RES contro R.E.S ALL IN ONE – Divisione d’Opposizione 10.08.2016

marchio RES contro marchio R.E.S ALL IN ONE

Nella fattispecie siamo di fronte a due marchi che rappresentano entrambi prodotti e servizi nell’ambito dell’informatica. Il marchio R.E.S ALL IN ON, marchio posteriore contestato, può essere confuso con il marchio anteriore RES in quanto il Software del marchio contestato è pure incluso nella lista di prodotti dell’opponente e quindi questi prodotti sono identici.  I servizi contestati Installazione di software; Aggiornamento di software; Manutenzione di software; Locazione di software informatici presentano vari punti di contatto con i servizi di progettazione di software del marchio sul quale si basa l’opposizione. Questi programmi non solo sono destinati ai medesimi consumatori, ma possono avere la medesima origine ed essere distribuiti attraverso gli stessi canali. In considerazione di ciò, la Divisione d’Opposizione ritiene che questi servizi siano simili. Nel presente caso, la Divisione d’Opposizione ritiene altresì opportuno incentrare la comparazione dei segni su quella parte del pubblico di riferimento dotata di una sufficiente conoscenza della lingua inglese. Se a ciò si aggiunge il fatto che l’elemento verbale aggiuntivo del marchio contestato possiede un carattere debole, almeno per la parte del pubblico di lingua inglese, la Divisione d’Opposizione ritiene che sussista un rischio di confusione in quanto le differenze esistenti tra i segni sono limitate ad elementi ed aspetti deboli o, come visto poc’anzi, secondari.

 

OPPOSIZIONE N. B 2 617 309

Real Enterprise Solutions Nederland BV, Het zuiderkruis 33, 5215 MV Den Bosch, The Netherlands (opponente), rappresentata da Novagraaf Nederland B.V., Hoogoorddreef 5, 1101 BA Amsterdam, The Netherlands (rappresentante professionale)

c o n t r o

Carlo Della Coletta, strada Zagazulu 13-19 bloc B etaj 3 ap. 326 sector 1, 012829, Bucarest, Romania (richiedente).

Il 10/08/2016, la Divisione d’Opposizione emana la seguente

 

DECISIONE:

1. L’opposizione n. B 2 617 309 è accolta per tutti i prodotti e servizi contestati.

2. La domanda di marchio dell’Unione europea n. 14 494 199 è totalmente respinta.

3. Il richiedente sopporta l’onere delle spese, fissate in 650 EUR.

MOTIVAZIONE:

L’opponente ha presentato opposizione contro tutti i prodotti e servizi della domanda di marchio dell’Unione europea n. 14 494 199. L’opposizione si basa, inter alia, sulla registrazione di marchio internazionale n. 933 329 che designa l’Unione europea. L’opponente ha invocato l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMUE.

RISCHIO DI CONFUSIONE – ARTICOLO 8, PARAGRAFO 1, LETTERA b), RMUE

Sussiste un rischio di confusione se vi è il rischio che il pubblico possa ritenere che i prodotti o i servizi in questione, qualora rechino i marchi di cui trattasi, provengano dalla medesima impresa o, a seconda dei casi, da imprese economicamente collegate. La sussistenza di un rischio di confusione dipende dall’apprezzamento, nell’ambito di una valutazione globale, di diversi fattori che sono in rapporto di reciproca dipendenza.. Tali fattori includono la somiglianza dei segni, la somiglianza dei prodotti e dei servizi, il carattere distintivo del marchio anteriore, gli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto così come il pubblico di riferimento.

L’opposizione si basa su più di un marchio anteriore. La Divisione d’Opposizione ritiene opportuno, in primo luogo, esaminare l’opposizione in relazione alla registrazione di marchio internazionale n. 933 329 che designa l’Unione europea.

a) I prodotti e servizi

I prodotti e servizi sui quali si basa l’opposizione sono i seguenti:

Classe 9: Hardware e software; software per l’assistenza e la regolazione dello schermo a distanza, nonché per la ricerca e lo scaricamento di informazioni, file e documenti; software per lo scaricamento di messaggi, immagini e suono.

Classe 42: Servizi di specialisti informatici nel campo dei computer e dei database informatizzati; programmazione per computer; progettazione di software; informazioni in materia di (automazione/informatizzazione di) hardware e software per computer; servizi di specialisti informatici sul posto e non, servizi, anche relativi all’inventariazione o alla sicurezza dei sistemi, anche tramite reti di computer; servizi di specialisti informatici nel campo del commercio elettronico; programmazione per l’elaborazione elettronica dei dati; sviluppo e tecnica dei computer; gestione di progetti informatici (servizi di automazione); consulenza in materia di automazione e consulenza in materia di informatizzazione relativa a hardware e software di computer; analisi di consulenza in materia di informatizzazione; servizi di specialisti informatici nel campo della protezione del traffico dei dati tra computer.

I prodotti e servizi contestati sono i seguenti:

Classe 9: Software; Software specializzati; Software compilatori; Driver software; Software per tablet; Software bioinformatico; Software per le comunicazioni; Software di decodifica; Software per giochi; Software video interattivi; Software di screening del credito; Software per rappresentazione di tabelle; Cartucce [software] per computer; Software per realtà virtuale.

Classe 42: Sviluppo di software; Installazione di software; Locazione di software informatici; Ingegneria informatica; Progettazione di software informatici; Creazione di software; Aggiornamento di software; Manutenzione di software.

I fattori pertinenti per la comparazione dei prodotti o dei servizi includono, inter alia, la natura e la destinazione dei prodotti o dei servizi, i loro canali di distribuzione e punti vendita, i produttori, il metodo d’uso nonché la loro concorrenzialità o complementarità.

Prodotti contestati in classe 9

Il Software del marchio contestato è pure incluso nella lista di prodotti dell’opponente. Questi prodotti sono quindi identici.

I prodotti Software specializzati; Software compilatori; Driver software; Software per tablet; Software bioinformatico; Software per le comunicazioni; Software di decodifica; Software per giochi; Software video interattivi; Software di screening del credito; Software per rappresentazione di tabelle; Cartucce [software] per computer; Software per realtà virtuale sono compresi nell’ampia categoria di software dell’opponente. Pertanto, sono identici.

Servizi contestati in classe 42

I servizi contestati di Sviluppo di software; Progettazione di software informatici; Creazione di software sono sinonimi di progettazione di software dell’opponente. Questi servizi sono identici.

I servizi contestati di Ingegneria informatica includono, in quanto categoria più ampia i servizi di progettazione di software dell’opponente. Dal momento che la divisione d’opposizione non può scorporare ex officio la ampia categoria di servizi contestati, essi sono considerati identici ai servizi dell’opponente.

I servizi contestati Installazione di software; Aggiornamento di software; Manutenzione di software; Locazione di software informatici presentano vari punti di contatto con i servizi di progettazione di software del marchio sul quale si basa l’opposizione. Questi programmi non solo sono destinati ai medesimi consumatori, ma possono avere la medesima origine ed essere distribuiti attraverso gli stessi canali. In considerazione di ciò, la Divisione d’Opposizione ritiene che questi servizi siano simili.

b) Pubblico di riferimento – grado di attenzione

Si ritiene che il consumatore medio dei prodotti o dei servizi in questione sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre anche prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione del settore merceologico cui appartengono tali prodotti o servizi.

Nel presente caso, i prodotti e servizi che risultano essere identici o simili sono diretti sia al grande pubblico che a una clientela commerciale composta da soggetti dotati di conoscenze e competenze specifiche di tipo professionale. Si ritiene che il grado di attenzione sia medio.

c) La valutazione globale deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (11/11/1997, C 251/95, Sabèl, EU:C:1997:528, § 23).

Il carattere unitario del marchio dell’Unione europea comporta che un marchio dell’Unione europea anteriore può essere fatto valere in un procedimento di opposizione contro qualsiasi domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea che comprometta la protezione del primo marchio, anche se solo in relazione alla percezione dei consumatori in una parte dell’Unione europea (18/09/2008, C 514/06 P, Armafoam, EU:C:2008:511, § 57). Pertanto, un rischio di confusione solo per una parte del pubblico di riferimento dell’Unione europea è sufficiente per respingere la domanda contestata. Nel presente caso, la Divisione d’Opposizione ritiene opportuno incentrare la comparazione dei segni su quella parte del pubblico di riferimento dotata di una sufficiente conoscenza della lingua inglese.

Il marchio anteriore è un marchio denominativo formato dal termine “RES”, il quale in lingua inglese è un termine, in se, privo di significato.

Il segno contestato è un marchio figurativo composto da un quadrato di colore rosso ad effetto sfumato e dagli angoli arrotondati all’interno del quale si trovano, nella parte inferiore, le lettere “R.E.S.” riprodotte in caratteri di fantasia di colore blu dal contorno bianco seguite dai termini “ALL IN ONE”, anch’essi in caratteri di fantasia ma di colore bianco e dalle dimensioni leggermente inferiori. Questi elementi verbali sono posti sopra una linea orizzontale bianca. Il marchio presenta poi quattro elementi figurativi distinti posti nella parte superiore del quadrato rosso sopramenzionato. Dall’alto a sinistra e in senso orario si trovano un elemento rotondo giallo, due linee bianche dall’estremità destra arrotondata, sette rettangoli di varie dimensioni e colori e tre linee di colore blu a forma di onde. Questi elementi possono ricordare, rispettivamente, il sole, delle nuvole, il profilo assai stilizzato di una città e le onde del mare o di un lago. Per quanto riguarda il contenuto semantico dei termini inclusi nel marchio contestato, mentre l’acronimo “R.E.S.” non possiede nessun significato, la breve espressione “ALL IN ONE” sarà intesa come l’equivalente inglese dell’italiano “tutto/tutti in uno”.

Il marchio anteriore non presenta elementi che potrebbero essere considerati chiaramente più distintivi o più dominanti (visivamente di maggiore impatto) rispetto ad altri.

L’elemento “ALL IN ONE” del segno contestato sarà associato a una espressione che denota un singolo oggetto o sistema che consiste o funziona di o con diversi elementi (per la definizione in lingua inglese, si veda il dizionario Collins, Edizione online, alla pagina http://www.collinsdictionary.com/dictionary/english/all-in-one).

Tenendo a mente che i prodotti e servizi relativi sono software e servizi informatici che possono avere varie funzioni, questo elemento è debole per questi prodotti e servizi, in quanto costituisce una espressione che ne descrive caratteristiche positive.

Il marchio contestato non presenta elementi che potrebbero essere considerati più dominanti (visivamente di maggiore impatto) rispetto ad altri.

Visivamente, i segni coincidono nelle lettere “RES”, per quanto nel caso del marchio contestato seguite da punti e riprodotte in caratteri stilizzati. Tuttavia, essi differiscono nei restanti elementi verbali deboli del marchio impugnato, ovvero “ALL IN ONE” nonché nella totalità degli elementi figurativi del medesimo.

Per quanto riguarda quest’ultimo, si rammenta che quando i segni sono costituiti tanto da elementi verbali quanto da elementi figurativi, in linea di principio, l’elemento denominativo del segno di solito ha un impatto più forte sul consumatore rispetto all’elemento figurativo. Ciò è dovuto al fatto che il pubblico non tende ad analizzare i segni e farà più facilmente riferimento ai segni in questione utilizzando i loro elementi verbali piuttosto che descrivendone gli elementi figurativi (14/07/2005, T 312/03, Selenium-Ace, EU:T:2005:289, § 37; decisioni del 19/12/2011, R 233/2011 4 Best Tone (fig.) / BETSTONE (fig.), § 24; 13/12/2011, R 53/2011 5, Jumbo(fig.) / DEVICE OF AN ELEPHANT (fig.), § 59)

Pertanto, i segni sono simili in media misura.

Sotto il profilo fonetico, la pronuncia dei segni coincide nelle lettere “RES”. La pronuncia differisce nel suono delle lettere “ALL IN ONE” del marchio contestato, che non hanno controparte nel segno anteriore. Si tenga tuttavia in considerazione il fatto che quest’ultima espressione ha carattere debole. Alla luce di ciò i segni sono foneticamente molto simili.

Sotto il profilo concettuale, mentre il segno contestato sarà percepito come dotato di un certo contenuto semantico, derivante dalla presenza dell’elemento verbale “ALL IN ONE” e dai possibili significati attribuibili ai quattro elementi figurativi visti sopra, l’altro segno è privo di qualsiasi significato in tale territorio. Poiché uno dei due segni non sarà associato ad alcun significato, i marchi in questione non sono concettualmente simili.

Dato che i segni sono stati rilevati essere simili in almeno un aspetto del confronto, l’esame del rischio di confusione procederà.
d) Carattere distintivo del marchio anteriore

Il carattere distintivo del marchio anteriore è uno dei fattori di cui si deve tenere conto nella valutazione globale del rischio di confusione.

L’opponente non ha affermato in modo esplicito che il marchio è particolarmente distintivo in virtù del suo uso intensivo o della sua notorietà.

Di conseguenza, la valutazione del carattere distintivo del marchio anteriore si baserà sul suo carattere distintivo intrinseco. Nel caso presente, il marchio anteriore risulta, nel suo complesso, privo di qualsiasi significato per il pubblico del territorio di riferimento in relazione ai prodotti e servizi in questione. Pertanto, il carattere distintivo del marchio anteriore deve essere considerato normale.
e) Valutazione globale, altri argomenti e conclusione

I prodotti e servizi nelle classi 9 e 42 coperti dai marchi in disputa sono in parte identici e in parte simili. Il livello di attenzione sarà medio. I marchi presentano in particolare un elemento in comune, ovvero l’elemento verbale “RES”, per quanto, come specificato nella sezione c) della presente decisione, rappresentato in forma di acronimo e con caratteri stilizzati nel caso del marchio contestato.

Tuttavia, come visto sopra, il fatto che la raffigurazione dell’elemento verbale sia diversa nel caso del marchio impugnato non svolge un ruolo di particolare importanza. Lo stesso vale per i restanti elementi figurativi del marchio contestato, alla luce del fatto che l’elemento denominativo del segno di solito ha un impatto più forte sul consumatore rispetto all’elemento figurativo. Ciò è dovuto al fatto che il pubblico non tende ad analizzare i segni e farà più facilmente riferimento ai segni in questione utilizzando i loro elementi verbali piuttosto che descrivendone gli elementi figurativi.

Se a ciò si aggiunge il fatto che l’elemento verbale aggiuntivo del marchio contestato possiede un carattere debole, almeno per la parte del pubblico di lingua inglese, la Divisione d’Opposizione ritiene che sussista un rischio di confusione in quanto le differenze esistenti tra i segni sono limitate ad elementi ed aspetti deboli o, come visto poc’anzi, secondari.

Il rischio di confusione riguarda infatti situazioni nelle quali il consumatore confonde direttamente i marchi tra di loro oppure nelle quali il consumatore effettua un collegamento tra i segni in conflitto e presuppone che i prodotti designati appartengano alla stessa impresa o a imprese economicamente collegate.

Considerato quanto sopra, sussiste un rischio di confusione per la parte del pubblico di riferimento di lingua inglese. Come precedentemente precisato nella sezione c) della presente decisione, un rischio di confusione solo per una parte del pubblico di riferimento dell’Unione europea è sufficiente per respingere la domanda contestata.

Pertanto, l’opposizione basata sulla registrazione di marchio internazionale n. 933 329 che designa l’Unione europea deve considerarsi adeguatamente fondata. Ne discende che il marchio impugnato deve essere respinto per tutti i prodotti e servizi contestati.

Poiché la registrazione di marchio internazionale n. 933 329 porta all’accoglimento dell’opposizione e al rigetto del marchio impugnato per tutti i prodotti e servizi contro i quali essa era diretta, non è necessario esaminare l’altro diritto anteriore invocato dall’opponente (16/09/2004, T 342/02, Moser Grupo Media, S.L., EU:T:2004:268).
SPESE

Ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 1, RMUE, la parte soccombente in un procedimento di opposizione deve sopportare l’onere delle tasse e delle spese sostenute dall’altra parte.

Poiché il richiedente è la parte soccombente, deve farsi carico della tassa d’opposizione così come delle spese sostenute dall’opponente nel corso del procedimento.

Conformemente alla regola 94, paragrafi 3 e 6 e regola 94 paragrafo 7, lettera d), punto i) REMUE, le spese da rimborsare all’opponente sono la tassa d’opposizione e le spese di rappresentanza, fissate sulla base dell’importo massimo ivi stabilito.
La Divisione d’Opposizione

Karin KUHL Andrea VALISA
Michele M.
BENEDETTI-ALOISI

Ai sensi dell’articolo 59 RMUE, ognuna delle parti di un procedimento conclusosi con una decisione può ricorrere contro questa decisione a condizione che quest’ultima non abbia accolto le sue richieste. Ai sensi dell’articolo 60 RMUE il ricorso deve essere presentato per iscritto all’Ufficio entro due mesi a decorrere dal giorno della notifica della decisione. È presentato nella lingua della procedura in cui è stata redatta la decisione impugnata. Inoltre deve essere presentata una memoria scritta con i motivi del ricorso entro quattro mesi da tale data. Il ricorso si considera presentato soltanto se la tassa di ricorso di 720 EUR è stata pagata.

L’importo fissato nell’atto di determinazione delle spese potrà essere rivisto solo su richiesta mediante decisione della Divisione d’Opposizione. Ai sensi della regola 94, paragrafo 4, REMUE, tale richiesta dovrà essere presentata entro un mese dalla data di notifica dell’atto di determinazione delle spese e si considererà presentata solo dietro pagamento della tassa per il riesame della determinazione delle spese di 100 EUR (Allegato I A paragrafo 33 RMUE).




SIME contro SIME – Divisione d’Opposizione 09.08.2016

SIME contro SIME – Divisione d’Opposizione 09.08.2016

marchio SIME contro marchio SIME

 

I prodotti e i servizi non sono considerati simili o diversi tra loro per il solo fatto che figurino nella stessa classe o in classi distinte. La Divisione d’opposizione ha affermato che i prodotti – stiamo parlando di prodotti appartenenti al settore irrigazione da un lato e prodotti che appartengono al settore termoidraulico dall’altro – pur appartenendo alla stessa classe e pur avendo nella fattispecie concreta in comune l’utilizzo dell’acqua e dei tubi, siano considerabili simili  limitatamente a tali circostanze in  quanto un prodotto ha la funzione termoregolatrice e l’altro serve ad apportare nutrimento a colture agricole di vario tipo. Infatti il proposito dei prodotti è differente per cui non sono in competizione tra di loro e sebbene  il pubblico interessato possa essere lo stesso, tale circostanza non è un elemento di per sé sufficiente a riconoscere una similitudine tra i prodotti.

 

TESTO DELLA DECISIONE

OPPOSIZIONE N. B 2 153 909

Sime S.P.A.

c o n t r o

SIME – Idromeccanica S.R.L.

