande chiedeva il rigetto con conferma delle statuizioni emesse in sede cautelare, e risarcimento del danno. Il tribunale, con sentenza del febbraio 2008, riteneva il marchio in questione, valido in quanto debole. Escludeva peraltro, attesa detta natura del segno, la contraffazione affermata in considerazione delle differenze introdotte nelle confezioni dei prodotti Erbavita, tali da impedire confusione da parte dei consumatori e dunque la conseguente concorrenza sleale. Rigettava tutte le domande di Prodeco nonchè quella di concorrenza sleale proposta da Erbavita. Prodeco proponeva appello articolato in nove motivi. Si costituiva Erbavita, chiedeva il rigetto dell’appello e proponeva appello incidentale insistendo nella propria domanda di risarcimento del danno per la concorrenza sleale posta in essere da Prodeco.
La Corte di merito, rigettata l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza del tribunale, decideva la causa rigettando entrambi gli appelli. Per quel che rileva nella presente fase la corte di Venezia confermava la sentenza del Tribunale sul punto della natura giuridica del marchio in questione, confermandone la identificazione in marchio debole. Negava che nella specie sussistesse confondibilità tra i segni in contrasto rilevando che la sigla GSE che costituiva cuore del marchio Prodeco era riportata nell’insieme del marchio di Erbavita ma accanto alla denominazione Fitoseptic, questa evidenziata agli occhi del consumatore perchè più lunga, e con maggiori spazi fra una lettera e l’altra, e peraltro scritta in caratteri di maggiori dimensioni. Rilevava altresì che la foglia stilizzata, presente in entrambi i marchi, appariva difficile da notare tanto nell’uno quanto l’altro segno e non era tale da costituire elemento di confusione, appunto per tale secondarietà.
Conseguentemente rigettava tutte le domande concorrenza sleale connesse alla negata confondibilità.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione Prodeco Pharma S.r.l.
con atto articolato su cinque motivi. Resiste con controricorso Erbavita S.p.A. già Erbavita s.a, e deposita memoria.

DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso Prodeco lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 30 del 2005, artt. 7 e 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene che la Corte veneta ha emesso il proprio giudizio di descrittività del marchio GES, deducendone quindi la minor protezione di marchio debole rispetto a quella di marchio forte, utilizzando come termine di paragone non già il consumatore medio avveduto, bensì l’utilizzatore informato, ovverosia il farmacista, l’erborista, ed il medico. In tal modo la Corte di merito avrebbe ristretto la platea dei consumatori alla quale il giudice deve guardare per identificare la corretta percezione di mercato, a quelle degli specialisti del campo, e pertanto negando una confondibilità che invece ove si fosse avuto riguardo al consumatore tipico del prodotto in questione, si sarebbe dovuta affermare.
2. Con il secondo motivo del suo ricorso, che in quanto connesso al primo va esaminato insieme ad esso, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 30 del 2005, artt. 20 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene che la Corte di Venezia ha negato la contraffazione sulla base della ritenuta natura di marchio debole del segno di essa ricorrente(GSE), trascurando che nell’asserito marchio Fitoseptic, il cuore, ovvero il nucleo ideologico, è per l’appunto la parola GSE è non come ritenuto dalla sentenza, il predetto logo.
2.a.Osserva il collegio che riguardo alla questione concernente la distinzione tra marchio forte e marchio debole la Corte di Cassazione ha dato luogo da tempo ad una giurisprudenza stabile alla quale non vi sono ragioni per discostarsi (cass nn. 4405 del 2006, 11017 del 1992, 14787 del 2006).
E’ ben noto che l’intensità della tutela riconosciuta dalla legge ad un segno muta a seconda del grado di originalità di cui il medesimo è dotato. Sotto questo profilo dunque il segno viene definito debole giacchè la protezione che la legge gli assicura impedisce l’imitazione da parte del concorrente di quei suoi elementi caratteristici che operando sul suo contenuto o aggiungendosi ad esso arricchiscono la descrittività, e per l’appunto ne costituiscono una caratteristica e giustificano la identificazione di un tasso di originalità, meritevole di tutela. Ed è l’accertamento di fatto che, caso per caso, individua il confine tra segno forte e segno debole giacchè, da un canto, marchi forti non sono soltanto quelli cosiddetti di fantasia ma anche quelli costituiti da parole del linguaggio comune, e dall’altro marchi deboli non sono da considerarsi semplicemente i marchi indicativi della natura o della funzione del prodotto, ma possono essere anche parole del linguaggio comune ovvero divenute comuni nel linguaggio commerciale. Nel caso di cui si tratta l’acronimo GSE, pacificamente indicatore del contenuto del prodotto, e dunque descrittivo, esclude in quanto insussistente il grado di creatività più alto, la possibilità di attribuire la tutela del marchio forte. GSE vuoi dire, secondo la comune tecnica espressiva che appunto si definisce acronimo, estratto di succo di pompelmo. Indica dunque il contenuto merceologico di un prodotto legittimamente commerciabile, cosicchè la ricerca della originalità distintiva si è esercitata intorno ad un dato ontologicamente ed ineliminabilmente descrittivo, nella logica dell’art. 13, n. 1 del codice della proprietà industriale che, escludendo la validità solo per i segni costituiti “esclusivamente” da denominazioni generico descrittive, consente una sia pur più limitata tutela benchè in presenza di un gradiente di descrittività.
2.b.Nel caso che ne occupa in particolare la ricorrente afferma che la individuazione della parola GSE come acronimo è possibile solo da una particolare consumatore, ovvero dal commerciante, dal farmacista, dal rappresentante, del prodotto medesimo e non dal normale consumatore, il quale invece percepirebbe esclusivamente il segno in questione, e dunque come dotato di autonomia sua propria.
Osserva il collegio che siffatta conclusione spetta al giudice del merito. Tuttavia, in via di principio, pare opportuno precisare che ogni acronimo, ovvero ogni sigla, è tale da determinare nel consumatore di quel tipo di prodotto, e non in una platea indistinta di possibili consumatori, l’interesse a conoscerne il significato.
Per sua natura l’acronimo,quando le lettre che lo compongono non abbiano un significato noto nel mercato, giustifica la supposizione che esso all’utilizzatore possibile di un certo tipo di prodotto, come nel caso che ci riguarda il succo di frutta o altro un prodotto commestibile, indichi oggettivamente l’esistenza di un significato esplicito, commercialmente rilevante. Non può affermarsi che sempre, nel vivente meccanismo di comunicazione commerciale e di comunicazione tout court, l’acronimo sia linguaggio da iniziati, come sottintende il ricorrente quando fa riferimento ad un consumatore “informato”, diverso dall’utilizzatore avveduto, in quanto addirittura specializzato.
L’apprezzamento che il giudice di merito effettua sulla confondibilità dei segni, soprattutto nel caso di affinità dei prodotti, deve essere compiuto non già in via analitica, attraverso l’esame anche particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento. Deve essere condotto invece in via globale e sintetica, ovvero con riguardo all’insieme degli elementi grafici mediante una valutazione di impressione, la quale deve avere come parametro di riferimento la normale diligenza ed avvedutezza del consumatore di quel genere di prodotti. Cosicchè alla fine il raffronto risulta essere tra il marchio che il consumatore, di quel tipo di prodotti, guarda, ed il ricordo mnemonico del segno in concorrenza.
2.C. E’ singolare, a parere del collegio che il ricorrente sostenga che l’acronimo GSE, unica parola contenuta nel suo segno, pacificamente abbreviativa di una indicazione specificamente descrittiva, debba essere ritenuto cuore ideologico del marchio in concorrenza antagonista, benchè questo contenga anche altra espressione grafica, e dunque dimenticando per l’appunto che la natura descrittiva del segno GSE necessita, perchè il segno che l’acronimo include sia protetto, di una aggiunta di originalità.
Aggiunta che, dal punto di vista grafico il segno di Erbavita, come apprezzato dal giudice del merito, sicuramente mostra.
Orbene, il marchio Erbavita accusato di contraffazione, è segno complesso consistente nella composizione oltre che del predetto acronimo anche della parola fitoseptic. Dunque fra i due segni così come essi sono analiticamente descritti dalla sentenza impugnata, esiste una vistosa differenza grafica. Il giudice di merito ha considerato anzitutto tale differenza, quindi ha ritenuto che l’acronimo GSE contenuto nel marchio di Erbavita sia tutt’altro che preponderante rispetto alla parola Fitoseptic, più grande e con caratteri grafici che la evidenziano meglio, cosicchè più che mai in tale segno di Erbavita, nella ricostruzione fatta dal giudice di merito, esso conserva una funzione descrittiva e non individualizzante, che, nella vicenda, esclude l’effetto contraffattorio.
2.d. I due motivi sono entrambi infondati giacchè il giudice di merito ha fatto buon governo delle norme applicate, ha tenuto conto della giurisprudenza, ed ha esaminato, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, in modo sintetico i segni in conflitto motivando sulle questioni relative.
3. Con il terzo motivo del suo atto il ricorrente lamenta la motivazione omessa ed insufficiente, ovvero ancora illogica ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, su un punto decisivo della causa. Osserva che la Corte di Venezia non si è accorta della doglianza avverso il punto della decisione di primo grado relativo alla circostanza, non esaminata dal primo giudice, per la quale il marchio GSE è posto anche su prodotti non contenenti estratti dei semi di pompelmo.
3. a. Osserva il collegio che sul punto la Corte di merito si è pronunciata, (vedi foglio 21 della sentenza impugnata), ed ha considerato marginale ed irrilevante la circostanza stessa attesa la proporzione tra prodotti a contenuto di succo di pompelmo, e prodotti nei quali tale succo era assente. Il ricorrente non va oltre una doglianza generica. Il motivo è pertanto inammissibile.
4. Con il quarto motivo del suo atto il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2598 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Sostiene che la Corte di merito ha rigettato la domanda concorrenza sleale ritenendola erroneamente fondata sugli stessi motivi addotti a sostegno dell’accusa di contraffazione.
4.a. Il motivo è infondato. Nemmeno oggi il ricorrente indica quali circostanze, non dipendenti dalla affermata contraffazione, giustificherebbero l’ulteriore, ovvero autonoma, accusa di concorrenza sleale.
5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la motivazione omessa o insufficiente in relazione al punto specifico oggetto del sesto di specifica censura nell’atto di appello.
5.a. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente indica il sesto motivo di appello come non esaminato ovvero non esaminata adeguatamente dalla corte di merito, tuttavia non indica in alcun modo la circostanza che, ancora una volta, costituirebbe atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., ulteriore a quella conseguente alla affermata contraffazione, questione oggetto del predetto motivo di appello.
6. Il ricorso deve essere respinto. Il ricorrente deve essere condannato pagamento delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7200,00 di cui Euro 200,00 per spese oltre ad oneri di legge.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2012.




Finalmente arriva l’IVA per cassa per le imprese ecco come optare per questo regime IVA

Finalmente arriva l’IVA per cassa per le imprese ecco come optare per questo regime IVA

Per scegliere il regime dell’IVA per cassa non è necessaria alcuna comunicazione preventiva.
La scelta dell’IVA per cassa va poi comunicata nel quadro VO della prima dichiarazione annuale IVA da presentare successivamente alla scelta effettuata.

Chi invece intende avvalersi del regime sin dall’inizio dell’attività, deve comunicare la scelta con la dichiarazione di inizio attività.

In genere l’opzione ha effetto dal 1° gennaio dell’anno in cui è esercitata; in caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, ha effetto dalla data di inizio dell’attività. Limitatamente all’anno 2012, primo anno di applicazione del nuovo regime, l’opzione, da comunicare con la dichiarazione IVA per il 2012, ha effetto per le operazioni effettuate a partire dal 1° dicembre 2012.

L’opzione vincola il contribuente all’applicazione dell’IVA per cassa per almeno un triennio, salvo nel caso di superamento della soglia dei € 2 milioni di volume d’affari, che comporta la cessazione del regime.

Trascorsoil triennio, l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, a meno che non sia effettuata la revoca, con le stesse modalità previste per l’opzione (comportamento concludente e comunicazione nella dichiarazione annuale IVA presentata successivamente). Per coloro che hanno esercitato l’opzione a partire dal 1°dicembre 2012, il triennio scade il 31 dicembre 2014 (in pratica, il mese dicembre 2012 è considerato come un anno).

In definitiva, la revoca è possibile solo dopo il triennio iniziale (o in uno degli anni successivi al triennio).

Il cedente/prestatore che ha optato per il regime IVA per cassa deve evidenziare la volontà di differire l’esigibilità dell’IVA mediante la seguente annotazione in fattura: «operazione con IVA per cassa ai sensi dell’articolo 32 bis DL 83/2012». L’omessa indicazione non determina tuttavia conseguenze sostanziali ai fini dell’applicazione del regime, ma costituisce solo una violazione formale




MARCHI D’IMPRESA: depositato il marchio “KLINAT”

MARCHI D’IMPRESA: depositato il marchio “KLINAT”

Il 23 novembre 2012 è stato depositato il marchio nazionale “KLINAT”, che sarà utilizzato per strumenti protesici per uso dentistico.

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FAQ Ministero Sviluppo Economico CONCORSI A PREMIO

Le FAQ pubblicate dal Ministero dello Sviluppo Economico in materia di manifestazioni a premio ai sensi del dpr 430/01

DOMANDE GENERALI

Esiste un albo delle agenzie di promozione/pubblicità delegabili?

Non esiste alcun albo delle agenzie di promozione.

Aggiungiamo noi: per i profili legali (regolamento, etc.) e fiscali è consigliabile rivolgersi ad un avvocato e/o ad un dottore commercialista

Gli atti di delega che l’impresa rilascia ad un soggetto per lo svolgimento di una o più fasi delle operazioni relative ad una manifestazione a premio deve essere redatta con particolari formalità e deve essere a tempo determinato ?

RISPOSTA DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO:
Il d.P.R. 26 ottobre 2001, n. 430 non prescrive una forma specifica per la redazione di una procura con cui si conferisce delega alla gestione di una o più fasi di una manifestazione a premio. Inoltre l’atto può anche avere periodo indeterminato: in tal caso produrrà i suoi effetti fino a che non intervenga nuova delega. Al Ministero deve essere trasmessa una copia conforme all’originale qualora la Divisione competente ne faccia richiesta.

Qualora una impresa estera intenda organizzare in Italia una manifestazione a premio può, in alternativa all’istituto della rappresentanza fiscale, avvalersi del sistema di identificazione diretta ?

RISPOSTA DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO:
No, in quanto le disposizioni sul sistema di identificazione diretta di cui al decreto legislativo 19 giugno 2002, n. 191 (che ha modificato l’art. 17 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), possono creare difficoltà per la piena riuscita dell’attività di controllo espletata dal Ministero. Pertanto, quando le imprese intendono svolgere in Italia una manifestazione a premio devono necessariamente avvalersi di un rappresentante fiscale anche se hanno fatto ricorso al sistema di identificazione diretta per le al-tre attività espletate in Italia.

Quando si configura l’associazione di imprese nelle manifestazioni a premio ?

RISPOSTA DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO:
L’associazione si configura quando due o più imprese, ciascuna per i propri fini in relazione alle attività economiche svolte in base all’oggetto sociale, promuovono la conoscenza di prodotti e/o di servizi e/o di ditte e/o di insegne e/o di marchi e/o la vendita di determinati prodotti e/o di servizi aventi un fine, in tutto o in parte, commerciale. Pertanto, quando un prodotto viene venduto in determinati punti vendita oppure in determinate catene commerciali e non in altri ed i consumatori possono partecipare alla manifestazione a premio solo recandosi presso quei determinati esercizi commerciali si configura il caso dell’associazione.

Allo stesso modo ricorre la fattispecie quando nella denominazione della manifestazione a premio vi sia espresso riferimento ad una specifica insegna commerciale. Configurandosi l’associazione, tutti i soggetti sono responsabili in solido per le obbligazioni assunte nei confronti dei promissari e per il pagamento delle sanzioni.

Le Camere di Commercio sono legittimate a chiedere alle imprese o ai soggetti delegati tutta la documentazione inerente i concorsi a premio ?

RISPOSTA DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO:
In data 26 giugno 2009 è stato stipulato un Protocollo d’Intesa tra il Ministero dello sviluppo e-conomico e Unioncamere allo scopo di potenziare l’attività di controllo sulle manifestazioni a pre-mio. A tal fine, le Camere di Commercio competenti per territorio sono legittimate a richiedere alle imprese o ai soggetti delegati, oltre alla documentazione prescritta per gli adempimenti di cui all’art. 9 del d.P.R. 26 ottobre 2001, n. 430 di cui tratta anche la circolare 28 marzo 2002, n. 1/AMTC, anche quegli atti che ritengono utile esaminare, sia nella fase di ausilio per la compilazione dei modelli di comunicazione da effettuare ai sensi dell’art. 10 del citato d.P.R. n. 430/2001 sia per coadiuvare il Ministero nell’attività di controllo.
Inoltre, una volta ricevuta autorizzazione del Garante per la privacy, i dati riferiti alle manifestazioni a premio inseriti nel sistema telematico PREMA ON LINE, operativo presso il Ministero, verranno messi a disposizione delle Camere di Commercio, ciò alla luce del succitato Protocollo d’Intesa.