Il 09/08/2016, la Divisione d’Opposizione emana la seguente
DECISIONE:

1. L’opposizione n. B 2 153 909 è totalmente respinta.

2. L’opponente sopporta l’onere delle spese, fissate a 300 EUR.

MOTIVAZIONE:

L’opponente ha presentato opposizione contro tutti i prodotti della domanda di marchio dell’Unione europea n. 11 298 213 . L’opposizione si basa sulla registrazione di marchio dell’Unione europea n. 1 062 132 . L’opponente ha invocato l’articolo 8, paragrafo 1, lettere a) e b), RMUE, e l’articolo 8, paragrafo 4, RMUE.

RISCHIO DI CONFUSIONE – ARTICOLO 8, PARAGRAFO 1, LETTERA b), RMUE

Sussiste un rischio di confusione se vi è il rischio che il pubblico possa ritenere che i prodotti o i servizi in questione, qualora rechino i marchi di cui trattasi, provengano dalla medesima impresa o, a seconda dei casi, da imprese economicamente collegate. La sussistenza di un rischio di confusione dipende dall’apprezzamento, nell’ambito di una valutazione globale, di diversi fattori che sono in rapporto di reciproca dipendenza.. Tali fattori includono la somiglianza dei segni, la somiglianza dei prodotti e dei servizi, il carattere distintivo del marchio anteriore, gli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto così come il pubblico di riferimento.
a) I prodotti

I prodotti sui quali si basa l’opposizione sono i seguenti:

Classe 11: Radiatori e caldaie in ghisa per impianti di riscaldamento a gas, gasolio e carbone; impianti di riscaldamento, caldaie per impianti di riscaldamento; bruciatori per impianti di vapore; impianti ed apparecchi per la refrigerazione ed il condizionamento; impianti di essiccamento e di ventilazione; depuratori non automatici per impianti di riscaldamento; impianti di riscaldamento ad acqua calda; umidificatori per radiatori di riscaldamento centrale; apparecchi di riscaldamento a combustione solido, liquido, gassoso; radiatori per riscaldamento centrale; apparecchi riscaldatori d’acqua; riscaldatori d’acqua; caldaie di bollitori; alimentori di caldaie di riscaldamento; canne fumarie di caldaie di riscaldamento; tubi di caldaie di riscaldamento.

I prodotti contestati sono i seguenti:

Classe 11: Irrigatori per impianti di irrigazione e ricambi.

In via preliminare, occorre osservare che, secondo l’articolo 28, paragrafo 7, RMUE, i prodotti e i servizi non sono considerati simili o diversi tra loro per il fatto che figurano nella stessa classe o in classi distinte della classificazione di Nizza.

I fattori pertinenti per la comparazione dei prodotti o dei servizi includono, inter alia, la natura e la destinazione dei prodotti o dei servizi, i loro canali di distribuzione e punti vendita, i produttori, il metodo d’uso nonché la loro concorrenzialità o complementarità.

Se così, l’affermazione dell’opponente secondo cui i prodotti inclusi nella medesima classe sono per lo meno simili deve essere rigettata. Se così non fosse, si arriverebbe a comparazioni assurde come, ad esempio, una somiglianza fra estintori e software solo perché entrambi i prodotti sono inclusi nella classe 9.

I prodotti dell’opponente appartengono al settore della termoidraulica che è il settore che si occupa degli impianti termici ed idraulici di un edificio nel loro complesso. In altre parole si tratta sostanzialmente di apparecchi di regolazione termica (aria condizionata, radiatori e delle loro parti come i bruciatori, caldaie alimentate in differenti maniere, etc.).

I prodotti impugnati appartengono al settore dell’irrigazione che è il settore che si occupa di provvedere all’approvvigionamento di acqua per colture agricole o domestiche ad esempio giardini o anche solo terrazze e balconi in cui sono presenti piante.

Sebbene non si possa negare che entrambi i settori abbiano in comune l’utilizzo dell’acqua e di tubi, le similitudini fra i due settori sono limitate a tali circostanze.
Si rileva, infatti, che:

– il proposito dei prodotti è differente. I primi hanno una funzione termoregolatrice, mentre i secondi servono ad apportare nutrimento a colture di vario tipo;
– i canali di distribuzione sono differenti, gli installatori sono differenti ed hanno bisogno di know- how differenti;
– le aziende che realizzano i prodotti sono differenti e sfruttano know- how differenti;
– i prodotti non sono in competizione fra loro poiché soddisfano diversi bisogni, né complementari in quanto non esiste tra loro alcuna correlazione di impiego;
– sebbene il pubblico interessato possa essere lo stesso, poiché ad esempio il proprietario di un edificio può avere bisogno di entrambi i prodotti, tale circostanza non è sufficiente a trovare un elemento di somiglianza. La possibile identità del consumatore finale non è un elemento di per sé sufficiente a riconoscere una similitudine fra prodotti e/o servizi in comparazione.
b) Conclusione

Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMUE, la somiglianza dei prodotti o dei servizi è una condizione necessaria per la sussistenza del rischio di confusione. Poiché i prodotti sono chiaramente dissimili, una delle condizioni necessarie enunciate dall’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMUE non è soddisfatta. L’opposizione deve quindi essere respinta. Per la stessa ragione l’opposizione deve altresì essere respinta nella misura in cui è basata sull’articolo 8, paragrafo 1, lettera a) RMUE

Poiché i prodotti sono dissimili non è necessario analizzare la prova d’uso presentata dall’opponente del segno anteriore. Allo stesso modo è irrilevante la rivendicazione di capacità distintiva accresciuta tramite l’uso dell’opponente poiché ai sensi dell’articolo 8, pargarafo,1 lettera b) la somiglianza dei prodotti/servizi è uno dei due requisiti cumulativi del rischio di confusione.

L’esame dell’opposizione continuerà sulla base dell’articolo 8, paragrafo 4 RMUE.

MARCHIO NON REGISTRATO O UN ALTRO SEGNO USATO NELLA PRASSI COMMERCIALE – ARTICOLO 8, PARAGRAFO 4, RMUE
Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, RMUE, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio non registrato o di un altro segno utilizzato nella normale prassi commerciale e di portata non puramente locale, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se e in quanto, conformemente a una normativa dell’Unione o alla legislazione dello Stato membro che disciplina detto segno:
(a) sono stati acquisiti diritti a detto contrassegno prima della data di presentazione della domanda di marchio dell’Unione europea, o della data di decorrenza del diritto di priorità invocato per presentare la domanda di marchio dell’Unione europea;
(b) questo contrassegno dà al suo titolare il diritto di vietare l’uso di un marchio successivo.
I motivi del rifiuto previsti dall’articolo 8, paragrafo 4, RMUE sono quindi soggetti ai seguenti requisiti:
• il segno anteriore dev’essere stato utilizzato nella normale prassi commerciale e aver avuto una portata non puramente locale prima del deposito del marchio impugnato;
• conformemente alla legislazione che lo disciplina, prima del deposito del marchio impugnato l’opponente ha acquisito diritti sul segno sul quale si fonda l’opposizione, compreso il diritto di vietare l’uso di un marchio successivo;
• le condizioni alle quali l’uso di un marchio successivo può essere proibito sono soddisfatte in relazione al marchio impugnato.
Poiché tali condizioni sono cumulative, qualora un segno non soddisfi una di tali condizioni, l’opposizione fondata sull’esistenza di un marchio non registrato o di un altro segno utilizzato nella normale prassi commerciale, secondo il significato attribuito dall’articolo 8, paragrafo 4, RMUE, non può essere accolta.
In concreto l’opponente invoca la denominazione sociale FONDERIE SIME (S.p.A.) che in base alla visura camerale presentata è stata fondata nel 1980.
Le prove presentate dall’opponente, provando che detta denominazione sociale esiste, non soddisfino il requisito minimo di “portata non puramente locale” come previsto dall’articolo 8, paragrafo 4, RMUE.
Il contrassegno in questione ha una portata che non è puramente locale sul territorio rilevante qualora il suo impatto non sia circoscritto a una parte limitata del suddetto territorio, come in via generale è nel caso di una città o di una provincia
(24/03/2009, T 318/06 – T 321/06, General Optica, EU:T:2009:77, § 41).
Il requisito di un utilizzo nella normale prassi commerciale di portata non puramente locale può essere dimostrato in base all’esistenza di una rete di succursali economicamente attive su tutto il territorio interessato, ma anche in modo più semplice, per esempio producendo fatture rilasciate al di fuori della regione in cui si trova la sede, articoli di stampa che mettano in evidenza il grado di notorietà del contrassegno fatto valere tra il pubblico o dimostrando che si fa riferimento all’esercizio commerciale nelle guide di viaggio (24/03/2009, T 318/06 – T 321/06, General Optica, EU:T:2009:77, § 43). Il segno deve essere utilizzato in una parte rilevante del territorio di protezione (29/03/2011, C 96/09 P, Bud, EU:C:2011:189, § 159).
Nel caso in questione, i documenti presentati, ovvero “la visura camerale della Società “FONDERIE SIME S.p.A.”, non forniscono alla Divisione d’Opposizione informazioni sufficienti sul volume commerciale, sulla durata e sulla frequenza dell’uso.
Ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 1, RMUE, nel corso del procedimento l’Ufficio procede d’ufficio all’esame dei fatti. Tuttavia, nei procedimenti concernenti impedimenti relativi alla registrazione, l’Ufficio si limita, in tale esame, ai fatti, alle prove e agli argomenti addotti e alle richieste presentate dalle parti.
Ne discende che l’Ufficio non può tenere conto di diritti asseriti per i quali l’opponente non abbia prodotto prove adeguate.
Conformemente alla regola 19, paragrafo 1, REMUE, l’Ufficio dà alla parte opponente l’opportunità di presentare i fatti, le prove e le osservazioni a sostegno della sua opposizione o di completare eventuali fatti, prove od osservazioni che siano già stati presentati insieme con l’atto di opposizione entro un termine fissato dall’Ufficio.
Conformemente alla regola 19, paragrafo 2, REMUE, entro il termine di cui sopra, l’opponente deposita inoltre le prove dell’esistenza, della validità e della portata della protezione del suo marchio anteriore o diritto anteriore, nonché la prova del suo diritto a proporre opposizione.
Il 22/03/2013 sono stati concessi all’opponente due mesi, a decorrere dalla scadenza del periodo di riflessione (cooling-off) per presentare il suddetto materiale. Tale termine è scaduto, a seguito di un’estensione, il 03/06/2015.
Le sole prove presentate dall’opponente in grado di completare l’unica prova prodotta sono le prove d’uso che l’Ufficio ha ricevuto in data 04/12/2015, cioè dopo la scadenza del suddetto limite di tempo (03/06/2015)
Ai sensi della regola 19, paragrafo 4, REMUE, l’Ufficio non tiene conto delle osservazioni o dei documenti scritti, o di loro parti, che non siano stati presentati o non siano stati tradotti nella lingua della procedura entro il termine stabilito dall’Ufficio.
Dal momento che non si può tener conto delle suddette prove, l’opponente non ha potuto dimostrare l’utilizzo nella normale prassi commerciale del segno sul quale si fonda l’opposizione.
Poiché uno dei necessari requisiti dell’articolo 8, paragrafo 4, RMUE non viene soddisfatto, l’opposizione dev’essere respinta in quanto infondata.
Ad abundantiam si rileva che ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 1, RMUE, nel corso della procedura l’Ufficio procede d’ufficio all’esame dei fatti; tuttavia, in procedure concernenti impedimenti relativi alla registrazione, l’esame si limita agli argomenti addotti e alle richieste presentate dalle parti.
Ai sensi della regola 19, paragrafo 2, lettera d), REMUE, se l’opposizione si basa su un diritto anteriore nel senso indicato all’articolo 8, paragrafo 4, RMUE, l’opponente deve fornire, la prova della sua acquisizione, della sua attuale esistenza e della portata della protezione di tale diritto.
Pertanto, spetta all’opponente presentare tutte le informazioni necessarie ai fini della decisione, anche attraverso l’individuazione della legge applicabile e fornendo tutte le informazioni necessarie per la sua corretta applicazione. Ai sensi della Giurisprudenza, spetta all’opponente “…l’onere di presentare all’EUIPO non soltanto gli elementi comprovanti che egli soddisfa le condizioni prescritte, ai sensi della normativa nazionale di cui chiede l’applicazione, … ma anche gli elementi che dimostrano il contenuto di tale normativa” (05/07/2011, C 263/09 P, Elio Fiorucci, EU:C:2011:452, § 50). Gli elementi di prova da presentare devono consentire alla Divisione d’Opposizione di stabilire con certezza che uno specifico diritto è previsto dalla legge in questione nonché quali siano le condizioni per l’acquisizione di tale diritto. Gli elementi di prova devono altresì chiarire se il titolare del diritto ha la facoltà di vietare l’uso di un marchio posteriore nonché quali siano le condizioni in base alle quali il diritto può prevalere ed essere applicato nei confronti di un marchio posteriore.
Per quanto concerne la legislazione nazionale, l’opponente è tenuto a citare le disposizioni della legislazione applicabile relative ai presupposti che disciplinano l’acquisizione di diritti nonché le disposizioni relative alla portata della protezione del diritto. L’opponente è tenuto a fornire un riferimento alla disposizione giuridica pertinente (numero dell’articolo, unitamente al numero e al titolo della norma) e il contenuto (testo) della disposizione giuridica, riportandolo nella documentazione presentata o mettendolo in evidenza in una pubblicazione allegata alla presentazione (ad esempio estratti da una gazzetta ufficiale, contributi giuridici o sentenze giudiziali). Poiché l’onere di provare il contenuto della normativa applicabile ricade sull’opponente, egli è tenuto a presentarne il testo in lingua originale. Qualora non si trattasse della lingua del procedimento, dovrà inoltre produrre una traduzione completa delle disposizioni giuridiche richiamate, in conformità alle norme standard di prova.

L’opponente è altresì tenuto a fornire elementi probatori adeguati comprovanti il rispetto delle condizioni di acquisizione e la portata della tutela del diritto invocato, nonché elementi probatori comprovanti l’effettivo soddisfacimento dei presupposti della protezione rispetto al marchio contestato. In particolare, ha l’obbligo di addurre argomentazioni convincenti a sostegno della tesi che la legislazione applicabile impedirebbe efficacemente l’uso del marchio contestato.

Qualora l’opponente invochi la Giurisprudenza nazionale per dimostrare la fondatezza delle proprie domande, questi deve altresì fornire all’Ufficio la relativa Giurisprudenza pertinente in modo sufficientemente dettagliato e non solo con generici riferimenti a pubblicazioni nella letteratura giuridica.
Nel caso di specie, l’opponente non ha fornito informazione sulla protezione giuridica accordata al tipo di segno commerciale invocato dall’opponente, vale a dire la denominazione sociale FONDERIE SIME S.P.A.. L’opponente non ha fornito alcuna informazione sul possibile contenuto dei diritti invocati o sulle condizioni che l’opponente stesso deve rispettare per potere vietare l’uso del marchio contestato ai sensi delle legislazioni in ciascuno degli Stati membri citati dall’opponente.
L’opposizione è quindi infondata anche ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 4, RMUE e deve essere rigettata nella sua interezza

SPESE

Ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 1, RMUE, la parte soccombente in un procedimento d’opposizione deve sopportare l’onere delle tasse e delle spese sostenute dall’altra parte.

Poiché l’opponente è la parte soccombente, deve farsi carico delle spese sostenute dal richiedente nel corso del procedimento.

Conformemente alla regola 94, paragrafi 3 e regola 94 paragrafo 7, lettera d), punto ii) REMUE, le spese da rimborsare al richiedente sono le spese di rappresentanza, fissate sulla base dell’importo massimo ivi stabilito.
La Divisione d’Opposizione

Karin KUHL Michele M.
BENEDETTI – ALOISI
Andrea VALISA

Ai sensi dell’articolo 59 RMUE, ognuna delle parti di un procedimento conclusosi con una decisione può ricorrere contro questa decisione a condizione che quest’ultima non abbia accolto le sue richieste. Ai sensi dell’articolo 60 RMUE il ricorso deve essere presentato per iscritto all’Ufficio entro due mesi a decorrere dal giorno della notifica della decisione. È presentato nella lingua della procedura in cui è stata redatta la decisione impugnata. Inoltre deve essere presentata una memoria scritta con i motivi del ricorso entro quattro mesi da tale data. Il ricorso si considera presentato soltanto se la tassa di ricorso di 720 EUR è stata pagata.

L’importo fissato nell’atto di determinazione delle spese potrà essere rivisto solo su richiesta mediante decisione della Divisione d’Opposizione. Ai sensi della regola 94, paragrafo 4, REMUE, tale richiesta dovrà essere presentata entro un mese dalla data di notifica dell’atto di determinazione delle spese e si considererà presentata solo dietro pagamento della tassa per il riesame della determinazione delle spese di 100 EUR (Allegato I A paragrafo 33 RMUE).




MARCHIO NOTORIO contro MARCHIO SIMILE A NOTORIO – Quinta commissione di ricorso 14.07.2016

MARCHIO NOTORIO contro MARCHIO SIMILE A NOTORIO – Quinta commissione di ricorso 14.07.2016

marchio NORCINERIA FIORUCCI DAL 1850  contro marchio VINI FIORUCCI

La Quinta commissione di ricorso si è espressa rispetto alla complessa vicenda intercorsa tra il noto marchio NORCINERIA FIORUCCI DAL 1850 , storico marchio conosciuto specie nelle regioni di Umbria e Lazio, per la produzione di salumi e insaccati e VINI FIORUCCI, marchio  successivamente registrato, il cui ambito principale di applicazione è quello delle bevande alcoliche. Secondo la giurisprudenza,  quando un terzo tenta, mediante l’uso di un marchio simile a un marchio notorio, di porsi nel solco tracciato da quest’ultimo, al fine di beneficiare del suo potere attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio, nonché di sfruttare, senza alcun corrispettivo economico e senza dover operare sforzi propri a tale scopo, lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio anteriore per creare e mantenere l’immagine di detto marchio, si deve considerare il vantaggio derivante da siffatto uso come indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio in parola.  Nel nostro caso  il settore della salumeria non trova la sua naturale espansione in quello delle bevande alcoliche e viceversa, e l’azienda che fa capo al marchio notorio non ha presentato nessun argomento convincente per confutare tale conclusione.
Dunque, il pubblico non vincolerà, né stabilirà un nesso tra i due marchi poiché, conscio dell’attuale pratica nel mercato, questo non sarà propenso a ritenere che il marchio notorio, per quanto reputato nel settore della salumeria, abbia deciso di estendere la sua attività al settore delle bevande alcoliche,  tenendo altresì conto dell’elevata reputazione e notorietà dei marchi anteriori, visto che esse si riferiscono solo a salumi ed insaccati.