MARCHI COMUNITARI: i marchi “VISLAB” e “VISIONLAB” non sono fra loro confondibili

MARCHI COMUNITARI: i marchi “VISLAB” e “VISIONLAB” non sono fra loro confondibili

VISLAB è il marchio utilizzato da VISLAB S.r.l., società di ricerca dell’Università di Parma impegnata nella ricerca e nello sviluppo di sistemi ottici e intelligenti per varie applicazioni, principalmente per il campo automobilistico (www.vislab.it). Vislab, attraverso lo studio Carlo Rossi & Partners, ha depositato domanda di registrazione comunitaria del proprio marchio nel 2010.

VISIONLAB è il marchio utilizzato da VISIONLAB S.A., società con sede a Madrid impegnata principalmente nel campo degli occhiali da vista e da sole. Visionlab è titolare dell’omonimo marchio avv. Carlo Rossicomunitario, depositato nel 2004, ed ha presentato opposizione contro la registrazione del marchio VISLAB, lamentando il rischio di confusione per il pubblico fra i due marchi.

La Divisione delle Opposizioni dell’UAMI (ufficio comunitario competente per i marchi comunitari), con decisione del 29 giugno 2012, ha accolto le argomentazioni presentate in difesa del marchio VISLAB dall’avv. Carlo Rossi ed ha deciso che questo marchio non rischia di essere confuso con il marchio VISIONLAB e quindi può essere regolarmente registrato.




Liberalizzazione delle professioni – convegno a Parma

Gli avvocati di Parma, insieme ai commercialisti, si sono incontrati in un convegno organizzato da Aiga e da Ampiaprof per fare il punto della normativa

Il c.d. “decreto liberalizzazioni” (d.l. n. 1 del 24 gennaio 2012) è stato recentemente convertito in legge (l. 24 marzo 2012 n. 27). Questo provvedimento ha portato numerose novità nell’ordinamento dei professionisti e degli avvocati in particolare. Per questo l’Aiga Parma (www.aigaparma.it) ha organizzato, insieme ad Ampiaprof (www.ampiaprof.org), un convegno per fare il punto della normativa. Il convegno è stato introdotto e moderato da Carlo Rossi, coordinatore regionale dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati per l’Emilia Romagna. Il sen. Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia del Senato ha descritto gli aspetti salienti del decreto, con particolare riferimento all’abrogazione delle tariffe e alle società tra professionisti. Sono quindi intervenuti i rappresentanti di alcune delle principali associazioni di professionisti, che hanno riportato la propria posizione in merito al decreto e la posizione delle associazioni rappresentate. All’incontro si sono iscritti oltre 300 professinisti.

Per leggere l’articolo in pdf clicca sull’immagine:

liberalizzazione-avvocati-parma

 




Marchi d’impresa

Depositato il marchio “SIRNI”

Il 22 dicembre 2011 è stato depositato il marchio comunitario “SIRNI”, nella classi di prodotti e servizi n. 18, 25 e 40.
Da oltre 50 anni l’azienda artigianale della famiglia Sirni produce articoli in vitello, bufalo, cervo, nappa, camoscio ed in pellame pregiato come coccodrillo, pitone e struzzo.Tutti gli articoli sono realizzati a mano con la possibilità di personalizzare il modello richiesto. Ogni modello è eseguito con fodera in pelle rendendo la qualità di ogni articolo unico e pregiato. Realizzano inoltre lavorazioni su modelli disegnati dal cliente.

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SANZIONI PER I CONCORSI A PREMIO

SANZIONI PER I CONCORSI A PREMIO: non si ferma l’applicazione delle nuove sanzioni previste dal DL 39/2009 le abnormi sanzioni previste dal DL 39/2009 continuano ad essere applicate nell’indifferenza generale mettendo in ginocchio numerose imprese. Da 50.000 a 500.000 euro di multa per chi non fa intervenire il notaio in una estrazione con premi del valore di poche decine di euro.

25/11/2011

LE MODIFICHE APPROVATE NEL 2009 – 2010

La disciplina delle manifestazioni a premio è stata modificata dal decreto legge 28/04/2009 n. 39 (convertito in legge, n. 77/2009) e dal decreto interdirigenziale del 5 luglio 2010 emanato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico.

 Le modifiche riguardano:

  1. Le modalità e i termini di comunicazione delle manifestazioni a premio
  2. Le sanzioni

SCHEMA DELLE NOVITA’:

Comunicazione telematica: la comunicazione delle manifestazioni a premio avverrà esclusivamente per via telematica.

Termini per la comunicazione: la comunicazione per i concorsi a premio deve avvenire almeno 15 giorni prima dell’avvio (resta invariato il termine di comunicazione della fideiussione per le operazioni, cioè almeno un giorno prima dell’avvio).

– Nuove sanzioni: previste sanzioni da 50.000,00 a 500.000,00 euro per le manifestazioni vietate

 Scadenze:

– dal 25/08/2010 per la comunicazione almeno 15 giorni prima dell’avvio del concorso

– dal 25/01/2011 per la comunicazione esclusivamente telematica

LA NUOVA MODALITA’ DI COMUNICAZIONE

Come riportato sopra, le modifiche riguardano le modalità di comunicazione delle manifestazioni a premio (esclusivamente per via telematica) e, solo per i concorsi, l’obbligo di effettuare la medesima comunicazione entro 15 giorni prima dell’avvio.

 L’invio telematico consiste nella compilazione di un apposito form presente sul sito www.impresa.gov.it in cui il promotore, od il soggetto delegato, si registra e si autentica mediate firma digitale ed inserisce direttamente i dati precedentemente caricati sul modello PREMA (lo stesso modulo ricalca quasi perfettamente la struttura dei modelli PREMA).