TESTO DELLA DECISIONE

Nel procedimento R 939/2015-5

CESARE FIORUCCI S.p.A.
Viale Cesare Fiorucci, 11
00040 Pomezia (RM)
Italia
Opponente / Ricorrente
rappresentato da BARZANÒ & ZANARDO, via Piemonte, 26, 00187 Roma, Italia

contro

Daniele Fiorucci
Via PIERSANTI N.58
NORCIA (PG)
Italia
Richiedente / Resistente
rappresentato dall’AVV. F. MUSELLA, via Miguel Cervantes de Saavedra n. 64, 80133 Napoli, Italia

RICORSO relativo al procedimento di opposizione n. B 2 248 931 (domanda di marchio dell’Unione europea n. 11 814 571)

LA QUINTA COMMISSIONE DI RICORSO
composta da G. Humphreys (Presidente e Relatore), A. Pohlmann (Membro) e V. Melgar (Membro)
Cancelliere: H. Dijkema
ha pronunciato la seguente

Decisione

Sintesi dei fatti

1 Con domanda del 14 maggio 2013, Daniele Fiorucci (“la richiedente”) chiedeva la registrazione del marchio denominativo
VINI FIORUCCI

per i seguenti prodotti e servizi
Class 33 – Bevande alcoliche (escluse le birre); Acquaviti; Alcool di menta; Alcool di riso; Alcoolici; Amari [liquori]; Anice [liquore]; Anisetta; Aperitivi; Arack; Bevande alcooliche ad eccezione delle birre; Bevande alcooliche contenenti frutta; Bevande alcooliche premiscelate, tranne che a base di birra; Bevande distillate; Cocktails; Curaçao; Digestivi [alcooli e liquori]; Essenze alcooliche; Estratti alcoolici; Estratti di frutta con alcool; Gin [acquavite]; Idromele; Kirsch; Liquori; Nira [bevanda alcolica a base di canna da zucchero]; Rum; Saké; Sidro; Sidro di pere; Vinello; Vini; Vodka; Whisky.
Classe 43 – Bar-ristoranti; Caffetterie.

2 La domanda di marchio veniva pubblicata dall’Ufficio in data 18 giugno 2013.

3 In data 16 settembre 2013, CESARE FIORUCCI S.p.A. (“l’opponente”) presentava un’opposizione alla registrazione del marchio in questione per tutti i summenzionati prodotti e servizi.

4 L’opponente basava l’opposizione sui seguenti marchi anteriori:
– Marchio dell’Unione europea n. 10 862 878 , depositato il 7 maggio 2012 e registrato il 18 settembre 2012 per i seguenti prodotti:
Classe 29 – Carne, pesce, pollame e selvaggina; Estratti di carne; Frutta e ortaggi conservati, congelati, essiccati e cotti; Gelatine, marmellate, composte; Uova; Latte e prodotti derivati dal latte; Olii e grassi commestibili.
Classe 30 – Caffè, tè, cacao e succedanei del caffè; Riso; Tapioca e sago; Farine e preparati fatti di cereali; Pane, pasticceria e confetteria; Gelati; Zucchero, miele, sciroppo di melassa; Lievito, polvere per fare lievitare; Sale; Senape; Aceto, salse (condimenti); Spezie; Ghiaccio.
– Marchio italiano n. 1 097 202 FIORUCCI, depositato il 25 novembre 1974, registrato il 06 gennaio 1979 e rinnovato il 25 febbraio 2008 per prodotti della Classe 29.
– Marchio italiano n. 1 524 975 , depositato in data 8 giugno 2012 e registrato il 9 gennaio 2013 per i seguenti prodotti e servizi:
Classe 29 – Carne, pesce, pollame e selvaggina; estratti di carne; frutta e ortaggi conservati, congelati, essiccati e cotti; gelatine, marmellate composte; uova, latte e prodotti derivati dal latte; olii e grassi commestibili.
Classe 30 – Caffè, tè, cacao e succedanei del caffè; riso; tapioca e sago; farine e preparati fatti di cereali, pane, pasticceria e confetteria; gelati; zucchero, miele, sciroppo di melassa; lievito, polvere per fare lievitare; sale; senape; aceto, salse (condimenti); spezie; ghiaccio.

5 Con decisione del 16 marzo 2015 (“la decisione impugnata”), la Divisione di Opposizione accoglieva l’opposizione solo per una parte dei prodotti in contestazione e la rigettava per i seguenti prodotti e servizi:
Classe 33 – Acquaviti; Alcool di menta; Alcool di riso; Alcoolici; Amari [liquori]; Anice [liquore]; Anisetta; Aperitivi; Arack; Bevande alcooliche contenenti frutta; Bevande distillate; Cocktails; Curaçao; Digestivi [alcooli e liquori]; Essenze alcooliche; Estratti alcoolici; Estratti di frutta con alcool; Gin [acquavite]; Idromele; Kirsch; Liquori; Nira [bevanda alcolica a base di canna da zucchero]; Rum; Saké; Sidro; Sidro di pere; Vodka; Whisky.
Classe 43 – Bar-ristoranti; Caffetterie.
in quanto riteneva che in relazione a detti prodotti e servizi in contestazione non sussistesse rischio di confusione alcuno. In particolare, la

Divisione di Opposizione ravvisava quanto segue:

– L’opposizione basata sul marchio italiano anteriore n. 1 097 202 deve essere respinta in quanto infondata giacché l’opponente non ha provato l’esistenza, la validità e la portata della protezione di questo marchio anteriore entro il termine di cui alla regola 19, paragrafo 1, RMUE. L’esame dell’opposizione inizierà pertanto tenendo in conto il marchio dell’Unione europea anteriore n. 10 862 878.
– I prodotti contestati “vinello e vini e le bevande alcoliche (escluse le birre); bevande alcooliche ad eccezione delle birre; bevande alcooliche premiscelate, tranne che a base di birra” , queste ultime essendo categorie più ampie che comprendono anche prodotti quali i vini, presentano alcuni punti di contatto con l’aceto in Classe 30 dell’opponente. È vero che i prodotti contestati sono bevande alcoliche, mentre l’aceto non contiene alcool e serve per insaporire, condire o conservare i cibi; di qui il diverso metodo d’uso di questi prodotti. Inoltre, questi prodotti hanno normalmente una diversa origine. Tuttavia, la natura di questi prodotti è la medesima, essendo tutti frutto della lavorazione dell’uva. Inoltre, il pubblico rilevante è pure il medesimo. Pertanto, si ritiene che questi prodotti siano simili in basso grado.
– Parte dei prodotti contestati in Classe 33, ossia “acquaviti; alcool di menta; alcool di riso; alcoolici; amari [liquori]; anice [liquore]; anisetta; aperitivi; arak; bevande alcooliche contenenti frutta; bevande distillate; cocktails; curaçao; digestivi [alcooli e liquori]; essenze alcooliche; estratti alcoolici; estratti di frutta con alcool; gin [acquavite]; idromele; kirsch; liquori; nira [bevanda alcolica a base di canna da zucchero]; rum; sakè; sidro; sidro di pere; vodka; whisky”, questi prodotti non solo hanno diversi produttori, natura e canali di distribuzione rispetto ai prodotti nelle Classi 29 e 30 dell’opponente ma anche un diverso metodo d’uso e una diversa destinazione. Neppure tra di essi presentano alcun grado di concorrenzialità o complementarità. Pertanto, la Divisione di Opposizione li ritiene dissimili.
– I servizi contestati di “bar-ristoranti; caffetterie” comprendono essenzialmente la fornitura di cibi e bevande. Questi servizi sono destinati a servire cibo e bevande direttamente per il consumo. Il semplice fatto che i cibi e le bevande siano consumati in un ristorante non è una ragione sufficiente per individuare una somiglianza tra loro.
– La realtà del mercato dimostra che alcuni produttori di alimenti e/o bevande forniscono anche servizi di ristorazione sotto il loro marchio (ad es. il caffè e le relative caffetterie, il gelato e le relative gelaterie, la birra e i relativi pub); tuttavia questa non è una consuetudine commerciale consolidata e si applica più che altro ad aziende (economicamente) di successo. Queste circostanze debbono essere provate caso per caso. In altre parole debbono essere forniti elementi probatori convincenti che in una determinata realtà, anche nazionale, determinati produttori di cibi e bevande forniscono altresì direttamente servizi di ristorazione tramite il medesimo segno distintivo.
– Nel presente caso la Divisione di Opposizione ritiene che, in assenza di tale prova, non si può non concludere che i suddetti servizi e i prodotti dell’opponente nelle Classi 29 e 30 non presentino caratteristiche tali da permettere di giungere a una conclusione in senso positivo in tema di somiglianza tra di essi. La natura, la destinazione, la modalità d’uso e i canali di distribuzione sono diversi. L’origine abituale, come detto sopra, non è una consuetudine commerciale consolidata. Inoltre, a riguardo, l’opponente non ha fornito argomenti incontrovertibili di sorta. Pertanto, i prodotti e servizi ora oggetto di comparazione sono da ritenersi dissimili.
– Il territorio di riferimento è l’Unione Europea. Per motivi di economia procedurale, la Divisione di Opposizione incentrerà la comparazione dei segni su quella parte del pubblico di riferimento dotata di una sufficiente conoscenza della lingua italiana.
– Sotto il profilo visivo, i segni sono simili nella misura in cui coincidono nelle lettere “F-I-O-R-U-C-C-I”, per quanto, nel caso del marchio impugnato, con la limitazione dovuta all’uso di caratteri di fantasia. Essi differiscono negli elementi verbali aggiuntivi “NORCINERIA” e “DAL 1850” del marchio anteriore, nella parola “VINI” posta prima di “FIORUCCI” nel caso del marchio impugnato e, ancora per quanto concerne il marchio anteriore, negli elementi figurativi rappresentati dall’ovale di colore marrone e dal fiocco rossoverde.
– Sotto il profilo fonetico, la pronuncia dei segni coincide nel suono delle lettere che compongono il termine “F-I-O-R-U-C-C-I”, comune a entrambi i segni. Entro questi limiti essi sono simili dal punto di vista fonetico. La pronuncia dei segni differisce nel suono delle lettere “N-O-R-C-I-N-E-R-I-A” e “D-A-L”, oltre che nel suono derivante dalla pronuncia del numero “1850”, elementi questi del marchio anteriore e nel suono delle lettere della prima parola “V-I-N-I” del marchio impugnato.
– Sotto il profilo concettuale, il termine “FIORUCCI” che i segni hanno in comune sarà percepito dal pubblico di lingua italiana come un cognome, in special modo diffuso nelle regioni italiane dell’Umbria e del Lazio (vedasi l’informazione fornita a riguardo nella pagina web www.cognomix.it). Entro questi limiti, i segni sono concettualmente simili. Essi differiscono invece per quanto riguarda i rimanenti elementi presenti nei due segni, ossia, nel segno anteriore, la parola “NORCINERIA”, che sarà intesa come il “nome dato un tempo in Roma al locale in cui si macellava, si lavorava e si vendeva la carne di maiale e i prodotti di salumeria, rimasto più a lungo (e vivo ancora oggi) come insegna della bottega di vendita” (si veda la voce del Dizionario Treccani, Edizione online), l’espressione “DAL 1850”, che sarà percepita con il significato di “a partire dall’anno 1850” e, nel segno impugnato, il termine “VINI”, come il plurale della parola ‘VINO’, con il significato di ‘prodotto derivato dalla fermentazione alcolica, completa o parziale, del mosto di uve fresche o lievemente appassite, in presenza o in assenza delle parti solide, il cui titolo alcolico, secondo la regolamentazione vigente, non deve essere inferiore all’8,5% in volume (ad eccezione di alcune zone nelle quali è consentito, per diversità climatologiche e ambientali, un tenore non inferiore al 7%) […] (ibidem).
– Tenuto conto delle coincidenze visive, fonetiche e concettuali, si ritiene che i segni oggetto della comparazione siano simili.
– Il segno impugnato non ha elementi che potrebbero essere considerati dominanti (ovvero dotati di maggiore impatto visivo) rispetto ad altri.
– L’elemento “VINI” del segno impugnato è associato invariabilmente al concetto di prodotto derivato dalla fermentazione alcolica, completa o parziale, del mosto di uve fresche o lievemente appassite. Tenendo conto che i prodotti rilevanti sono bevande alcoliche, vino e vinello, si considera che questo elemento è privo di capacità distintiva per questi prodotti. La parte del pubblico di riferimento che comprende il significato dell’elemento non presterà la stessa attenzione a tale elemento privo di capacità distintiva che rivolgerà all’altro elemento più distintivo del marchio. Di conseguenza, l’impatto di tale elemento è da considerarsi limitato in sede di valutazione del rischio di confusione fra i marchi in questione. L’elemento “DAL 1850” del marchio anteriore sarà associato alla data di stabilimento dell’attività produttiva e commerciale. Si considera che questo elemento sia dotato di una limitata capacità distintiva, considerando che un’associazione verrà stabilita con la data di inizio dell’attività. La parte del pubblico di riferimento che comprende il significato dei detti elementi non presterà la stessa attenzione a tali elementi di limitata capacità distintiva che rivolgerà agli altri elementi più distintivi del marchio. Di conseguenza, l’impatto di tali elementi di limitata capacità distintiva è da considerarsi limitato in sede di valutazione del rischio di confusione fra i marchi in questione. L’elemento “FIORUCCI” nel marchio anteriore è l’elemento dominante in quanto dotato di maggiore impatto visivo. In virtù della sua posizione centrale e delle sue dimensioni, esso fa passare in secondo piano gli altri elementi verbali del marchio.
– Per quanto riguarda il marchio anteriore, va osservato che esso è composto da almeno un elemento verbale distintivo, ossia “FIORUCCI” e da elementi figurativi di natura prettamente decorativa dotati di capacità distintiva minore. È per questa ragione che l’elemento verbale “FIORUCCI” è considerato maggiormente distintivo rispetto agli elementi figurativi.
– Ad avviso dell’opponente, il marchio anteriore è stato usato in modo intensivo e gode di un ambito di protezione accresciuto. Tuttavia, per motivi di economia procedurale, nel caso presente non è necessario valutare le prove presentate dall’opponente a sostegno della sua rivendicazione.
– Di conseguenza, la valutazione del carattere distintivo del marchio anteriore si baserà sul suo carattere distintivo intrinseco che nella fattispecie deve essere considerato normale, nonostante la presenza in esso di alcuni elementi di modesta capacità distintiva.
– Nel presente caso, i prodotti che risultano essere simili in basso grado sono diretti al grande pubblico. Il livello di attenzione sarà medio.
– La Divisione di Opposizione ritiene che la parte del pubblico di lingua italiana si riferirà a entrambi i marchi principalmente attraverso il termine “FIORUCCI”, che non solo è visivamente assai simile e foneticamente identico, ma sarà anche associato ad un cognome diffuso specialmente nelle regione dell’Umbria e del Lazio.
– Posto quanto sopra, debitamente considerato ogni fattore di rilevanza nel presente caso, ivi incluso il principio d’interdipendenza a mente del quale un minor grado di somiglianza tra i marchi può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i prodotti (e viceversa), la Divisione d’Opposizione ritiene che sussista un rischio di confusione da parte del pubblico di riferimento di lingua italiana per i prodotti reputati identici e simili. Infatti, il marchio contestato deve essere respinto per i prodotti considerati simili in basso grado a quelli del marchio anteriore, data la corrispondenza tra l’elemento dominante del marchio anteriore e l’unico elemento distintivo del marchio impugnato.
– I restanti prodotti e servizi contestati sono dissimili. Poiché la somiglianza dei prodotti e servizi è una condizione necessaria per l’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, RMUE, l’opposizione basata su tale articolo e diretta contro i suddetti servizi non può essere accolta.
– Le stesse considerazioni sono valide anche in relazione al marchio italiano anteriore n. 1 524 975, che protegge prodotti identici a quelli che copre l’altro marchio anteriore considerato.
– In quanto all’articolo 8, paragrafo 5, RMUE, si ritiene che l’opponente non sia stato in grado di dimostrare che il pregiudizio o l’indebito vantaggio sono probabili, ossia prevedibili nel normale corso degli eventi. Infatti, l’opponente non ha presentato prove né ha svolto una coerente argomentazione da cui emerga in che cosa consisterebbero il pregiudizio o l’indebito vantaggio e come potrebbero verificarsi, in maniera che sia possibile concluderne prima facie che tale evento è effettivamente probabile nel normale corso degli eventi.
– Nel caso specifico, la Divisione di Opposizione non può che costatare come, oltre ad affermare la notorietà e a sostenere che i consumatori stabiliranno un nesso tra i marchi a causa delle somiglianze che si riscontrano fra essi, l’opponente non ha fornito alcun fatto, osservazione o prova, di carattere incontrovertibile, a sostegno della conclusione che l’uso del marchio contro cui viene proposta opposizione trarrebbe indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi.
– L’opponente non mostrato con dovizia di particolari, l’esistenza di casi reali estrapolati da concrete situazioni di mercato riguardanti una “espansione naturale del settore alimentare”, e quindi, nel caso presente, di un percorso effettivo di un qualsivoglia operatore commerciale che, a partire dal settore della salumeria, sia poi giunto a quello della fornitura di servizi di bar-ristoranti o caffetterie e della produzione di bevande alcoliche.
– L’opponente non ha presentato prove o almeno svolgere una coerente argomentazione da cui emergesse in che cosa consisterebbero il pregiudizio o l’indebito vantaggio e come potrebbero verificarsi, in maniera che fosse possibile concluderne prima facie che tale evento è effettivamente probabile nel normale corso degli eventi.
– Ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 1, RMUE, nel corso della procedura l’Ufficio procede d’ufficio all’esame dei fatti. Tuttavia, in procedure concernenti impedimenti relativi alla registrazione, l’esame si limita agli argomenti addotti e alle richieste presentate dalle parti. Dal momento che l’opponente non è stato in grado di fornire ragioni valide da cui si possa concludere che l’uso del segno impugnato possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà dei marchi anteriori o recare pregiudizio agli stessi, l’opposizione è considerata infondata ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, RMUE.

6 In data 14 maggio 2015 l’opponente presentava un ricorso avverso la decisione impugnata chiedendone l’annullamento nella misura in cui l’opposizione era stata respinta per i prodotti e servizi summenzionati al punto 5 della presente decisione (“i prodotti e servizi oggetto del ricorso”). L’Ufficio riceveva la memoria contenente i motivi di ricorso in data 16 luglio 2015.

7 Nelle sue osservazioni in risposta ricevute dall’Ufficio in data 2 ottobre 2015, la richiedente chiedeva il rigetto del ricorso.
Conclusioni e argomenti delle parti

8 Gli argomenti presentati a sostegno del ricorso possono essere sintetizzati come segue:
– Si ritiene che la Divisione di Opposizione abbia errato nel considerare che “aceto” coperto dal marchio anteriore non fosse simile ai prodotti oggetto del ricorso.
– In particolare, si reputa che la Divisione di Opposizione sia incorsa in una contraddizione affermando che non esiste somiglianza alcuna tra questi prodotti in conflitto quando, invece, tutti i prodotti oggetto del ricorso rientrano nella categoria di bevande alcoliche, le quali sono state ritenute simili all’“aceto”.
– Inoltre, in termini generali, si considera che esista una certa affinità tra i prodotti oggetto del ricorso e i prodotti delle Classi 29 e 30 poiché sono frequentemente consumati allo stesso tempo ed abbinati tra loro.
– La Divisione di Opposizione è incorsa in errore anche nel ritenere che i servizi oggetti del ricorso non fossero dissimili dai prodotti protetti dal marchio anteriore nella Classe 30.
– Il pubblico è infatti a conoscenza del fatto che produttori di alimenti e/o bevande forniscono anche servizi di ristorazione. Questa è, contrariamente a quanto affermato dalla Divisione di Opposizione, una consuetudine commerciale consolidata nel mercato. Si citano indirizzi di pagine web a sostegno di tale argomento.
– La Divisione di Opposizione avrebbe dovuto riconoscere che i prodotti e servizi in conflitto possono essere offerti dalla medesima impresa.
– Inoltre, non è infrequente che certi esercizi che offrono i servizi di bar e ristorazione offrano altresì la possibilità di ordinare e portare via i prodotti.
– Quindi, dato l’elevato grado di somiglianza tra i segni a raffronto e l’accresciuto carattere distintivo del marchio anteriore, esiste, contrariamente a quanto erroneamente concluso dalla Divisione di Opposizione, un rischio di confusione in relazione ai prodotti e servizi oggetto del ricorso.
– La decisione impugnata è altresì viziata da errore nella misura in cui l’Ufficio si è limitato unicamente a richiamare le argomentazioni presentate dall’opponente, concludendo aprioristicamente che esse non fossero sufficienti per dimostrare quanto richiesto dall’articolo 8, paragrafo 5, RMUE.
– Infatti, la Divisione id Opposizione avrebbe dovuto tenere conto della circostanza che i marchi anteriori godono di notorietà e prestigio in Italia per salumi insaccati. L’opponente ha investito ingenti somme di denaro per promuovere i suoi prodotti contraddistinti dia marchi anteriori. Infine, la richiedente non ha fornito una giusta causa per usare il marchio impugnato.
– Alla luce di ciò, così come del fatto che i segni sono molto simili e che i prodotti e servizi in conflitto sono quantomeno affini, è altamente probabile che, alla luce delle pratiche abituali nel settore commerciale pertinente, si possa produrre vantaggio indebito e/o arrecare un pregiudizio del carattere distintivo di questi marchi anteriori.

9 Gli argomenti presentati in risposta al ricorso possono essere sintetizzati come segue:
– I segni, nonostante coincidano nel termine “FIORUCCI”, presentano numerose differenze verbali e grafiche che permettono al pubblico di riferimento di distinguerli come appartenenti a distinte imprese.
– I prodotti e servizi in conflitto non sono simili così come dimostra la loro appartenenza a classi differenti. Inoltre, l’opponente non usa il marchio anteriore per i servizi della Classe 43.
– Dunque, poiché i prodotti e servizi designati dai marchi non sono simili, la Divisione di Opposizione ha concluso correttamente che, nel caso di specie, non sussiste rischio di confusione alcuno in relazione ai servizi oggetto del ricorso.
– In effetti, i prodotti e servizi di cui trattasi non sono complementari tra loro e quindi, anche qualora il marchio godesse di un elevato carattere distintivo, non si presentano le condizioni necessarie per accogliere l’opposizione relativamente ai servizi oggetto del ricorso.
– Inoltre, in quanto all’opposizione fondata sull’articolo 8, paragrafo 5, RMUE, non si comprende quale indebito vantaggio potrebbe mai ottenere il marchio impugnato visto che i marchi in conflitto operano in porzioni di mercato diverse.
– L’opponente è incorsa in un’evidente contraddizione nell’affermare che l’uso del marchio impugnato potrebbe arrecare pregiudizio al carattere distintivo del marchio anteriore. Infatti, l’opponente afferma che quella dei servizi di ristorazione rappresenterebbe un’espansione naturale della sua attività, per poi invece rivendicare che un uso del marchio in relazione ai detti servizi sarebbe pregiudiziale per il carattere distintivo del marchio anteriore. L’attività di ristorazione-bar-caffetteria sarebbe piuttosto un pregio e, in quanto tale, non apporta alcun detrimento alla rinomanza del marchio anteriore.
– È altresì doveroso aggiungere che l’opponente non pe stata in grado di fornire la prova di una concreta modifica del comportamento economico del consumatore di riferimento.
– L’esistenza di un giustificato motivo all’uso del marchio impegnato è dato dal fatto che esso corrisponde al cognome della richiedente.
Motivazione

10 Il ricorso è conforme agli articoli 58, 59 e 60, paragrafo 1, RMUE e alle regole 48 e 49 REMC. Pertanto, il ricorso è ammissibile.

11 Il ricorso è altresì parzialmente fondato e, nello specifico, in relazione ai servizi oggetto del ricorso nella Classe 43.
Questione preliminare

12 In via preliminare, è doveroso osservare che in sede di ricorso l’opponente non ha contestato la conclusione della Divisione di Opposizione che l’opposizione basata sul marchio italiano n. 1 097 202 è da ritenersi infondata. Pertanto, detto diritto anteriore resta escluso dal presente ricorso.

13 Inoltre, dato che la Divisione di Opposizione ha ravvisato che non sussiste un rischio di confusione con riguardo ai prodotti e servizi oggetto del ricorso tenendo prevalentemente in considerazione il marchio dell’Unione europea anteriore n. 1 062 878 (“il marchio anteriore considerato”), questa Commissione inizierà il riesame del caso valutando se il marchio impugnato e questo diritto anteriore su cui si basa l’opposizione possono indurre pubblico di riferimento in un rischio confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b) RMUE.
Articolo 8, paragrafo 1, lettera b,) RMUE

14 L’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMUE dispone che, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

15 Infatti, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico creda che i prodotti o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente collegate.
Pubblico di riferimento

16 La percezione dei marchi da parte del consumatore medio dei prodotti di cui trattasi svolge un ruolo determinante nella valutazione globale del rischio di confusione. Il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (v. 11/11/1997, C 251/95, Sabèl, EU:C:1997:528, § 25).

17 Nel caso in esame il territorio rilevante è costituito dall’Unione europea nel suo complesso e anche dall’Italia, poiché i marchi anteriori che devono essere considerati nella valutazione del rischio di confusione sono una registrazione di marchio dell’Unione europea e una registrazione italiana.

18 Con riguardo al marchio anteriore registrato presso l’Ufficio, occorre ricordare che per rifiutare la registrazione di un marchio dell’UE, è sufficiente che un impedimento relativo alla registrazione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b) RMUE esista in una parte dell’Unione (v. 21/03/2011, T 372/09, Gold Meister, EU:T:2011:97, § 20 e giurisprudenza ivi citata).

19 Pertanto, la Commissione in principio limiterà la sua valutazione del rischio di confusione ex articolo 8, paragrafo 1, lettera b) RMUE tenendo in conto la percezione della parte del pubblico di lingua italiana.

20 Occorre, altresì, prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del pubblico può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi (v. 22/06/1999, C 342/97, Lloyd Schuhfabrik, EU:C:1999:323, § 26).

21 Le parti convengono sul fatto che i prodotti e servizi coperti dai marchi in conflitto sono diretti al grande pubblico, cui consumatore medio si ritiene normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Tale valutazione è confermata dalla Commissione.
Comparazione dei prodotti e servizi

22 Con riguardo al raffronto dei prodotti e servizi di cui trattasi, va ricordato che esso va effettuato tenendo conto di tutti fattori pertinenti che caratterizzano la relazione tra i prodotti e servizi in questione. Tali fattori comprendono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, le loro modalità d’utilizzazione, nonché la loro possibile intercambiabilità o complementarità (v. 29/09/1998, C 39/97, Canon, EU:C:1998:442, § 23). Altri fattori da considerare includono l’origine dei prodotti e le relative reti di distribuzione e vendita.

23 Come risulta da una giurisprudenza costante, sono complementari quei prodotti o servizi tra i quali esiste una stretta correlazione, nel senso che l’uno è indispensabile o importante per l’uso dell’altro, di modo che i consumatori possano supporre che la responsabilità della fabbricazione di tali prodotti o della fornitura di questi servizi sia riconducibile a una stessa impresa (v. 22/01/2009, T 316/07, easyHotel, EU:T:2009:14, § 57, 58, e giurisprudenza ivi citata).

24 Nel caso di specie i seguenti prodotti e servizi oggetto del ricorso:
Classe 33 – Acquaviti; Alcool di menta; Alcool di riso; Alcoolici; Amari [liquori]; Anice [liquore]; Anisetta; Aperitivi; Arack; Bevande alcooliche contenenti frutta; Bevande distillate; Cocktails; Curaçao; Digestivi [alcooli e liquori]; Essenze alcooliche; Estratti alcoolici; Estratti di frutta con alcool; Gin [acquavite]; Idromele; Kirsch; Liquori; Nira [bevanda alcolica a base di canna da zucchero]; Rum; Saké; Sidro; Sidro di pere; Vodka; Whisky.
Classe 43 – Bar-ristoranti; Caffetterie.
devono essere raffrontati con i seguenti prodotti protetti dai marchi anteriori:
Classe 29 – Carne, pesce, pollame e selvaggina; Estratti di carne; Frutta e ortaggi conservati, congelati, essiccati e cotti; Gelatine, marmellate, composte; Uova; Latte e prodotti derivati dal latte; Olii e grassi commestibili.
Classe 30 – Caffè, tè, cacao e succedanei del caffè; Riso; Tapioca e sago; Farine e preparati fatti di cereali; Pane, pasticceria e confetteria; Gelati; Zucchero, miele, sciroppo di melassa; Lievito, polvere per fare lievitare; Sale; Senape; Aceto, salse (condimenti); Spezie; Ghiaccio.

25 L’opponente afferma essenzialmente che i summenzionati prodotti e servizi a confronto sarebbero simili in quanto, a suo avviso, è possibile che il pubblico di riferimento stabilisca una connessione tra essi. Inoltre, l’opponente argomenta che i prodotti oggetto del ricorso, essendo bevande alcoliche, sono comunque simili all’“aceto”, protetto dai marchi anteriori.

26 La Commissione, anche se riconosce che i prodotti in conflitto di cui sopra possono essere consumati nello stesso momento, non può tuttavia condividere la conclusione allegata dall’opponente circa una loro somiglianza rilevante ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMUE.

27 Infatti, tenendo conto dei criteri giurisprudenziali menzionati in precedenza, la Commissione ritiene che i prodotti in questione presentino numerosi aspetti differenti che li rendono dissimili agli occhi del pubblico destinatario.

28 In particolare, la Commissione reputa che la Divisione di Opposizione non sia incorsa in contraddizione alcuna nel non rilevare una similitudine rilevante tra questi prodotti e che abbia fornito valide ragioni a sostegno di questa valutazione.

29 In questo senso, è doveroso notare che nella dicitura “bevande alcoliche” rientrano non solo i prodotti oggetto del ricorso, ma anche i “vini” che, come correttamente rilevato nella decisione impugnata, presentano alcuni punti di contatto con l’“aceto”. Quindi, poiché la definizione generale appena menzionata contiene anche i “vini”, la Divisione di Opposizione ha lecitamente ritenuto che esiste una somiglianza tra questi ultimi e l’“aceto”. Tale somiglianza, tuttavia, non è apprezzabile con riguardo ai prodotti oggetto di ricorso, i quali sono differenti in natura dai “vini”.

30 Tenuto conto di quanto sopra e visto che la giurisprudenza ha chiaramente stabilito che per apprezzare una somiglianza rilevante tra i prodotti è necessario che i consumatori ritengano normale che i essi siano commercializzati con il medesimo marchio, il che comporta, di regola, che gran parte dei produttori o dei distributori rispettivi di tali prodotti siano i medesimi (v. 11/07/2007, T 150/04, Tosca Blu, EU:T:2007:214, § 37), la Commissione conclude che la Divisione di Opposizione ha a ragione ritenuto che questi prodotti in conflitto sono dissimili.

31 In quanto ai servizi oggetto del ricorso, l’opponente allega che, oggigiorno, macellerie e pescherie offrono servizi di ristorazione e che, inoltre, esistono caffetterie in cui è possibile acquistare le proprie miscele di caffè. L’opponente fornisce in supporto di quest’argomento gli indirizzi di alcune pagine web italiane. Si citano, a titolo di esempio, le seguenti:
www.amanowine.it/il-fornello-pronto/;
www.pescheriadaclaudio.it/pescheria-da-claudio-milano/;
www.ristorantepescheriamobydick.it/il-ristorante/ristorante-pescheria;
www.facebook.com/www.lagrigliata.it.

32 Secondo l’opponente, la Divisione di Opposizione avrebbe dovuto riconoscere che i servizi oggetto del ricorso e i prodotti protetti dal marchio anteriore considerato possono essere vincolati alla stessa impresa, o allo stesso gruppo di imprese, e che quindi sono simili come inteso dalla giurisprudenza.

33 La Commissione si trova d’accordo con tale linea di ragionamento che, come si espone in seguito, è confermata dalla recente giurisprudenza del Tribunale.

34 In effetti, anche se i prodotti e servizi di cui sopra non condividono la stessa natura, finalità e metodo d’uso e che quindi, stante questi criteri, non vi sarebbe, in principio, una somiglianza rilevante tra essi (v. 13/04/2011, T 345/09, Puerta de Labastida, EU:T:2011:173, § 51), essi sono complementari e, pertanto, in certa misura simili.

35 In particolare, i prodotti dell’opponente vengono necessariamente impiegati per servire cibo e bevande con la conseguenza che i prodotti e servizi in questione, al contrario di quanto ribadito dalla richiedente in sede di ricorso, sono complementari. Inoltre, il cibo e le bevande possono essere offerto in vendita negli stessi stabilimenti che servono cibo e bevande. Gli indirizzi di pagine web presentati dall’opponente offrono, in questo senso, evidenti esempi d’intersecazione e di sovrapposizione commerciale tra i settori a cui appartengono detti prodotti e servizi. Ne consegue che i servizi in contestazione presentano un nesso sufficientemente stretto con i prodotti dell’opponente (v. 18/02/2016, T 711/13 and T 716/13, HARRY’S BAR / PUB CASINO Harrys RESTAURANG (fig.) et al., EU:T:2016:82, § 59, 13/04/2011, T 345/09, Puerta de Labastida, EU:T:2011:173, § 52 e 15/02/2011, T 213/09, Yorma’s, EU:T:2011:37, § 46).

36 Pertanto, il pubblico destinatario potrebbe avere l’impressione che i prodotti e servizi in questione possano avere la medesima origine commerciale (v. 04/11/2003, T 85/02, Castillo, EU:T:2003:288, § 33). Quindi, la Commissione conclude che nel caso in esame esiste un certo grado di somiglianza, anche se non elevato, tra i prodotti e servizi a confronto (v. 18/02/2016, T 711/13 and T 716/13, HARRY’S BAR / PUB CASINO Harrys RESTAURANG (fig.) et al., EU:T:2016:82, § 60).

37 La Commissione considera come irrilevante l’affermazione della richiedente che l’opponente non avrebbe usato, né avrebbe intenzione di usare i marchi anteriori per i servizi che sono in contestazione. Infatti, la richiedente non aveva richiesto la prova dell’uso dei marchi anteriori dell’opponente innanzi alla Divisione di Opposizione e, inoltre, il raffronto dei prodotti e servizi deve tenere in considerazione il loro enunciato come rivendicato nella domanda o nella registrazione del marchio e non le loro reali condizioni di utilizzo o l’intenzione d’uso del titolare (v. 15/02/2011, T 213/09, Yorma’s, EU:T:2011:37, § 46, 22/03/2007, T 364/05, Pam Pluvial, EU:T:2007:96, § 61 e giurisprudenza ivi citata). È altresì irrilevante che i prodotti e servizi sono rivendicati in differenti classi, giacché secondo la regola 2, paragrafo 4, REMC, la classificazione di Nizza serve esclusivamente a fini amministrativi.
Comparazione dei segni

38 I segni da porre a confronto sono i seguenti:
VINI FIORUCCI
marchio impugnato marchio anteriore

39 In linea con la decisione impugnata, anche la Commissione focalizzerà il raffronto dei marchi in relazione alla percezione dei medesimi da parte del pubblico italiano.

40 Il segno contestato è un marchio puramente denominativo che è composto dalle parole “VINI” e “FIORUCCI”. Il segno dell’opponete è invece un marchio figurativo che include elementi verbali, ovverosia l’espressione “NORCINERIA FIORUCCI DAL 1850”, e grafici, vale a dire la rappresentazione di un ovale di colore marrone scuro che contiene gli elementi verbali e la rappresentazione di un fiocco di colore verde e rosso, coperto in parte dalla figura ovale appena menzionata.

41 Per quanto concerne la presenza nei segni a confronto di elementi maggiormente distintivi e dunque più rilevanti agli occhi del pubblico destinatario, la Commissione nota che entrambi contengano la parola “FIORUCCI”, la quale corrisponde a un cognome italiano che come giustamente puntualizzato dalla Divisione di Opposizione è diffuso prevalentemente nelle regione del Lazio e dell’Umbria.

42 Secondo la giurisprudenza, il consumatore italiano attribuisce, in generale, maggior carattere distintivo al cognome rispetto al nome (v. 28/06/2012, T 134/09, B. Antonio Basile 1952, EU:T:2012:328, § 45, e giurisprudenza ivi citata).

43 A tale riguardo, la Corte ha precisato che occorre prendere in considerazione, in particolare, la circostanza che il cognome di cui trattasi sia raro o, invece, molto comune, perché essa può influire sul suo carattere distintivo (v. 24/06/2010, C 51/09 P, Barbara Becker, EU:C:2010:368, § 36). Nel caso in esame “FIORUCCI” è, in linea con quanto esposto nella decisione impugnata, un cognome diffuso prevalentemente nelle regioni dell’Umbria e del Lazio. Pertanto, non è possibile ritenere che, in termini generali, il cognome “FIORUCCI” sia estremamente diffuso in tutto il territorio italiano. Quindi, l’elemento in questione possiede un gradiente distintivo in relazione ai prodotti e servizi designati dai marchi.

44 In quanto agli altri elementi dei segni, la Commissione reputa che gli elementi verbali siano descrittivi e dunque deboli, e che gli elementi figurativi abbiano una funzione ornamentale e allo stesso tempo rafforzativa del messaggio convogliato dal segno dell’opponente. In particolare, per ciò che riguarda gli elementi verbali “VINI”, “NORCINERIA” e “DAL 1850”, tutti descrittivi rispettivamente della qualità dei prodotti, dell’origine dei prodotti e della data di fondazione dell’impresa produttrice, la Commissione ricorda che, in genere, il pubblico non considera un elemento descrittivo facente parte di un marchio complesso come l’elemento distintivo e dominante dell’impressione d’insieme che tale marchio complessivo produce (v. 05/04/2006, T–202/04, Echinaid, EU:T:2006:106, § 54).