Fatto questo viene richiesto di allegare il regolamento del concorso e la documentazione attestante l’avvenuto versamento della cauzione. Si segnala che, qualora la cauzione sia prestata nella forma della fideiussione, quest’ultima deve tuttora essere inviata in forma cartacea in bollo con autentica notarile. Dalla scadenza sopra indicata (salvo proroghe), non si potrà più procedere all’invio cartaceo dei moduli PREMA e neppure all’invio mediante posta elettronica dei documenti  firmati con firma digitale poiché detti invii equivarranno al mancato invio e pertanto saranno sanzionati.

Fino al 25 gennaio 2011 sarà quindi possibile procedere all’invio secondo le modalità tradizionali oltre che con quelle telematiche, ma la comunicazione dovrà comunque essere inviata entro 15 giorni dalla data di inizio del concorso a premi.

Per quanto riguarda le modifiche del regolamento dei concorsi va fatta invece una distinzione:

– se le modifiche riguardano “caratteristiche sostanziali del concorso” sarà obbligatorio comunicarle entro il termine di 15 giorni antecedenti al loro effetto; e ciò in linea con la nuova regola prevista per la comunicazione del regolamento.

– se le modifiche non coinvolgono “caratteristiche sostanziali del concorso” non sarà obbligatorio rispettare il termine anticipatorio.

Considerata la dicitura piuttosto generica utilizzata dal legislatore non si esclude che potranno verificarsi casi di dubbia interpretazione per cui si ritiene opportuno inviare sempre le comunicazioni di modifica con 15 giorni di anticipo rispetto al loro effetto (salvo che il Ministero non indichi chiaramente quando una modifica può essere ritenuta “non sostanziale”).

Se al 25 gennaio 2011 il servizio per l’invio in forma non telematica del portale www.impresa.gov.it non fosse ancora attivo, l’obbligo dell’invio in modalità esclusivamente telematica sarà rinviato.

LE SANZIONI

Il Decreto legge n. 39/2009 ha notevolmente inasprito le sanzioni per le manifestazioni “vietate”.

Le sanzioni relative alle manifestazioni a premi possono così sintetizzarsi:

Mancata comunicazione. Per la mancata comunicazione è prevista la sanzione amministrativa da € 2.065,83 a € 10.329,14, che viene ridotta del 50% nel caso in cui la comunicazione sia stata inviata successivamente all’inizio del concorso, ma prima che sia stato constatato l’inadempimento. Queste sanzioni non sono state modificate dal DL 39/2009.

Svolgimento del concorso secondo modalità differenti rispetto al regolamento comunicato. In caso di effettuazione del concorso con modalità difformi da quelle indicate nella comunicazione si applica la sanzione amministrativa da € 1.032,91 a € 5.164,57. Queste sanzioni non sono state modificate dal DL 39/2009.

Concorsi e operazioni a premio vietati. In caso di effettuazione di concorsi ed operazioni a premio di cui è vietato lo svolgimento, a seguito della modifica introdotta dal DL n. 39/2009, si applica la sanzione amministrativa da € 50.000 a € 500.000. La sanzione è raddoppiata nel caso in cui i concorsi e le operazioni a premio siano continuati quando ne è stato vietato lo svolgimento. La sanzione è altresì applicabile nei confronti di tutti i soggetti che in qualunque modo partecipano all’attività distributiva di materiale di concorsi a premio e di operazioni a premio vietati. Il Ministero dello sviluppo economico dispone che sia data notizia al pubblico, a spese del soggetto promotore e attraverso i mezzi di informazione individuati dal Ministero stesso, dell’avvenuto svolgimento della manifestazione vietata.

Le manifestazioni vietate sono, ai sensi dell’art. 8 del D.p.r. n. 430/01, le manifestazioni in cui:

  1. a) il congegno dei concorsi e delle operazioni a premio non garantisce la pubblica fede e la parità di trattamento e di opportunità per tutti i partecipanti, in quanto consente al soggetto promotore o a terzi di influenzare l’individuazione dei vincitori oppure rende illusoria la partecipazione alla manifestazione stessa;
  2. b) vi è elusione del monopolio statale dei giochi e delle scommesse per la mancanza di reali scopi promozionali, in quanto il prezzo richiesto è superiore al valore commerciale del bene il cui acquisto costituisce il presupposto per la partecipazione alla manifestazione a premio;
  3. c) vi è turbamento della concorrenza e del mercato in relazione ai principi comunitari;
  4. d) vi è lo scopo di favorire la conoscenza o la vendita di prodotti per i quali sono previsti, da disposizioni legislative, divieti alla pubblicità o altre forme di comunicazione commerciale. Per i beni e servizi la cui pubblicità è vincolata, da disposizioni legislative, ad autorizzazioni o comunicazioni preventive, le manifestazioni a premio sono svolte solo dopo aver ottenuto il provvedimento di autorizzazione ovvero sono state effettuate le comunicazioni preventive;
  5. e) vi sono violazioni delle disposizioni contenute nel DPR n. 430/01, tranne quella relativa alla comunicazione del concorso.

Come si può notare l’ultimo caso indicato fa rientrare tra le manifestazioni vietate tutte le manifestazioni nelle quali vi sia una qualsiasi violazione del DPR n. 430/01 (tranne quelle relative alla comunicazione del concorso, per le quali è prevista una apposita sanzione). Uno degli esempi più ricorrenti è quello della mancata presenza del notaio o del funzionario della camera di commercio in caso di estrazioni o lavori di commissione per l’individuazione dei vincitori.