45 Per quanto attiene alla componente figurativa del marchio anteriore considerato, giova ricordare che quando un marchio è composto da elementi denominativi e figurativi, i primi sono, in linea di principio, oggetto di maggior attenzione rispetto ai secondi, poiché il consumatore medio farà più facilmente riferimento ai prodotti in questione citando il nome piuttosto che descrivendo l’elemento figurativo del marchio (v. 14/07/2005, T–312/03, Selenium-Ace, EU:T:2005:289). Inoltre, come anticipato sopra, gli elementi del segno in questione hanno una funzione meramente ornamentale e, secondo questa Commissione, l’impiego del tricolore serve meramente a informare il pubblico destinatario che i prodotti dell’opponente provengono dall’Italia.

46 Alla vista di queste considerazioni, la Commissione ritiene che l’elemento verbale “FIORUCCI” sia l’elemento maggiormente distintivo dei segni.

47 Tenuto in conto di quanto sopra, la commissione trova che sotto il profilo visivo i segni generino impressioni d’insieme simili nella misura in cui entrambi contengono la parola “FIORUCCI”. Questo elemento possiede una certa distintività ed è posizionato nella parte centrale del marchio anteriore considerato. Invece, nel marchio in contestazione, questo elemento è anticipato dalla parola “VINI”.

48 La Commissione nota che i segni presentano varie differenze, che sono state elencate ai punti precedenti. Tuttavia, queste differenze, date basicamente dalla presenza di elementi verbali dispari e di elementi figurativi che sono propri del marchio anteriore, non sono in grado di controbilanciare, e quindi di annullare, una moderata similitudine visiva tra i segni. Infatti, detti elementi o sono deboli, o sono ornamentali.
49 Con riguardo alla circostanza allegata dalla richiedente che la principale differenza tra i rispettivi elementi verbali riguardi la parte iniziale dei medesimi, si ricorda che la regola in base alla quale il consumatore attribuisce maggior importanza alla prima parte di una parola non è applicabile a qualsiasi caso (v. 23/09/2015, T–193/14, AERONAUTICA / NAUTICA et al., EU:T:2015:668, § 24, e giurisprudenza citata). Nel caso di specie, gli elementi verbali iniziali dei segni sono caratterizzati da una connotazione descrittiva e pertanto, il loro impatto sarà limitato.

50 Ne consegue che i segni devono essere ritenuti moderatamente simili dal punto di vista visivo.

51 Sotto il profilo fonetico, i segni coincidono nel suono fatto dalla pronuncia della parola “FIORUCCI”. I segni invece differiscono foneticamente nella misura in cui la parola “VINI” sarà pronunciata per prima nel marchio impugnato, mentre, in quello anteriore, saranno pronunciate le parole “NORCINERIA”, per prima, e “DAL 1850”, per ultima.

52 Quindi, fatta eccezione per la parola “FIORUCCI”, i segni presentano elementi verbali dispari, così com’è dispari il numero di sillabe. Ciò nonostante, è stato giudicato che il fatto che il numero di sillabe sia differente, non basta per scartare la sussistenza di una somiglianza fonetica fra i segni (v. 19/05/2011, T–580/08, Pepequillo, EU:T:2011:227, § 79, e giurisprudenza ivi citata), che nel caso di specie è data dalla presenza in entrambi dell’elemento verbale “FIORUCCI”.

53 La Commissione riconosce che il suono iniziale dato dalla pronuncia degli elementi verbali dei segni è differente (“VINI” vs. “NORCINERIA”). Ciononostante, occorre ricordare ancora una volta che, secondo la giurisprudenza, se è pur vero che la parte iniziale dei marchi potrebbe catturare maggiormente l’attenzione del consumatore rispetto alle parti seguenti, tale considerazione non può valere in tutti i casi (v. 28/06/2012, T–134/09, B. Antonio Basile 1952, EU:T:2012:328, § 57). Nella fattispecie, come precedentemente osservato, presso la parte del pubblico di lingua italiana le espressioni “VINI” e “NORCINERIA” sono carenti di capacità distintiva per i prodotti e servizi coperti dai marchi.

54 Concettualmente, i segni presentano una somiglianza nei limiti che entrambi fanno riferimento al cognome “FIORUCCI”, suggerendo pertanto che si tratti di persone tra le quali intercorrono rapporti di parentela (v., per analogia, 28/06/2012, T–134/09, B. Antonio Basile 1952, EU:T:2012:328, § 60).

55 Dunque, in entrambi i casi, l’origine commerciale dei prodotti e servizi contraddistinti dai marchi in conflitto sarà percepita dal consumatore di riferimento come legata ad una persona che porta tale cognome. Di conseguenza, in tale misura, i due marchi sono simili dal punto di vista concettuale (per analogia, v. 28/06/2012, T–133/09, B. Antonio Basile 1952, EU:T:2012:327 e 28/06/2012, T–134/09, B. Antonio Basile 1952, EU:T:2012:328, § 60).

56 I segni differiscono nei restanti concetti convogliati dai loro elementi dispari. Ciononostante, questi elementi non sono sufficienti da distogliere l’attenzione del consumatore dall’elemento comune “FIORUCCI” in base al quale il pubblico stabilirà un nesso concettuale tra i segni.

57 Pertanto, secondo questa Commissione, non può essere scartata una certa somiglianza concettuale tra i segni.

58 Alla luce di tutte queste considerazioni, la Commissione ritiene che i segni, valutati nel loro complesso, siano simili.
Valutazione globale del rischio di confusione

59 L’esistenza di un rischio di confusione dal punto di vista del pubblico deve essere oggetto di valutazione globale, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie (v. 11/11/1997, C–251/95, Sabèl, EU:C:1997:528, § 22). Occorre altresì ricordare che il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore (v. sentenza “Sabèl”, citata, punto 24), e viceversa.

60 Nel caso di specie, la richiedete non ha contestato l’affermazione che i marchi anteriori godono di una certa fama e reputazione presso i consumatori in Italia per prodotti quali salumi ed insaccati. Tale circostanza è d’altronde dimostrata dalla documentazione depositata dall’opponente (rassegna stampa relativa agli anni 2010-2013, l’attività di sponsorizzazione nel calcio in Italia, i dati relativi alla quota di mercato detenuta, ecc.). Pertanto, la Commissione ritiene che per questi prodotti il marchio anteriore considerato sia altamente distintivo e che, per i restanti prodotti, esso sia intrinsecamente distintivo in un grado normale.

61 Nel presente caseo, è stato confermato che i segni, considerati nel loro complesso, sono simili. Inoltre, diversamente da quanto ritenuto dalla Divisione di Opposizione, è stato stabilito che alla luce della recente giurisprudenza del Tribunale, effettivamente, esiste un’affinità rilevante tra i servizi oggetto del ricorso e i prodotti dell’opponente.

62 Per queste ragioni, è corretto ritenere che l’uso del marchio in contestazione per servizi affini e complementari ai prodotti contraddistinti dal marchio anteriore considerato è in grado di generare confusione, o quanto meno associazione, tra le attività del richiedente e quelle dell’opponente. L’identità dell’elemento, sicuramente distintivo, “FIORUCCI” sorprenderà inevitabilmente il consumatore italiano e lo indurrà a ritenere, erroneamente, che entrambe le diciture fanno capo allo stesso imprenditore o ad imprese collegate.

63 Conseguentemente, occorre concludere che per il pubblico italiano dell’Unione europea esiste un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMUE relativamente ai servizi oggetto del ricorso.

64 Invece, detto rischio non è ravvisabile per i prodotti oggetto del ricorso che, come visto sopra, sono dissimili da quelli dell’opponente.

65 Infatti, la somiglianza dei prodotti e servizi è una condizione necessaria perché il motivo di rifiuto di cui all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMUE possa trovare applicazione, anche quando il marchio anteriore è altamente distintivo e/o quando i segni sono identici (07/05/2009, T 185/07, CK Creaciones Kennya, EU:T:2009:147, § 54; 19/11/2008, T 6/07, Nanolat, EU:T:2008:515, § 49; 11/11/2009, T 162/08, Green by missako, EU:T:2009:432, § 51-54; 14/10/2009, T 140/08, TiMiKinderjoghurt, EU:T:2009:400, § 53, 61 as confirmed by 24/03/2011, C 552/09 P, TiMiKinderjoghurt, EU:C:2011:177, § 65-68; 23/01/2014, C 558/12 P, Western Gold, :EU:C:2014:22, § 50).

66 Poiché l’opposizione basata sull’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMUE risulta essere fondata solo per i servizi oggetto del ricorso, la Commissione è tenuta ad esaminare se, in relazione ai prodotti oggetto del ricorso, le condizioni necessarie per ammettere l’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 5, RMUE sono soddisfatte.
Articolo 8, paragrafo 5, RMUE

67 Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 5, RMUE, a seguito dell’opposizione del titolare di una marchio anteriore, la registrazione di una domanda di marchio impugnata è denegata se il marchio della Unione europea e il marchio anteriore sono identici o simili e se il marchio della Unione europea è registrato per prodotti o servizi non simili a quelli per i quali è registrato il marchio anteriore, qualora, nel caso di un marchio dell’Unione europea anteriore, quest’ultimo sia il marchio che gode di notorietà nell’Unione europea o, nel caso di un marchio nazionale anteriore, quest’ultimo sia un marchio che gode di notorietà nello Stato membro in questione e l’uso senza giusto motivo del marchio richiesto possa trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o recare pregiudizio agli stessi.

68 Tale norma permette che un marchio possa beneficiare di una tutela ampliata a prodotti e servizi non simili, qualora l’uso senza giusto motivo del marchio richiesto possa trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio anteriore o recare pregiudizio agli stessi.

69 La tutela estesa accordata dall’articolo 8, paragrafo 5, del RMUE presuppone il ricorrere di varie condizioni. “In primo luogo, il marchio anteriore che si pretende notorio dev’essere registrato. In secondo luogo, tale marchio e il marchio dell’Unione europea di cui si richiede la dichiarazione di nullità devono essere identici o simili. In terzo luogo, il marchio anteriore deve godere di notorietà nell’Unione europea, ove si tratti di un marchio dell’Unione europea anteriore, o nello Stato membro interessato, nel caso di un marchio nazionale anteriore. In quarto luogo, l’uso del marchio dell’Unione europea impugnato senza giusto motivo deve condurre al rischio che sia tratto indebitamente un vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o che sia arrecato un pregiudizio al carattere distintivo o alla notorietà del marchio anteriore.

70 Poiché tali condizioni sono cumulative, la mancanza di una di esse è sufficiente a rendere inapplicabile la disposizione in questione” (v. 07/12/2010, T 59/08, Nimei La Perla Modern Classic, EU:T:2010:500, § 28).

71 La Commissione osserva che le argomentazioni dell’opponente sono principalmente volte a dimostrare come l’uso senza giusta causa del marchio impugnato per i servizi oggetto del ricorso (“bar e ristoranti”) possa costituire un vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo dei marchi anteriori.

72 Non sono state tuttavia presentate valide argomentazioni volte a far ritenere che l’uso del marchio impugnato per le bevande alcoliche oggetto del ricorso possa rappresentare un vantaggio indebito o possa arrecare un danno alla reputazione dei marchi anteriori che, come visto sopra, si riferisce ad insaccati e salumi.

73 A tale riguardo, la Commissione conferma le valutazioni effettuate dalla Divisione di Opposizione circa l’assenza di una linea di argomentazione coerente e convincente da parte dell’opponente per dimostrare l’esistenza di un percorso effettivo, anche di un qualsivoglia operatore commerciale, che, a partire dal settore della salumeria, sia poi giunto a quello della produzione bevande alcoliche di alta gradazione.

74 In questo senso, la Commissione reputa che la distanza tra i prodotti in conflitto e soprattutto l’attuale pratica nel mercato non permettano di concludere che possa verificarsi un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà dei marchi anteriori. Conseguentemente, è doveroso concludere che il pubblico di riferimento non sarà in grado di stabilire un nesso tra ai marchi.

75 Infatti, l’esistenza di un nesso deve essere valutata globalmente, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie (v. 18/06/2009, C 487/07, L’Oréal, EU:C:2009:378, § 45). Tra questi fattori è possibile annoverare: il grado di somiglianza tra i marchi in conflitto; la natura dei prodotti o dei servizi per i quali i marchi in conflitto sono rispettivamente registrati, compreso il grado di prossimità o di dissomiglianza di tali prodotti o servizi nonché il pubblico interessato; il livello di notorietà del marchio anteriore; la distintività, intrinseca o acquisita grazie all’uso, del marchio anteriore; l’esistenza di un rischio di confusione nella mente del pubblico (v. 27/11/2008, C 252/07, Intel, EU:C:2008:655, § 42).

76 Quando un terzo tenta, mediante l’uso di un marchio simile a un marchio notorio, di porsi nel solco tracciato da quest’ultimo, al fine di beneficiare del suo potere attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio, nonché di sfruttare, senza alcun corrispettivo economico e senza dover operare sforzi propri a tale scopo, lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio anteriore per creare e mantenere l’immagine di detto marchio, si deve considerare il vantaggio derivante da siffatto uso come indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio in parola (v., per analogia, 18/06/2009, C 487/07, L’Oréal, EU:C:2009:378, § 45).

77 Orbene, nella fattispecie i prodotti per cui i marchi anteriori sono notori e le bevande alcoliche, tra cui non rientrano prodotti vinicoli e birre, della richiedente non sono fabbricati dalle stesse imprese. Ancor più importante, il settore della salumeria non trova la sua naturale espansione in quello delle bevande alcoliche e viceversa, e l’opponente non ha presentato nessun argomento convincente per confutare tale conclusione.

78 Dunque, il pubblico non vincolerà, né stabilirà un nesso tra i due marchi poiché, conscio dell’attuale pratica nel mercato, questo non sarà propenso a ritenere che l’opponente, per quanto reputato nel settore della salumeria, abbia deciso di estendere la sua attività al settore delle bevande alcoliche e, più in particolare, a quello dei prodotti oggetto del ricorso, il quale si tratta di un settore assai specifico.

79 Tale situazione non si produrrà nemmeno tenendo conto dell’elevata reputazione e notorietà dei marchi anteriori, visto che esse si riferiscono solo a salumi ed insaccati.

80 Infine, l’opponente non ha fornito ragioni per cui l’immagine di qualità associata ai suoi marchi dovrebbe trasferirsi al marchio impugnato per i prodotti in oggetto del ricorso.

81 Quindi, nonostante la reputazione e notorietà dei marchi anteriori, si deve concludere che l’opponente non sia stato in grado di stabilire che, nel caso di specie, vi siano i presupposti necessari per considerare prima facie, anche mediante deduzioni logiche, che l’uso del marchio impugnato per bevande alcoliche di altra gradazione come sono i prodotti oggetto del ricorso possa rappresentare una situazione di vantaggio indebito della reputazione e della notorietà dei marchi anteriori per insaccati e salumi. Nemmeno la presenza di un grado medio di somiglianza tra i segni può inficiare questa conclusione.

82 Inoltre, ad avviso di questa Commissione, l’uso del marchio impugnato per i prodotti oggetto del ricorso non è nemmeno suscettibile di arrecare un pregiudizio alla reputazione dei marchi anteriori.

83 A tale riguardo si deve rammentare che, relativamente al pregiudizio arrecato alla notorietà del marchio, detto anche “annacquamento” o “degradazione”, tale pregiudizio si verifica quando i prodotti o i servizi per i quali il segno identico o simile è usato dal terzo possono essere percepiti dal pubblico in modo tale che il potere di attrazione del marchio ne risulti compromesso. Il rischio di un tale pregiudizio può scaturire, in particolare, dalla circostanza che i prodotti o servizi offerti dal terzo possiedano una caratteristica o una qualità tali da esercitare un’influenza negativa sull’immagine del marchio (v. 18/06/2009, C 487/07, L’Oréal, EU:C:2009:378, § 40).

84 Tuttavia, tale situazione non si verificherà nella fattispecie. Infatti, la giurisprudenza ha stabilito che le bevande alcoliche non sono per sé dannose per la salute, ma che solo un loro consumo eccessivo può provocare effetti negativi per l’essere umano. Pertanto, i prodotti alcolici non conferiscono nessuna connotazione negativa che contrasti con l’immagine di alta qualità che secondo l’opponente il pubblico di riferimento associa con i marchi anteriori (v., per analogia, 29/10/2015, T 517/13, “QUO VADIS” / QUO VADIS, EU:T:2015:816, § 43).

85 Alla luce di tutte queste ragioni, la Commissione conclude che il pubblico di riferimento non stabilirà un nesso tra i marchi in relazione ai prodotti in conflitto e che, inoltre, le argomentazioni dell’opponente non sono in grado di dimostrare che l’uso del marchio impugnato per i prodotti oggetto del ricorso è suscettibile di dar luogo ad un vantaggio indebito della notorietà dei marchi anteriori o di arrecare pregiudizio a tale notorietà.

86 Pertanto, non è necessario esaminare le altre condizioni cumulative stabilite dall’articolo 8, paragrafo 5, RMUE.

87 Ne consegue che l’opposizione non può essere accolta sulla base del motivo di cui all’articolo 8, paragrafo 5, RMUE.

Conclusione

88 L’opposizione deve essere accolta nella misura in cui esiste un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMUE per i servizi oggetto del ricorso. L’opposizione è deve essere rigettata per il resto.
Spese

89 Ai sensi dell’articolo 85(2), paragrafo 2, RMUE, per motivi di equità, ciascuna parte sopporterà le proprie spese nell’ambito del procedimento di opposizione e nel procedimento di ricorso.

Dispositivo
Per questi motivi,
LA COMMISSIONE
così decide:
1. Il ricorso è accolto in parte.
2. La decisione impugnata è annullata nella misura in cui l’opposizione è stata rigettata per i servizi oggetto del ricorso.




FONTE ESSENZIALE contro GEMMA DI MARE ESSENZIALE – Divisione d’Opposizione EUIPO 25.07.2016

FONTE ESSENZIALE contro GEMMA DI MARE ESSENZIALE – Divisione d’Opposizione EUIPO 25.07.2016

marchio FONTE ESSENZIALE contro marchio GEMMA DI MARE ESSENZIALE

La Divisione di Opposizione dell’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale ritiene che l’uso di un aggettivo qualificativo debole, poiché associato ad una caratteristica di due o più prodotti indispensabile o che contiene la loro essenza, usato per identificare due o più prodotti  appartenenti a settori merceologici diversi ed afferenti ad aziende economicamente non collegate tra di loro, non crea nel pubblico di riferimento confusione di alcun tipo, né sul piano visuale, né sul piano fonetico né concettuale. Il segno non comunicherebbe nessun significato e, pertanto, è un elemento distintivo.  L’impatto visivo, concettuale e fonetico verrebbe assicurato dalla struttura, dalla lunghezza e da elementi addizionali precipui del settore di riferimento di ciascun prodotto.

TESTO DELLA DECISIONE

OPPOSIZIONE N. B 2 574 773

 Ferrarelle S.p.A., Via di Porta Pinciana, 4, 00187 Roma, Italia (opponente), rappresentata da De Simone & Partners S.p.A., Via Vincenzo Bellini, 20, 00198 Roma, Italia (rappresentante professionale)

c o n t r o

Compagnia Italiana Sali S.p.A., Via Vittor Pisani, 16, 20124 Milano, Italia (richiedente), rappresentata da Silvia Locatelli, Corso Mazzini, 3, 27100 Pavia, Italia (rappresentante professionale).

Il 25/07/2016, la Divisione d’Opposizione emana la seguente

DECISIONE:

1.       L’opposizione n. B 2 574 773 è totalmente respinta.

2.       L’opponente sopporta l’onere delle spese, fissate a 300 EUR.

MOTIVAZIONE:

L’opponente ha presentato opposizione contro tutti i prodotti della domanda di marchio dell’Unione europea n. 14 061 758. L’opposizione si basa sulla registrazione di marchio dell’Unione europea n. 11 707 551. L’opponente ha invocato l’articolo 8, paragrafo 1, lettere  b), RMC.

RISCHIO DI CONFUSIONE – ARTICOLO 8, PARAGRAFO 1, LETTERA b), RMUE

Sussiste un rischio di confusione se vi è il rischio che il pubblico possa ritenere che i prodotti o i servizi in questione, qualora rechino i marchi di cui trattasi, provengano dalla medesima impresa o, a seconda dei casi, da imprese economicamente collegate. La sussistenza di un rischio di confusione dipende dall’apprezzamento, nell’ambito di una valutazione globale, di diversi fattori che sono in rapporto di reciproca dipendenza. Tali fattori includono la somiglianza dei segni, la somiglianza dei prodotti e dei servizi, il carattere distintivo del marchio anteriore, gli elementi distintivi e dominanti dei segni in conflitto così come il pubblico di riferimento.

a)          I prodotti

I prodotti sui quali si basa l’opposizione sono, inter alia, i seguenti:

Classe 30:       Caffè, tè, cacao e succedanei del caffè; riso; tapioca e sago; farine e preparati fatti di cereali; pane, pasticceria e confetteria; gelati; zucchero, miele, sciroppo di melassa; lievito, polvere per fare lievitare; sale; senape; aceto, salse (condimenti); spezie; ghiaccio; aceto; aceto di birra; acqua di mare per la cucina; additivi al glutine per uso culinario; alghe [condimenti]; alimenti a base di avena; alimenti a base di farina; amido per uso alimentare; anice [chicchi]; anice stellato; aromatizzanti; aromi al caffè; aromi diversi dagli olii essenziali; aromi per bevande diversi dagli olii essenziali; aromi per dolci diversi dagli olii essenziali; avena frantumata; avena mondata; barrette ai cereali ad alto contenuto proteico; barrette di cereali; bastoni di liquerizia [confetteria]; bevande a base di cacao; bevande a base di caffè; bevande a base di cioccolato; bevande a base di tè; bicarbonato di sodio per la cottura; biscotti; biscotti di malto; biscottini; bonbons; brioches; budini; cacao; cacao e latte; caffè; caffè e latte; caffè verde; cannella [spezia]; capperi; caramelle; caramelle alla menta; cheeseburger [panini]; chiodi di garofano; chow-chow [spezia]; chutney [condimenti]; cialde; cicoria [succedaneo del caffè]; cioccolato; cioccolato e latte [bevanda]; composti aromatici per uso alimentare; condimenti; confetteria; confetteria a base di arachidi; confetteria a base di mandorle; confetti; corn flakes; coulis di frutta [salse]; crackers; crema di tartaro per uso culinario; crema inglese; crêpes; croccanti [pasticceria]; curcuma per uso alimentare; curry [spezia]; cuscus [semolino]; dolci; dolcificanti naturali; dolciumi per la decorazione dell’albero di natale; erbaggi conservati [condimenti]; essenze per l’alimentazione eccetto le essenze eteriche e gli oli essenziali; estratti di malto per l’alimentazione; farina di fave; farina di grano; farina di granturco; farina di orzo; farina di patate per uso alimentare; farina di senape; farina di soia; farina di tapioca per uso alimentare; farinata a base di latte; farinata di mais con acqua o latte; farine alimentari; fermenti per paste; fiocchi di avena; fiocchi di cereali essiccati; fior di farina per l’alimentazione; focacce; fondenti [confetteria]; gelati; gelatina di frutta [confettura]; gelatina per prosciutto; germi di grano per l’alimentazione umana; ghiacci alimentari; ghiaccio, naturale o artificiale; ghiaccio per rinfrescare; glasse per torte; glucosio per uso culinario; glutine per uso alimentare; gomme da masticare; granturco macinato; granturco tostato; granturco tostato e soffiato [popcorn]; halvah; impasto per il pane; infusioni non medicinali; involtini di primavera; ispessenti per la cottura di prodotti alimentari; ketchup [salsa]; leganti per gelati; leganti per salsicce; lievito; lievito in polvere; lievito [naturale]; liquirizia [confetteria]; maccheroni; maionese; malto per l’alimentazione umana; maltosio; marinate; marzapane; melassa; menta per l’industria dolciaria; miele; mousse al cioccolato; mousse [dessert ] dolci; muesli; nigella; noce moscata; orzo frantumato; orzo mondato; pan pepato; pane; pane biscottato; pane d’azzimo; pangrattato; panini; pappa reale per l’alimentazione umana, non per uso medico; pasta di mandorle; pasta di semi di soia [condimento]; pasta per dolci; paste alimentari; paste [pasticceria]; pasti preparati a base di noodle; pasticceria; pasticche [confetteria]; pasticcini [pasticceria]; pasticcio di carne; pepe; pesto [salsa]; pizze; polvere per dolci; polveri per gelati; preparati fatti di cereali; preparati vegetali succedanei del caffè; prodotti della macinazione; prodotti per render tenera la carne per uso domestico; prodotti per stabilizzare la panna montata; propoli; quiche; rafano [spezia]; ravioli; riso; sago; sale di cucina; sale di sedano; sale per conservare gli alimenti; salsa di pomodoro; salsa piccante alla soia; salse [condimenti]; salse per insalata; salse per pasta; sandwiches; sapori [condimenti]; sciroppo di melassa; semi di lino per l’alimentazione umana; semola di avena; semolino; semolino di mais; senape; snack a base di cereali; snack a base di riso; sorbetti [ghiacci edibili]; spaghetti; spezie; succedanei del caffè; sughi di carne [salse]; sushi; taboulé; tacos; tagliatelle; tapioca; tè; tè ghiacciato; torte; torte di riso; tortillas; vaniglia [aroma]; vaniglina [succedaneo della vaniglia]; vermicelli; yoghurt ghiacciato; zafferano [condimenti]; zenzero [spezia]; zucchero; zucchero candito; zucchero di palma.

I prodotti contestati sono i seguenti:

Classe 30:       Sale per uso alimentare, composti a base di cloruro di sodio per uso alimentare.

Prodotti contestati in classe 30

I prodotti contestati sale per uso alimentare sono identicamente contenuti in entrambe le liste di prodotti e servizi sebbene tramite una formulazione leggermente diversa. Conseguentemente, questi prodotti sono identici.

I prodotti contestati composti a base di cloruro di sodio per uso alimentare includono altri elementi oltre al cloruro di sodio per uso alimentare, chiamato anche sale, per tanto, essi includono in quanto categoria più ampia il sale di cucina dell’opponente. Dal momento che la Divisione d’Opposizione non può scorporare ex officio la ampia categoria di prodotti contestati, essi sono considerati identici ai prodotti dell’opponente. Per tanto, questi prodotti sono identici.

b)          Pubblico di riferimento –grado di attenzione

Si ritiene che il consumatore medio dei prodotti o dei servizi in questione sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre anche prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione del settore merceologico cui appartengono tali prodotti o servizi.

Nel presente caso, i prodotti che risultano essere identici sono diretti al grande pubblico. Si ritiene che il grado di attenzione sia da medio sia variabile da medio a basso, giacché, anche se oggi giorno ci sono molti tipi di sali di diversi prezzi, di solito si tratta di un prodotto economico destinato al consumo quotidiano.

c)          I segni

FONTE ESSENZIALE
GEMMA DI MARE ESSENZIALE

Marchio anteriore

Marchio impugnato

Il territorio di riferimento è l’Unione europea.

La valutazione globale deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi (11/11/1997, C‑251/95, Sabèl, EU:C:1997:528, § 23).

Il marchio anteriore è un marchio denominativo composto da due parole, “FONTE” ed “ESSENZIALE”. Il segno contestato è un marchio denominativo composto da quattro parole “GEMMA”, “DI”, “MARE” ed “ESSENZIALE”.

La parola “ESSENZIALE”, compresa in entrambi i marchi, sarà intesa avente il seguente significato che costituisce o contiene l’essenza di una cosa, oppure, con il significato di sostanziale, indispensabile da una gran parte del pubblico di riferimento, come il pubblico di lingua italiana e dai consumatori di altre lingue, tenendo conto che gli equivalenti nelle loro lingue sono molto simili, come ad esempio “essential” in inglese, “essentiel” in francese, “essentieel” in tedesco, “essencial” in portoghese, “esencial” in spagnolo, ecc. Poiché, i prodotti rilevanti fanno riferimento a sali e composti a base di cloruro di sodio per uso alimentare si considera che questa parola è debole riguardo ai prodotti della classe 30, dato che fa riferimento a una delle caratteristiche dei prodotti di cui trattasi, sia alla loro essenza che alla loro condizione di indispensabile.

La parola “FONTE” del marchio anteriore sarà intesa da una parte del pubblico di riferimento come vena d’acqua a getto continuo e luogo da cui l’acqua scaturisce (vedasi il Vocabolario online Treccani). Ciò vale sia per i consumatori di lingua italiana che per i consumatori di altre lingue, tenendo conto che gli equivalenti in altre lingue europee sono identici o molto simili, come per esempio il termine “fonte” in portoghese e “fuente” in spagnolo. Nonostante ciò, poiché, i prodotti rilevanti riguardano sale di cucina, in classe 30, questa parola si considera distintiva, per il pubblico di riferimento, giacché è priva di qualsiasi significato riguardo a tali prodotti.

La parola “GEMMA” e l’espressione “DI MARE” del marchio impugnato saranno intese da una parte del pubblico di riferimento, cioè dal pubblico italiano, come “GEMMA” pietra preziosa e “DI MARE” proveniente dal mare, la massa d’acqua che circonda la terraferma e ricopre gran parte della superficie terrestre (vedasi il Vocabolario online Treccani). Inoltre, saranno intese anche dai consumatori di altre lingue, in considerazione dal fatto che gli equivalenti in altre lingue europee sono molto simili, come per esempio, “gema” in spagnolo, “gemme” in francese, eppure “de mar” in spagnolo e “de mer” in francese, rispettivamente.  Tenendo conto che i prodotti rilevanti sono sale per uso alimentare, composti a base di cloruro di sodio per uso alimentare, in classe 30, l’espressione “DI MARE” si considera debole per questa  parte del pubblico di riferimento e, invece, distintiva per il resto del pubblico. Tuttavia, la parola “GEMMA”, poiché è priva di qualsiasi significato riguardo ai prodotti menzionati della classe 30, si considera distintiva per il pubblico di riferimento.

Nonostante ciò, non si può escludere che per una parte del pubblico appena menzionato, l’espressione “GEMMA DI MARE” suggerisca il concetto di salgemma, detto anche alite o halite, o sale di miniera, costituito da cloruro sodico (vedasi il Vocabolario online Treccani), giacché gli equivalenti nelle loro lingue sono termini simili che evocano lo stesso concetto. È vero che siccome, i prodotti rilevanti riguardano sale per uso alimentare, composti a base di cloruro di sodio per uso alimentare, in classe 30, questa espressione si considera allusiva, ma è anche vero che non lo è sino al punto da influire materialmente sul suo carattere distintivo. Ciò significa che il suo grado di distintività deve essere considerato normale.

Tuttavia, per quanto riguarda la restante parte del pubblico rilevante, anche se si tratta di una parte ridotta, per la quale nessuno dei termini che compongono entrambi i marchi hanno alcun significato, per tanto, non presentano elementi che potrebbero essere considerati più distintivi di altri.

Il marchio anteriore e quello contestato non presentano elementi che potrebbero essere considerati dominanti (visivamente di maggiore impatto) rispetto ad altri.

Visivamente, i marchi coincidono principalmente nelle lettere dell’elemento “E-S-S-E-N-Z-I-A-L-E” considerato debole per una gran parte del pubblico di riferimento e distintiva per il resto. Tuttavia, essi differiscono nella loro struttura e lunghezza (due termini versus quattro) e nelle lettere degli elementi del marchio anteriore che formano il termine distintivo, “F-O-N-T-E” e le lettere che formano l’espressione del marchio impugnato “GEMMA DI MARE” (distintiva, anche se per la parte del pubblico che riconosce comprende tutti i termini “GEMMA” si considera elemento distintivo e “DI MARE” elementi deboli).

Le prime parti dei marchi sono dissimili “FONTE” vs. ”GEMMA”/“GEMMA DI MARE”. I consumatori tendono in genere a focalizzare la propria attenzione sul primo elemento di un segno quando si trovano di fronte a un marchio. Tale circostanza è giustificata dal fatto che il pubblico legge da sinistra verso destra, il che fa sì che la parte del segno collocata a sinistra (la parte iniziale) sia quella che per prima cattura l’attenzione del lettore. Di conseguenza, i primi elementi dissimili dei marchi in questione (che inoltre sono anche distintivi) devono essere presi in considerazione in sedi di valutazione del rischio di confusione.

Ne discende che per una gran parte del pubblico di riferimento, come il pubblico di lingua italiana e di altre lingue, per la quale, la parola coincidente, “ESSENZIALE” è debole e l’inizio dei marchi e composto da diversi termini addizionali sono distintivi, i segni sono simili in ridotta misura.

Per il resto del pubblico di riferimento, anche se si tratta di una ridotta parte di questo pubblico, i segni si considerano simili in grado medio.

Sotto il profilo fonetico, indipendentemente dalle diverse regole di pronuncia in diverse parti del territorio di riferimento, la pronuncia dei segni coincide nel suono delle lettere del termine “E‑S-S-E-N-Z-I-A-LE”, presenti in modo identico in entrambi i segni, le quali fanno parte di un termine da considerarsi per una gran parte dei consumatori debole. La pronuncia differisce nel suono delle lettere “F-O-N‑T-E” del marchio anteriore e “G-E-M-M-A” “D-I” “M-A-R-E” del marchio impugnato, che non hanno controparte nel marchio anteriore.

Sotto questo profilo si applicano le stesse considerazioni anteriori, per tanto, per una gran parte del pubblico di riferimento, i segni sono simili in ridotta misura.

Per il resto del pubblico di riferimento, i segni si considerano simili in grado medio.

Sotto il profilo concettuale,  i marchi coincidono nel contenuto semantico del termine “ESSENZIALE”, il quale è tuttavia, come visto nei paragrafi anteriori, un termine debole per una gran parte del pubblico di riferimento e un termine distintivo per una ridotta parte di questo pubblico. Essi differiscono nel contenuto semantico (indicato in precedenza) dei restanti termini, “FONTE” del marchio anteriore e “GEMMA” del marchio impugnato (entrambi distintivi) e “DI MARE” (debole per una parte del pubblico di riferimento) oppure, come già spiegato prima, per alcuni consumatori di una parte del pubblico di riferimento nell’espressione distintiva, anche se allusiva, “GEMMA DI MARE” del marchio impugnato.

In ogni caso, per la gran parte del pubblico di riferimento che comprende il significato del termine “ESSENZIALE”, indipendentemente dal fatto che comprendano tutti, alcuni degli elementi addizionali di entrambi i marchi, i segni sono concettualmente simili in ridotta misura, in quanto che coincidono nel concetto del termine “ESSENZIALE”, considerato debole in relazione con i prodotti rilevanti.

Per il resto del pubblico di riferimento, anche se si tratta di una ridotta parte del pubblico, dato che nessuno dei marchi nel suo complesso e nemmeno nessuno dei loro componenti ha un significato, non è possibile procedere alla comparazione concettuale, per tanto, questo aspetto è irrilevante ai fini dell’esame della somiglianza fra segni.

Dato che i segni sono stati rilevati essere simili in almeno un aspetto del confronto l’esame del rischio di confusione procederà.

d)          Carattere distintivo del marchio anteriore

Il carattere distintivo del marchio anteriore è uno dei fattori di cui si deve tenere conto nella valutazione globale del rischio di confusione.

L’opponente non ha affermato in modo esplicito che il marchio è particolarmente distintivo in virtù del suo uso intensivo o della sua notorietà.

Di conseguenza, la valutazione del carattere distintivo del marchio anteriore si baserà sul suo carattere distintivo intrinseco. Nel caso presente, il marchio anteriore risulta, nel suo complesso, privo di qualsiasi significato per il pubblico del territorio di riferimento in relazione ai prodotti in questione. Pertanto, il carattere distintivo del marchio anteriore deve essere considerato normale, nonostante la presenza in esso di un elemento debole, per una gran parte del pubblico di riferimento, come il termine “ESSENZIALE” secondo quanto più sopra esposto nella sezione c) della presente decisione.

e)          Valutazione globale, altri argomenti e conclusione

I prodotti oggetto di protezione dei marchi in disputa sono stati ritenuti identici.

Per una gran parte del pubblico di riferimento, i marchi sono simili in ridotta misura, sia sul piano visuale, che sul piano fonetico e concettuale. Tuttavia, per il resto del pubblico di riferimento, anche se si tratta di una ridotta parte di questo pubblico, i marchi sono simili in grado medio sul piano visuale e fonetico,  nella misura in cui il termine “ESSENZIALE” non verrà compreso da detta parte di pubblico, ma non sono comparabili  su piano concettuale.

I marchi hanno in comune l’elemento “ESSENZIALE”, indipendentemente dal fatto che, (i) per una gran parte del pubblico di riferimento, sarà riconosciuto come un termine debole, poiché il medesimo sarà associato ad una caratteristica dei prodotti in questione, “indispensabile” oppure “che contiene la loro essenza” e, (ii) per il resto del pubblico di riferimento, anche se si tratta di una ridotta parte, il segno non comunica  nessun significato e, pertanto, è un elemento distintivo. Inoltre, in entrambi i marchi, questo termine occupa la stessa posizione, ossia l’ultima.