COMMENTO ALLE MODIFICHE INTRODOTTE DAL DL N. 39/2009

La modifica della procedura di comunicazione e delle sanzioni relative alle manifestazioni a premi (di seguito semplicemente “le modifiche”) merita molte critiche, in particolare con riferimento all’incredibile aumento delle sanzioni.

  1. Collocazione delle modifiche. Le modifiche sono contenute in un decreto sull’emergenza del terremoto in Abruzzo. Il decreto legge n. 39/2009 è infatti intitolato “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile”. Il legislatore ormai ci ha abituato a vedere inserite le norme più diverse in provvedimenti relativi a tutt’altre materie, ma trovare un intervento sulla normativa delle manifestazioni a premi in un provvedimento sul terremoto in Abruzzo sinceramente riesce ancora a sorprenderci non poco.
  2. Le finalità dichiarate delle modifiche. L’art. 12 del DL 39/2009 dichiara che le modifiche alla procedura di comunicazione delle manifestazioni a premio e la modifica delle sanzioni per le  manifestazioni vietate sono introdotte (insieme ad altre iniziative) “al fine di assicurare maggiori entrate non inferiori a 500 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2009”. Quindi le modifiche, almeno alla lettera della legge, non sarebbero previste per garantire maggiori tutele ai consumatori (cioè i destinatari delle manifestazioni a premi), ma per assicurare maggiori entrate allo Stato. In altre parole si dice chiaramente che l’aggravamento delle sanzioni non è finalizzato a colpire con maggior efficacia un illecito considerato di particolare allarme sociale, ma è destinato semplicemente a rimpinguare le casse dello Stato a danno dei malcapitati operatori commerciali che non rispettino la normativa sulle manifestazioni a premio.
  3. L’abnormità delle sanzioni. E’ del tutto evidente come le sanzioni previste per le manifestazioni a premio vietate (cioè sanzione da 50.000 a 500.000 euro) possono essere, nella normalità dei casi, del tutto sproporzionate rispetto alla gravità della irregolarità che sono destinate a punire. Anzi, la parola “sproporzionato” in questo caso non è neppure idonea a rendere l’idea di quanto queste sanzioni siano del tutto avulse, estranee, assurde, per punire eventuali irregolarità in una manifestazione a premi. Ad esempio, per meglio comprendere l’irragionevolezza delle sanzioni, se il titolare di un negozio di alimentari decidesse di promettere in premio ad estrazione un intero prosciutto fra tutti coloro che ne acquistano almeno un etto entro un determinato termine, e il titolare di questo negozio, magari ignorando la normativa sui concorsi a premio, non rispettasse le norme procedurali (es. oltre a non effettuare la comunicazione non chiedesse l’intervento del notaio o del funzionario della camera di commercio), la sanzione minima per lui sarebbe di 50.000 euro, “roba” da fargli chiudere bottega! Per cosa? Per una iniziativa pubblicitaria irregolare! Si pensi che per il commercio di stupefacenti (benché si tratti di ipotesi “penali” per le quali sono previste ovviamente anche pesanti pene detentive) le sanzioni pecuniarie vanno da 26.000 a 260.000 euro, cioè praticamente la metà di quelle previste per le manifestazioni a premio.
  4. L’attività distributiva. La nuova normativa prevede che la sanzione per manifestazione vietata (cioè da € 50.000 a € 500.000) è altresì applicabile nei confronti di tutti i soggetti che in qualunque modo partecipano all’attività distributiva di materiale di concorsi a premio e di operazioni a premio vietati. Quindi oltre all’incredibile sproporzione della sanzione, si prevede che questa dovrà essere applicata non solo al promotore, ma anche a coloro che “in qualunque modo partecipano all’attività distributiva di materiale” relativo alla manifestazione. Quindi applicando alla lettera la legge se l’inserviente del salumiere portasse le cartoline relative al sopra menzionato concorso del prosciutto ad una cliente della bottega, questo inserviente sarebbe passibile di una sanzione minima di 50.000 euro. Immaginiamo che questo non fosse quello che aveva in mente chi ha scritto questa infelice norma, ma la lettera della legge è così strutturata:

La sanzione: cioè la sanzione da 50.000 a 500.000 euro

è altresì applicabile nei confronti di

tutti i soggetti: non è fatta alcuna distinzione, quindi si dovrebbe intendere qualsiasi persona fisica e giuridica, dalla grande società distributrice, al piccolo negoziante, al fattorino;

che in qualunque modo: anche qui non è fatta alcuna distinzione, quindi si dovrebbe ritenere valida qualsiasi modalità di partecipazione alla distribuzione, dalla messa a disposizione di una catena di vendita fino all’inserviente che consegni materialmente il materiale ai clienti;

partecipano all’attività distributiva di materiale: anche per l’attività distributiva non si specifica cosa si debba intendere, e alla lettera si potrebbe ritenere attività distributiva, come detto, anche la consegna del “materiale” al cliente da parte dell’ultimo dei commessi;

di concorsi a premio e di operazioni a premio vietati: ricordiamo che per concorso od operazione a premi vietati si deve intendere qualsiasi manifestazione a premio, anche di valore, durata e diffusione limitati, che violi una delle disposizioni contenute nel DPR 430/01 (es. mancata presenza del notaio all’estrazione di un concorso).

Probabilmente con questa riforma si volevano colpire gravi fenomeni di violazione del monopolio statale dei giochi e delle scommesse, tuttavia per incapacità o grande disattenzione (o peggio per dolo) di chi ha predisposto queste norme, le sanzioni (da 50.000 a 500.000 euro) sono di portata generale e possono colpire indistintamente ed in pari misura tanto il grande imprenditore senza scrupoli, che cerca facili guadagni violando il monopolio di Stato sui giochi, quanto il piccolo commerciante che vorrebbe incrementare le vendite del proprio negozio al dettaglio con piccola estrazione a sorte senza presenza del notaio (ed in mezzo ci sono tantissimi casi di onesti operatori commerciali che per una semplice svista potrebbero vedere gravemente compromessa la propria attività se dovessero incappare in queste elevatissime sanzioni).