I marchi si differenziano nella loro struttura, lunghezza e nei loro elementi addizionali che formano il loro inizio “FONTE” e “GEMMA”/ “GEMMA DI MARE” termini distintivi per la totalità del pubblico di riferimento. Questi elementi iniziali svolgono un ruolo decisivo sull’impatto visivo, fonetico e concettuale creando una distanza significativa tra i marchi in conflitto, giacché sono gli elementi che causeranno un maggiore impatto nel consumatore (anche nel consumatore che percepirà  l’espressione del marchio impugnato “GEMMA DI MARE” come  allusiva, giacché, nel suo complesso, la sua capacità di identificare i prodotti non viene diminuita)

Tuttavia, anche per la ridotta parte del pubblico di riferimento per cui i termini che compongono i segni sono privi di significato, e sono dunque distintivi, si ritiene che la differenza tra i marchi relativa alla struttura dei segni, alla loro lunghezza e alla posizione dell’elemento coincidente sia un fattore decisivo in sede di valutazione del rischio di confusione.

Le differenze visive tra i marchi così come indentificate nel corso della presente decisione, sono particolarmente rilevanti, poiché i prodotti in questione sono di consumo quotidiano (sale ed altri componenti per uso alimentare) normalmente acquistati in supermercati o stabilimenti in cui i prodotti sono presentati in scaffali e, pertanto, la componente visiva del segno presenta un importanza maggiore. Per tali prodotti, le differenze visive determinate principalmente dalla struttura e lunghezza dei marchi (quattro elementi nel caso del marchio impugnato e due nel caso del marchio anteriore) e i diversi termini iniziali addizionali, considerati distintivi per la totalità del pubblico di riferimento,  sono rilevanti per determinare l’assenza di rischio di confusione. Queste considerazioni si applicano altresì nell’ipotesi in cui l’elemento che i marchi hanno in comune, “ESSENZIALE”, non sia compreso da una parte del pubblico di riferimento e non sia considerato, quindi, un elemento debole. A quanto detto deve aggiungersi che il grado di attenzione del consumatore in questi casi, si considera basso trattandosi di prodotti alimentari di consumo quotidiano e in generale di costo ridotto.

In virtù di tutto quanto sopra esposto, l’Ufficio ritiene che gli elementi di differenziazione tra i marchi in conflitto, siano sufficienti per contrastare l’unico elemento coincidente tra di loro, “ESSENZIALE” situato alla fine di entrambi i segni e considerato distintivo soltanto per una ridotta parte del pubblico di riferimento che in ogni caso presterà più attenzione agli elementi iniziali che, come detto sono dotati di carattere distintivo per tutto il pubblico di riferimento.

Per dovere di completezza, si sottolinea altresì che l’opponente richiama, a sostegno delle proprie argomentazioni, precedenti decisioni emesse dall’Ufficio. Tuttavia, tali decisioni non sono vincolanti per l’Ufficio, in quanto ciascuna fattispecie deve essere trattata separatamente, tenendo conto delle specifiche caratteristiche che la contraddistinguono.

Tale prassi è stata confermata dal Tribunale, il quale ha dichiarato che la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che la legittimità delle decisioni dev’essere valutata unicamente sulla base del RMUE e non sulla base di una precedente prassi decisionale dell’EUIPO (30/06/2004, T‑281/02, Mehr für Ihr Geld, EU:T:2004:198).

Sebbene, le precedenti decisioni dell’Ufficio non abbiano carattere vincolante, le motivazioni ivi espresse e le conclusioni raggiunte dovrebbero comunque essere prese nella dovuta considerazione al momento di adottare una decisione relativa ad un caso particolare.

Nel caso in esame, i precedenti richiamati dall’opponente, ovvero:

·                La decisione della Quarta Commissione di Ricorso dell’EUIPO del 16/11/2015, R 3221/2014-4 “ ” vs. “THE MASTERS SPRUCE MEADOWS MASTERS”;

·                La decisione della Quarta Commissione di Ricorso dell’EUIPO del 11/11/2015, R 1419/2014-4 “ ” vs. “RAW”;

·                La decisione della Quinta Commissione di Ricorso dell’EUIPO del 05/10/2015, R 2827/2014-5 “CROWN EASYCLEAN” vs. “ ”;

·                La decisione della Commissione di Ricorso allargata dell’EUIPO del 18/09/2013, R 1462/2012-G “ULTIMATE GREENS” vs. “ ” and “ ”;

·                La decisione della Quarta Commissione di Ricorso dell’EUIPO del 22/05/2002, R 252/2001-4 “THEESSENTIALS”; Le prime quattro decisioni non sono rilevanti ai fini del presente procedimento, poiché i segni non sono comparabili con quelli del caso in specie, giacché, nel caso in esame si tratta di due marchi denominativi, di diversa struttura, composti da più di un elemento verbale, tra i quali i primi sono diversi e distintivi. Per quanto riguarda l’ultima decisione, si tratta di una decisione ex parte, riguardo la distintività del segno “THEESSENZIALS” (non “ESSENZIALE”), classi 3, 5, 7, 8, 9, 10, 11 e 16 e, inoltre, come ben sottolineato dalla parte opponente dipende principalmente dalle circostanze della fattispecie.

Alla luce di quanto precede, ne consegue che, anche qualora le precedenti decisioni trasmesse alla Divisione d’Opposizione riguardino fatti simili al caso in oggetto, le conclusioni raggiunte potrebbero non essere le stesse.

Considerato quanto precede, anche qualora i prodotti fossero identici non sussisterebbe alcun rischio di confusione da parte del pubblico. Pertanto, l’opposizione deve essere respinta.

SPESE

Ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 1, RMUE, la parte soccombente in un procedimento d’opposizione deve sopportare l’onere delle tasse e delle spese sostenute dall’altra parte.

Poiché l’opponente è la parte soccombente, deve farsi carico delle spese sostenute dal richiedente nel corso del procedimento.

Conformemente alla regola 94, paragrafi 3 e regola 94 paragrafo 7, lettera d), punto ii) REMUE, le spese da rimborsare al richiedente sono le spese di rappresentanza, fissate sulla base dell’importo massimo ivi stabilito.

La Divisione d’Opposizione

Michele M.

BENEDETTI-ALOISI
María Clara

 IBÁÑEZ FIORILLO
Andrea VALISA

Ai sensi dell’articolo 59 RMUE, ognuna delle parti di un procedimento conclusosi con una decisione può ricorrere contro questa decisione a condizione che quest’ultima non abbia accolto le sue richieste. Ai sensi dell’articolo 60 RMUE il ricorso deve essere presentato per iscritto all’Ufficio entro due mesi a decorrere dal giorno della notifica della decisione. È presentato nella lingua della procedura in cui è stata redatta la decisione impugnata. Inoltre deve essere presentata una memoria scritta con i motivi del ricorso entro quattro mesi da tale data. Il ricorso si considera presentato soltanto se la tassa di ricorso di 720 EUR è stata pagata.

L’importo fissato nell’atto di determinazione delle spese potrà essere rivisto solo su richiesta mediante decisione della Divisione d’Opposizione. Ai sensi della regola 94, paragrafo 4, REMUE, tale richiesta dovrà essere presentata entro un mese dalla data di notifica dell’atto di determinazione delle spese e si considererà presentata solo dietro pagamento della tassa per il riesame della determinazione delle spese di 100 EUR (Allegato I A paragrafo 33 RMUE).




Uso del cognome come marchio – Cassazione 25.02.2015

Alessi vs Alessi Giacinto

Uso del cognome come marchio quando è già stato registrato da altri

marchio ALESSI contro marchio ALESSI GIACINTO

E’ convinzione diffusa che sia possibile l’uso del cognome come marchio (o il proprio nome e cognome come marchio) anche se qualcun altro ha in precedenza depositato lo stesso cognome come marchio.

Purtroppo la corte dei cassazione non la pensa così ed in molti casi, come in quello della sentenza 25.02.2015 n. 3806, ha vietato l’uso del cognome come marchio a chi lo ha depositato successivamente ad altri affermando che una volta che un segno costituito da un certo nome anagrafico sia stato validamente registrato come marchio, neppure la persona che legittimamente porti quel nome può più adottarlo (come marchio) in settori merceologici identici o affini. Il diritto al nome trova, perciò, una chiara compressione nell’ambito dell’attività economica e commerciale, rispetto all’avvenuta sua registrazione da parte di altri

Cassazione civile  sezione I, 25.02.2015, n. 3806 “uso del cognome come marchio”

marchio ALESSI contro marchio ALESSI GIACINTO

di seguito la sentenza integrale “uso del cognome come marchio”

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 13956/2007 proposto da:
ALESSI   S.P.A.   – ricorrente –
contro
EXCLUSIVE  DI  ALESSI GIACINTO S.R.L. – controricorrente –
avverso  la  sentenza n. 497/2006 della CORTE D’APPELLO  di  PALERMO, depositata il 26/04/2006;

Fatto “uso del cognome come marchio”

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Alessi Spa, titolare della omonima ditta e del marchio comunitario “Alessi”, operante nel settore della pubblicità, premesso che altra società, la Exclusive di Alessi Giacinto srl, operante nello stesso settore, aveva fatto uso del suo marchio nella propria denominazione sociale, in tal modo operando una contraffazione dello stesso, ha chiesto le che fosse inibito l’uso illecito di tale segno, sia come marchio, sia come cuore della ditta, sia come insegna, con la conseguente condanna alla rimozione di esso ed al risarcimento dei danni.

1.1. La convenuta si è costituita contestando la confondibilità dei segni ed il Tribunale di Palermo, sul rilievo del fatto che l’inserimento nei segni complessi del cognome ” A.” aveva funzione meramente descrittiva e non distintiva e che non sussisteva il rischio di confusione tra le due imprese (che, in quanto operanti nel settore della pubblicità, si rivolgevano a operatori capaci di scelte selettive), ha respinto tutte le domande.

2. L’appello proposto dalla Alessi Spa è stato rigettato dalla Corte territoriale (di Palermo) che ha confermato la sentenza impugnata e condannato l’appellante al pagamento delle spese processuali.

2.1. Secondo il giudice di appello, alla luce delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 480 del 1992, art. 6, (avvenute con la recezione in Italia della direttiva CEE n. 88/104 e l’introduzione del R.D. n. 929 del 1942, art. 1 bis), che hanno escluso il precedente regime di tutela esclusiva ed assoluta al segno patronimico, andava compiuta una verifica in concreto in ordine al carattere distintivo o semplicemente descrittivo dell’inserimento del patronimico (nella specie: il nome ” A.”) nel segno distintivo successivo, sebbene di pertinenza di un imprenditore sociale. Nel caso esaminato, il nucleo centrale del secondo segno (il vero e proprio “cuore del marchio”), secondo il giudice distrettuale, per l’ampiezza dei caratteri, l’uso di una doppia colorazione e l’originale intreccio di alcune lettere, era costituito dal logo “Esclusive”, non dal patronimico. Di conseguenza, il marchio complesso così formato indicherebbe semplicemente che la società denominata “Exclusive” si appartiene al signor ” A.G.”.

2.2. In conclusione, le differenze grafiche, stilistiche e di sostanza tra i due marchi dimostrerebbero l’originalità di quello della società Esclusive e la sua certa differenziazione rispetto al preesistente. Inoltre, la destinazione del prodotto offerto dalle due imprese di pubblicità a una cerchia selezionata di utenti, aventi sicure capacità di discriminazione del prodotto, impedirebbe ogni possibile confusione o associazione tra i segni.

3. Avverso tale decisione la Alessi Spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi di censura, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., contro cui resiste la Excluslve di Alessi Giacinto srl, con controricorso e memoria illustrativa.

Diritto “uso del cognome come marchio”
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 227 c.p.c., e del R.D. n. 929 del 1942, art. 13, e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la ricorrente ha formulato il seguente duplice quesito di diritto: “a) Se sia violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c., omessa pronuncia su una specifica domanda di una parte, e se questa violazione si riverberi sull’intera decisione, determinandone la nullità, quando l’omessa disamina della domanda in questione costituisca il presupposto della sentenza; b) e se l’inserimento nella denominazione sociale di una società di capitali del marchio altrui costituisca violazione dell’art. 13 L.M. (ora 22 CPI)”.

Secondo la ricorrente, il giudice distrettuale avrebbe omesso di esaminare la domanda di inibitoria richiesta anche nella parte riguardante la denominazione o ragione sociale, sulla base dell’art. 13 L.M. (ora art. 22 CPI), che consentirebbe di esaminare il conflitto marchio-ditta allo stesso modo del conflitto marchio- marchio. E poichè non è consentito adottare come ditta, denominazione sociale o insegna un segno uguale o simile all’altrui marchio, nella specie il giudice distrettuale avrebbe omesso di rilevare anche una violazione dell’art. 13 menzionato. Tale omissione, anche motivazionale, avrebbe gravemente condizionato tutto il giudizio.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione del R.D. n. 929 del 1942, art. 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: “Se la limitazione dei diritti di marchio di impresa registrato, di cui all’art. 1 bis, comma 1, lett. a), LM possa essere applicata solo in relazione all’uso nell’attività economica di nome e indirizzo di terzi persone fisiche, ovvero possa esserlo anche all’uso di denominazioni o ragioni sociali di società”.

La ricorrente, pur non ignorando l’esistenza di un diverso orientamento, dottrinale e giurisprudenziale (espresso anche dalla Corte di Giustizia UE, nel caso Anheuser – Busch Inc. – Budejovicky budvar, narodni podnik del 16 nov. 2004), afferma l’erroneità di tale indirizzo e la correttezza di quell’altro secondo cui l’art. 1- bis, lett. a) LM (ora 22, lett. a), CPI) andrebbe interpretato come applicabile solo alle persone fisiche e non alle società. Ciò in quanto: i) è il nome personale che rispecchia i caratteri più propri, intimi e pubblici dell’individuo, caratteristiche mancanti nei nomi delle società (salvo eccezioni, riferibili a società aventi una lunga storia); ii) il patronimico non è frutto della scelta di colui che ne è titolare, diversamente che per gli enti;

iii) l’opposta interpretazione finirebbe per legittimare il comportamento di chi mira a sfruttare, mettendosi nella sua scia, di un marchio preesistente.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione del R.D. n. 929 del 1942, art. 1 bis, e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: “Se nel regime dell’art. 1 bis, comma 1, lett. a), LM, ed in quello successivo dell’art. 21.1.a) CPI, la liceità dell’uso da parte del terzo del proprio nome che collida con un anteriore marchio registrato altrui, sia subordinata alla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all’attività, ai prodotti o ai servizi del terzo”.

Assume la ricorrente che, ove anche si ritenesse applicabile l’art. I- bis, lett. a), LM al nome di società, la sentenza sarebbe errata.

Infatti, la condizione richiesta dalla norma (ossia la conformità ai principi della correttezza professionale, in funzione solo descrittiva) per l’affievolimento del diritto del titolare del marchio registrato (qualificato come di diritto di proprietà) è costituita dall’esistenza di una reale esigenza descrittiva, nella specie mancante di ogni motivazione.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione del R.D. n. 929 del 1942, art. 1 bis, e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la ricorrente, in relazione alla presunta violazione di legge, ha formulato il seguente doppio quesito di diritto: “Se l’inserimento del marchio forte altrui nella propria denominazione sociale e nel proprio marchio complesso di fatto possa considerarsi oppure no legittimo sotto il profilo sia della tutela del marchio registrato, sia della correttezza professionale; e se la disciplina dell’art. 1 bis, lett. a), LM, ed in particolare il diritto ivi configurato di uso dell’attività economica del loro nome e indirizzo, sia applicabile anche alla denominazione sociale di società di capitali in quanto contengano il nome di un socio eguale o simile al marchio del titolare”.

Infatti, essendo il patronimico un marchio forte (o, addirittura, fortissimo), in quanto dotato di capacità distintiva (specie quando sia privo di significato di linguaggio comune e sia comunque inidoneo a richiamare l’attività del titolare), il suo inserimento in un marchio complesso (qual è quello della società resistente, secondo la motivazione del giudice distrettuale) costituirebbe sempre fattispecie confusoria e, quindi, illecita. Ciò in quanto, anche l’impossessamento di un singolo elemento dell’altrui marchio complesso, ove dotato di capacità distintiva, costituirebbe contraffazione del marchio, quantomeno per associazione o agganciamento (entrambe pratiche scorrette sotto il profilo professionale).

1.5. Con il quinto motivo di ricorso (violazione degli artt. 2564, 2567 e 2598 c.c., e dell’art. 17, comma 1, lett. c) LM, e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la ricorrente, in relazione alla presunta violazione di legge, ha formulato il seguente quesito di diritto: “Se la previsione dell’art. 1 bis, lett. a), LM (ora art. 21, comma 1, lett. a CPI), possa applicarsi anche all’ipotesi di contraffazione di ditta, specificamente se il diritto su di una ditta e/o denominazione sociale permetta al titolare di esso di vietare ai terzi l’uso nella attività economica del loro nome e indirizzo quando consistano in, o comprendano, quella ditta e/o denominazione sociale”.

Secondo la ricorrente, il giudice distrettuale avrebbe considerato come assorbite, dal rigetto della domanda basata sull’art. 1 bis LM, le richieste di inibitoria svolte, anche ai sensi degli artt. 2564, 2567 e 2598 c.c., con riferimento alla ditta ed alla denominazione sociale, entrambe costituite dal nome “Alessi”. Tale omissione, anche motivazionale, riguarderebbe anche l’applicabilità dell’art. 1 bis LM alla ditta.

2.1. Il primo motivo di ricorso può essere esaminato assieme al quinto, in quanto ne condivide la sorte, risultando del pari inammissibili.

2.2. Infatti, i due motivi difettano di autosufficienza non avendo il ricorrente indicato nè il quando nè il dove, ma soprattutto il come, siano stati proposti e posti nella fase di merito, specie quando – come nella specie – la sentenza di appello abbia trascurato di specificare ciò che il ricorrente presume di aver fatto.

2.3. In particolare, il primo motivo (con particolare riferimento al primo quesito proposto) pur facendo riferimento alle conclusioni rassegnate nel giudizio di appello (senza ulteriori specificazioni: data, udienza, verbale, ecc.) nulla aggiunge in ordine alla domanda introduttiva ed alla sua formulazione, con ciò rendendosi non autosufficiente ai fini dello scrutinio da parte di questa Corte.

2.4. Quanto alla seconda parte del quesito avanzato con il primo motivo (se l’inserimento nella denominazione sociale di una società di capitali del marchio altrui costituisca violazione dell’art. 13 L.M.), esso, al di là della indicazione della disposizione di legge (che è comunque compito del giudice: iura novit curia), è sostanzialmente assorbita dalla quarta censura di cui si passerà a dire tra breve.