MARCHI D’IMPRESA

MARCHI D’IMPRESA: i marchi “DLG” e “X CLG” non sono fra loro confondibili

I consumatori normalmente concentrano l’attenzione sul primo elemento di un marchio quanto è confrontato con un altro marchio. Questo avviene perchè il pubblico legge da sinistra a destra, e quindi la parte che prende maggiore attenzione è la parte a sinistra del marchio (cioè la parte iniziale). Conseguentemente la differenza tra le parti iniziali di due marchi deve essere presa in considerazione quando si deve accertare il rischio di confusione fra due marchi stessi. Inoltre, i marchi “DLG” e “X CLG” sono composti rispettivamente di tre e di quattro lettere, e ai fini della valutazione del rischio di confusione deve essere preso in considerazione il fatto che essi si differenziano nella prime due lettere. Inoltre deve essere considerato che le lettere differenti non si somigliano nè letteralmente nè foneticamente. Quindi fra i due marchi “DLG” e “X CLG” non c’è rischio di confusione per il pubblico, neppure per beni servizi identici fra loro.

La divisione delle opposizioni dell’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato interno ha così deciso il 21/10/2011 in merito all’opposizione presentata dal titolare del marchio “DLG” contro la registrazione del marchio “X CLG”.

Decisione UAMI divisione opposizioni_21/10/2011_DLG – X CLG




PROCESSO CIVILE TELEMATICO

OBBLIGO DI INDICAZIONE DELL’INDIRIZZO DI POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA NEGLI ATTI INTRODUTTIVI DEI GIUDIZI CIVILI E TRIBUTARI

Sanzione del 50% del contributo unificato per le omissioni L’ultima manovra correttiva del governo (D.l. 6 luglio 2011 n. 98 in Gazz. Uff., 6 luglio, n. 155 – Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) ha previsto che se l’avvocato non indica l’indirizzo di posta elettronica certificata e il numero di fax nell’atto introduttivo di un giudizio, il contributo unificato da pagarsi per quel giudizio è aumentato del 50%. La stessa sanzione è prevista anche in caso di omissione dell’indicazione del codice fiscale della parte che introduce il giudizio. Questa misura ha il duplice scopo di incentivare ulteriormente l’uso della posta elettronica certificata (il fax è già ora quasi sempre indicato, quantomeno nel timbro del legale sugli atti) e magari di garantire qualche ulteriore entrata per le casse dello stato da parte dei clienti di avvocati un po’ distratti, che appunto dimentichino di indicare la propria PEC.

Si riporta di seguito la normativa di riferimento:

Art.37 D.l. 6 luglio 2011 n. 98 Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie Comma 6, lett. Q “3-bis. Ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio numero di fax ai sensi degli articoli 125, primo comma, del codice di procedura civile e 16, comma 1-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nell’atto introduttivo del giudizio o, per il processo tributario, nel ricorso il contributo unificato e’ aumentato della meta’.”

Non pare molto appropriato il riferimento “ai sensi dell’art. 125 c.p.c.” poiché l’art. 125 c.p.c. non prevede fra i dati da inserirsi negli atti l’indirizzo di posta elettronica certificata e il numero di fax, ma solo il codice fiscale.

Art. 125 codice procedura civile (aggiornato alla l. 22 febbraio 2010, n. 24) Contenuto e sottoscrizione degli atti di parte. Salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o la istanza, e, tanto nell’originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore che indica il proprio codice fiscale. La procura al difensore dell’attore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell’atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata. La disposizione del comma precedente non si applica quando la legge richiede che la citazione sia sottoscritta dal difensore munito di mandato speciale.




MARCHI D’IMPRESA

MARCHI D’IMPRESA: parte il procedimento di opposizione per i marchi nazionali 01/07/2011

E’ stata attivata la nuova procedura di opposizione alla registrazione dei marchi di impresa che consente di far valere, davanti all’UIBM, alcuni impedimenti alla registrazione del marchio. La procedura è stata disciplinata con il decreto del Ministro dello sviluppo economico dell’11 maggio 2011, recante i termini e le modalità di deposito dei diritti di opposizione nonché alcune modalità di applicazione delle norme sulla procedura di opposizione.

Fino ad oggi per poter opporsi alla registrazione di un marchio nazionale era possibile solo rivolgersi davanti alle sezioni specializzate in proprietà industriale dei Tribunali. Ora invece è possibile seguire questa procedura più snella ed economica. Dalla data di pubblicazione di un marchio nazionale sul Bollettino ufficiale decorre il termine di tre mesi per la presentazione dell’atto di opposizione all’Ufficio italiano brevetti e marchi.

Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico 11 maggio 2011

Regolamento di attuazione del Codice della proprietà industriale

Codice della Proprietà Industriale




Project Financing: incontro sugli aspetti legali e finanziari

Project Financing: incontro sugli aspetti legali e finanziari e su casi pratici

26/05/2011

In periodo di crisi per i bilanci delle amministrazioni pubbliche, realizzare opere di pubblica utilità è diventato sempre più difficile. Per questo si ricorre al Project Financing, cioè si fanno realizzare le opere pubbliche a privati, che si ripagano l’investimento attraverso la gestione, per un certo periodo, dell’opera realizzata.

Ampia Prof, associazione di formazione e confronto interprofessionale, con collaborazione della sezione di Parma dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati ed il patrocinio del Comune di Parma, ha organizzato un incontro, presso l’Hotel Stendhal a Parma, per far meglio conoscere l’istituto del Project Financing alle diverse figure professionali che possono essere coinvolte, come gli ingegneri, gli architetti, gli avvocati, i commercialisti e gli amministratori pubblici.

Ha introdotto l’incontro l’avv. Carlo Rossi, che ha sottolineato l’importanza che diversi professionisti si incontrino per confrontarsi e discutere di attività che li vedono lavorare in sinergia, come avviene nei progetti di project financing.

E’ stato quindi affrontato il tema relativo agli aspetti normativi del project financing dall’ avv. Paolo Michiara, professore a contratto di legislazione delle opere pubbliche e dell’edilizia presso la facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Parma.

L’ing. Albino Carpi, direttore della Direzione Speciale Finanza di Progetto del Comune di Parma, ha ricordato come il project financing sia stato utilizzato negli Stati Uniti già dagli anni ‘50 del passato secolo e nel Regno Unito dagli anni ’80, e anche in Italia è stato applicato da tempo una specie di project financing, soprattutto per la realizzazione e la gestione delle autostrade. L’Ing. Carpi ha però precisato che la realizzazione di lavori pubblici e di pubblica utilità attraverso il project financing deve essere valutata con attenzione affinché il rischio finanziario della realizzazione dell’opera non ricada sull’amministrazione pubblica.

In seguito il prof. Alberto Petroni, presidente del Corso Unificato in Ingegneria Gestionale presso la facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Parma, ha illustrato gli aspetti finanziari della finanza di progetto, evidenziando che nel project financing hanno un ruolo fondamentale le banche, che richiedono rigorosi piani economico finanziari e precise garanzie per rilasciare i finanziamenti necessari per la realizzazione delle opere.

Ha chiuso l’incontro il rag. Raffaele Quarantelli, commercialista e revisore contabile in Parma ed esperto del settore, che ha riportato alcuni casi pratici di opere realizzate attraverso il project financing a Parma, fra cui la ristrutturazione del complesso ex Coni in viale Rustici (ora Spa Center), la costruzione del centro polisportivo Ercole Negri – Campus Sport Center e la ristrutturazione della piazza Ghiaia.




Opposizione di terzo contro il pignoramento

In caso di pignoramento di computer e altre macchine per l’ufficio presso la sede del debitore, un terzo può opporti affermando di essere il reale proprietario dei beni solo se lo dimostra con atto avente data certa che identifichi precisamente o beni stessi.

Tribunale Bari, sez. II, 07 aprile 2011 n. 1266

L’opposizione di terzo all’esecuzione, a norma dell’art.619 c.p.c., è un’azione di accertamento negativo, diretta a vincere la presunzione iuris tantumm di appartenenza al debitore dei beni staggiti nella casa di abitazione o nell’azienda dello stesso, mediante la prova della proprietà dell’opponente e la correlativa negazione del diritto del creditore di procedere alla loro espropriazione. Tale prova deve essere fornita nel rispetto dei limiti fissati dall’art. 621 c.p.c., che mira ad impedire situazioni fraudolenti in danno del creditore, in virtù del quale il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell’azienda del debitore, tranne che l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore. Incombe pertanto all’opponente l’onere della prova dell’acquisto dei beni pignorati con atto avente data certa anteriore al pignoramento , nonché dell’affidamento degli stessi al debitore a titolo diverso dalla proprietà. Di contro, nel caso di comunanza di abitazione o di coincidenza della sede aziendale del debitore e del terzo, questi deve fornire esclusivamente la prova della proprietà, con i limiti innanzi richiamati.

> Sentenza completa <




MARCHI D’IMPRESA

MARCHI D’IMPRESA: la quarta striscia non è sufficiente ad evitare la condanna per contraffazione.

Una società produttrice di abbigliamento sportivo ha deciso di sfruttare la notorietà del famoso marchio a tre strisce registrato da Adidas AG creando una linea di abbigliamento contraddistinta da un marchio a quattro strisce.
La nota società tedesca di abbigliamento sportivo ha immediatamente convenuto in causa la concorrente per contraffazione del marchio ed ha ottenuto la condanna della stessa.
I giudici baresi hanno infatti rilevato che la “presenza di quattro strisce, anziché tre, non esclude la confondibilità tra i rispettivi segni e quindi la contraffazione, non essendo sufficiente l’aggiunta di una striscia per uscire dall’ampia sfera di protezione di cui gode il Marchio di Adidas”, in quanto “il segno usato dal convenuto non è un segno “diverso” da quello a tre strisce di Adidas, bensì lo “stesso” Marchio Adidas al quale viene semplicemente aggiunta una striscia parallela”.
I giudice quindi, accertata la contraffazione del marchio, ha condannato la convenuta al risarcimento del danno nei confronti della società attrice, valutato in via equitativa in 15.000 euro, oltre al pagamento delle spese legali.
 

Sentenza del Tribunale di Bari del 28 giugno 2010




Decreto Ingiuntivo per il pagamento della ristrutturazione

Proprietario di immobile condannato al pagamento della ristrutturazione e delle spese legali.

Tribunale di Larino 22 luglio 2010

Il proprietario di un immobile non voleva pagare le spese della ristrutturazione e si è opposto al decreto ingiuntivo del Tribunale affermando che la ristrutturazione non era stata effettuata come concordato.
Nel corso del giudizio il proprietario dell’immobile non ha fornito però alcuna prova di tale presunto inadempimento da parte della ditta edile, limitandosi invece a sostenere che i lavori erano stati eseguiti negligentemente.
Il giudice, affermando che era onere del proprietario provare che i lavori non erano stati eseguiti in maniera corretta, lo ha definitivamente condannato al pagamento della ristrutturazione e delle spese legali, confermando il seguente principio di diritto già fatto proprio dalla Corte di Cassazione:  il creditore che agisce in giudizio per la risoluzione contrattuale o per il risarcimento del danno deve dar prova della sola fonte del suo diritto e del relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento di controparte, mentre spetterà al debitore convenuto dimostrare il fatto estintivo della pretesa attorea.