2.5. Con riferimento al quinto motivo, invece, il ricorrente non può rimediare, come ha cercato di fare, alla stessa mancanza che ha afflitto anche il primo, attraverso il richiamo a luoghi e momenti del processo della fase di merito, con la memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c., che consente solo di meglio argomentare quanto già svolto ma non di rispondere alle eccezioni avversarie, tempestivamente sollevate (nella specie: l’eccezione di novità della questione sollevata solo nella fase di legittimità). Infatti, (per tutte, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7260 del 2005), questa Corte ha già chiarito che la memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ. ha la sola funzione di illustrare i motivi del ricorso, e non è pertanto idonea a far venire meno una causa di inammissibilità dei motivi stessi, sostituendosi, quoad effectum, ad essi.

3. I restanti motivi, invece, sono pienamente ammissibili, risultando chiaro dal combinato tra il testo del ricorso e quello della sentenza di merito, il tenore delle domande e delle questioni poste.

3.1. Queste, infatti, per il tramite della tutela accordata al marchio registrato, attengono anzitutto all’interpretazione dell’art. 1 bis, comma 1, lett. a) della legge marchi (LM) del 1942 (R.D. n. 929 del 1942), inserito, a seguito della riforma del 1992 (D.Lgs. n. 480 del 1992, emanato con la recezione in Italia della direttiva CEE n. 88/104), non più in vigore, essendolo ora l’art. 21 del Codice della proprietà industriale (CPI), di cui al D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30. Ma, come si è già accennato sopra, riguardano anche il problema della denominazione sociale e dei limiti che ad essa pone l’art. 13 L.M. (ora 22 CPI).

In particolare, attengono alle questioni che seguono, tra loro strettamente connesse:

a) se la limitazione dei diritti di marchio di impresa registrato possa essere applicata solo in relazione all’uso, nell’attività economica, di nome e indirizzo di terzi persone fisiche, ovvero possa esserlo anche riguardo all’uso di denominazioni o ragioni sociali di società (ed in particolare il diritto di uso dell’attività economica del “loro nome e indirizzo”, sia applicabile anche alla denominazione sociale di società di capitali in quanto contengano il nome di un socio eguale o simile al marchio del titolare);

b) se la liceità dell’uso da parte del terzo del proprio nome, che collida con un anteriore marchio registrato altrui, sia subordinata alla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all’attività, ai prodotti o ai servizi del terzo;

c) se l’inserimento del marchio forte altrui nella propria denominazione sociale e nel proprio marchio complesso di fatto possa considerarsi oppure no legittimo, sotto il profilo sia della tutela del marchio registrato, sia della correttezza professionale.

3.2. Con riferimento al marchio, in sè e per sè (ed in relazione al conflitto marchio-marchio), le questioni sollevate con i tre motivi di ricorso sopra menzionati trovano una risposta nel precedente di questa stessa sezione n. 29879 del 2011.

Con esso, infatti, si è esaminata una fattispecie concreta del tutto analoga, affrontandola e risolvendola nell’identico stadio della legislazione (ossia alla luce del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1 bis, in materia di marchi registrati, nel testo aggiunto dal D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, art. 2).

In base a tale previgente articolazione normativa (ma, nella specie, applicabile ratione temporis), in una fattispecie in cui questa Corte ha ravvisato il cuore del secondo marchio (“AVC by Adriana V. Campanile”), nel patronimico comune ai due (“Campanile”), ritenendo insufficiente la differenziazione rispetto al primo marchio (“Campanile”), già registrato dal ricorrente e contrassegnante la produzione ed il commercio degli stessi prodotti, questa Corte ha enunciato il principio di diritto secondo cui “l’utilizzazione commerciale del nome patronimico, deve essere conforme ai principi della correttezza professionale e, quindi, non può avvenire in funzione di marchio, cioè distintiva, ma solo descrittiva, in ciò risolvendosi la preclusione normativa per il titolare del marchio di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica del loro nome; ne consegue che sussiste la contraffazione quando il marchio accusato contenga il patronimico protetto, pur se accompagnato da altri elementi”.

3.2.1. Tale enunciato, peraltro, è stato ribadito anche nel quadro della legislazione attualmente vigente (ossia nel vigore del Codice della proprietà industriale, ai sensi del menzionato D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 21) dalla sentenza n. 6021 del 2014, con la quale è stato affermato che l’avvenuta modifica normativa, rispetto alla previsione del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1 bis (con la soppressione dal testo normativo delle parole “e quindi non in funzione di marchio, ma solo in funzione descrittiva”), ha lasciato ferma la necessità che l’uso del marchio debba essere conforme ai principi della correttezza professionale (e, a tal proposito, si veda altresì il riferimento contenuto nella recentissima sentenza di questa sezione n. 23648/14 depositata il 6 novembre 2014).

3.3. Invero, una volta che un segno costituito da un certo nome anagrafico sia stato validamente registrato come marchio, neppure la persona che legittimamente porti quel nome può più adottarlo (come marchio) in settori merceologici identici o affini (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7482 del 1995). Il diritto al nome trova, perciò, una chiara compressione nell’ambito dell’attività economica e commerciale, rispetto all’avvenuta sua registrazione da parte di altri.

E tuttavia, il rigore di tale previsione è attenuato dalla facoltà, consentita dalla legge, di far uso del proprio nome anagrafico (o del proprio indirizzo) che sia coincidente con un marchio registrato anteriore.

3.4. Tale limitazione, in apparenza, maggiore sotto il vigore del menzionato art. I-bis LM rispetto all’attuale tenore dell’art. 21 del CPI, è rimasto sostanzialmente immutato (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6021 del 2014), dovendosi avere riguardo al principio della correttezza professionale, come del resto richiede la stessa giurisprudenza comunitaria in tema di malafede nella registrazione dei marchi patronimici (da ultimo: Tribunale dell’Unione Europea, 11/07/2013, causa T-321/10; Corte giustizia dell’Unione Europea, 05/07/2011, causa C-263/09).

3.5. Nel caso che ci occupa, tuttavia, vi è stato l’inserimento di un marchio forte altrui (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4839 del 2000: è da escludere che il marchio costituito dall’uso di un patronimico possa essere considerato debole, sempre che il nome utilizzato non abbia alcuna relazione col prodotto e non venga usato nella consuetudine di mercato per designare una categoria di prodotti) nella propria denominazione sociale (conflitto marchio- ditta), oltre che nel proprio marchio complesso di fatto.

3.5.1. Infatti, il giudice di merito non ha correttamente considerato che il marchio patronimico ha generale valenza di marchio forte (così la dottrina prevalente e la stessa giurisprudenza di questa Corte: Sentenze nn. 4839 del 2000 e 29879 del 2011).

3.5.2. Per questa sola ragione il suo inserimento in altro marchio o in altra ragione sociale non può considerarsi nè legittimo nè lecito salvo che l’uso da parte del terzo del proprio nome (che collida con un anteriore marchio registrato altrui), sia giustificato dalla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all’attività, ai prodotti o ai servizi del terzo.

3.5.3. Nella specie, come illustrano le premesse fattuali del caso, l’inserimento nel marchio complesso e nella denominazione sociale della del cognome ” A.” – secondo la Corte territoriale – avrebbe avuto funzione meramente descrittiva e non distintiva e, perciò, non sussisterebbe il rischio di confusione tra le due imprese.

2.5.4. In tal modo, però, come osserva la ricorrente, la pretesa descrittività dell’addizione del patronimico al presunto cuore del marchio (la parola “Exlusive”) ha comportato una modificazione della denominazione sociale di una società di capitali con l’inserimento del nome di un socio eguale (o simile) a quello contenuto nel marchio anteriore, appartenente al suo titolare.

2.6. Non è tanto, quindi, un problema di inapplicabilità dell’uso del patronimico in ambito societario, come opina la ricorrente (pur consapevole del diverso indirizzo adottato dalla giurisprudenza comunitaria che, con quella sopra menzionata al p.3.4., mostra, quantomeno in tema di marchio di società, di non restringersi al solo caso citato nel ricorso), ma di valutazione della correttezza dell’uso del patronimico di un socio sia nel marchio e sia nella stessa denominazione sociale di una società di capitali. Ciò che non appare corretto in quanto (salvo, quantomeno nel regime antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, che nelle società di persone: cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9154 del 1997: l’inserimento nella ragione sociale di una società in accomandita semplice di un nome patronimico facente parte di un marchio brevettato da altro imprenditore è lecito, purchè l’uso dello stesso nome non importi confondibilità nel mercato ovvero non determini il presupposto dell’illecito concorrenziale) un socio di una tale compagine non connota affatto i beni o servizi offerti dalla stessa società in modo che sorga l’esigenza e l’interesse ad aggiungere una nota descrittiva nella sua ragione sociale. E ciò, in quanto, il soggetto che utilizza o finalizza beni e servizi 2: nel proprio ciclo economico è il soggetto-società, non i titolari (ad es.: persone fisiche) delle sue partecipazioni sociali. E, del resto, come correttamente nota la società ricorrente, tali partecipazioni possono essere cedute senza che la denominazione sociale debba mutare in corrispondenza della vicenda traslativa delle dette partecipazioni.

2.6.1. Si possono, al riguardo, concordandosi con il PG di udienza, corroborare le innanzi citate conclusioni, richiamando il “case” già scrutinato da questa Corte con un remoto, ma assai autorevole, precedente, quello offerto da Cass. Sez. 1, nella Sentenza n. 6678 del 1987: “Qualora due società di capitali inseriscano, nella propria denominazione, lo stesso cognome, il quale assuma per entrambe efficacia identificante, e si verifichi possibilità di confusione, in relazione all’oggetto ed al luogo delle rispettive attività, l’obbligo di apportare integrazioni o modificazioni idonee a differenziare detta denominazione, posto dall’art. 2564 c.c., a carico della società che per seconda abbia usato quella uguale o simile, non trova deroga nella circostanza che detto inserimento sia legittimo e riguardi il cognome di imprenditore individuale la cui impresa sia stata conferita nella società, poichè anche in tale ipotesi la denominazione della società può essere liberamente formata, nè nel fatto che il suddetto uso sia stato praticato per cinque anni ed in buona fede, senza contestazione, non essendo analogicamente applicabile, in tema di confondibilità fra ditte, il R.D. 21 giugno, n. 929, art. 48, sui marchi d’impresa (trattandosi di norma speciale circa la convalida, per effetto dell’indicato uso quinquennale, del brevetto viziato)”.

2.7. In conclusione, i tre motivi di ricorsi sono fondati (sia con riferimento ai profili del conflitto marchio-marchio che a quelli del conflitto marchio-denominazione sociale) e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio affinchè il giudice di merito (in uno con la liquidazione delle spese di questa fase) compia un nuovo esame dei fatti e delle domande proposte dalla ricorrente, facendo applicazione dei seguenti principi di diritto:

Un segno distintivo costituito da un certo nome anagrafico e validamente registrato come marchio, non può essere di regola adottato, in settori merceologici identici o affini, nè come marchio nè come denominazione sociale, salvo il principio di correttezza professionale, neppure dalla persona che legittimamente porti quel nome, atteso che il diritto al nome trova, se non una vera e propria elisione, una sicura compressione nell’ambito dell’attività economica e commerciale, ove esso sia divenuto oggetto di registrazione da parte di altri;

L’inserimento nella denominazione sociale del patronimico di uno dei soci, coincidente con il nome proprio precedentemente incluso in un marchio registrato da terzi, non è conforme alla correttezza professionale, se non sia giustificato dalla sussistenza di una reale esigenza descrittiva inerente all’attività, ai prodotti o ai servizi offerti, esigenza non ravvisabile per la sola circostanza che il nome sia patronimico di un socio.

PQM

Accoglie il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, dichiara inammissibili i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Palermo, in altra composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 8 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2015

Centro Elaborazione Dati Cassazione, 2015

 uso del cognome come marchio

Alessi vs Alessi Giacinto

Alessi vs Alessi Giacinto




Marchio fiere RIMINI FIERA

marchio fiere Rimini

Uso di nome e cognome come marchio

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.LLI CAMPANILE S.P.A. – ricorrente –
contro
GIULIA INVEST S.R.L. (C.F. (OMISSIS)), AVC S.R.L (C.F.
(OMISSIS)), – controricorrenti –
contro
avverso la sentenza n. 2612/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 06/06/2005;

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE1. Il 10 luglio 1992 la F.lli Campanile s.p.a. citò la Lipar s.r.l., l’AVC s.r.l. e la Giulia Invest s.p.a. davanti al Tribunale di Roma.

Espose che la Giulia Invest s.p.a. aveva registrato il marchio “Adriana V. Campanile” per la produzione e il commercio di scarpe, messe in commercio dalle tre società, e che il marchio era nullo per difetto di novità, avendo essa in precedenza registrato il marchio “Campanile” per gli stessi prodotti. L’attrice chiese che fosse inibita alle società convenute la vendita delle scarpe recanti il marchio in questione, oltre al risarcimento dei danni.

Le società convenute resistettero alla domanda, deducendo che il marchio della società attrice è debole, essendo costituito da patronimico coincidente con quello contenuto in altri marchi usati per le stesse categorie di prodotti; che il marchio contestato conteneva il patronimico della stilista, che aveva lo stesso cognome, ed era stato differenziato con l’aggiunta il doppio nome della stilista, ” A.V.”.

2. La domanda attrice è stata respinta nel doppio grado del giudizio di merito. La corte d’appello di Roma, con la sentenza 6 giugno 2005, ha ritenuto che il patronimico dei F.lli Campanile non è un marchio talmente forte, per la grande capacità di identificare i prodotti della società, da non consentire ad altri di fare successivamente uso dello stesso patronimico per contraddistinguere i suoi prodotti negli stessi settori merceologici; che sebbene tra i consumatori più attenti e qualificati il nome in questione evochi immediatamente quello dei noti produttori di cuoio e di scarpe e affini, in una fascia molto ampia di consumatori, meno esperti ed informati, lo stesso nome non è associato immediatamente alla produzione della società appellante; che quel nome è molto diffuso, e non esclude qualsiasi uso successivo da parte di altri che abbia lo stesso nome, quando questo sia adeguatamente diversificato per evitare confusione, come previsto dalla L. marchi, art. 1 bis, introdotto dalD.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480 in ottemperanza alla direttiva CEE 21 dicembre 1988; che perciò le società appellate avevano rinunciato al marchio depositato, e avevano fatto registrare il nuovo marchio “AVC by Adriana V. Campanile”; che in questo nuovo marchio le lettere AVC sono riportate in caratteri maiuscoli e in grassetto, con sensibile intervallo, con completa autonomia grafica e visiva dell’acronimo;

che in esso, infatti, l’acronimo AVC costituisce il cuore del marchio, assegnando agli altri elementi “by Adriana V. Campanile” funzione meramente descrittiva.

3. Per la cassazione di questa sentenza, notificata alla parte personalmente il 17 gennaio 2006, ricorre la F.lli Campanile s.p.a.

per due motivi, illustrati anche con memoria.

Resistono Giulia Invest s.r.l. e AVC. S.r.l. con controricorso il 21 aprile 2006.

La ricorrente ha depositato una memoria dichiarando l’intervenuto fallimento ma ha poi partecipato alla discussione chiedendo l’accoglimento del ricorso.

4. Il ricorso non è stato notificato alla Lipar s.r.l., ed è pertanto inammissibile nei confronti di questa parte. La natura della controversia, che ha ad oggetto l’accertamento della contraffazione e la condanna di diversi soggetti al risarcimento dei danni conseguiti, esclude la sussistenza di un litisconsorzio necessario anche solo processuale, e non pone la necessità di integrare d’ufficio il contraddittorio.

L’intervenuto fallimento della società ricorrente non ha alcun riflesso nel presente giudizio, essendo ben noto che, per antica e costante giurisprudenza, nel giudizio di cassazione, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto dell’interruzione del processo per uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. e segg., onde, una volta instauratosi il giudizio, l’evento altrimenti interruttivo concernente la parte, comunicato dal suo difensore, non produce l’interruzione del giudizio. (Sez. un. 21 giugno 2007 n. 14385).

5. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione del R.D. 21 giugno 1942, n. 929, artt. 17 e 18 e succ. mod..

Si censura l’affermazione che il patronimico “Campanile” sarebbe un marchio debole, a causa della sua diffusione, e si oppone che il marchio patronimico è per ciò stesso un marchio forte.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione della L. Marchi, artt. 1 bis e 13. Si censura l’affermazione che l’adozione del marchio “AVC by Adriana Campanile”, il luogo del precedente “Adriana V. Campanile”, sarebbe sufficiente a differenziare i marchi e i prodotti nella mente dei consumatori, perchè il cuore del marchio sarebbe l’acronimo “AVC”. Si oppone che il nuovo marchio ha il suo cuore non già nell’acronimo “AVC”, impronunciabile in italiano, ma nel cognome Campanile, e che in caso di marchio forte sono illegittime tutte le variazioni e modificazioni che lascino sussistere l’identità sostanziale del cuore del marchio, ovvero il nucleo ideologico che ne esprime l’idea fondamentale (Cass. 16 luglio 2004 n. 13178).

Il ricorso è fondato sotto entrambi i profili prospettati.

6. Come questa corte ha avuto altra volta occasione di affermare, è da escludere che il marchio costituito dall’uso di un patronimico possa essere considerato debole, sempre che il nome utilizzato non abbia alcuna relazione col prodotto e non venga usato nella consuetudine di mercato per designare una categoria di prodotti (Cass. 14 aprile 2000 n. 4839).

E’ conseguentemente errata l’affermazione contraria alla quale la corte di merito è pervenuta, negando il carattere forte del marchio non già per la sua relazione con il prodotto, ma per il grado di diffusione del nome.

7. E’ altresì errata l’affermazione che il marchio accusato sarebbe stato utilmente differenziato da quello protetto, perchè avrebbe usato il patronimico di quello solo in funzione descrittiva, avendo invece il suo cuore nell’acronimo AVC. Secondo l’insegnamento di questa corte in tema di marchi di impresa, è preclusa, per difetto di novità, la registrazione di un successivo marchio che riproduca il cuore del marchio anteriore costituito dal patronimico, nonostante l’aggiunta di elementi differenziatori di contorno, potendosi determinare un rischio di confusione per il pubblico, quale rischio di un erroneo riferimento dell’attività dell’una all’altra impresa, soprattutto qualora tale eventualità sia resa altamente probabile dall’identità, o quantomeno affinità, dei prodotti (Cass. 21 maggio 2008 n. 13067; Cass. 3 aprile 2009 n. 8119).

8. E’ errato l’assunto che in forza della L. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1 bis, comma 1 introdotto dal D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480 in ottemperanza alla direttiva CEE 21 dicembre 1988 (materia oggi regolata dal D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 21), sarebbe consentito l’inserimento dello stesso patronimico, quantunque già registrato da altri come marchio, nel proprio marchio, purchè ciò avvenga in modo conforme ai principi della correttezza professionale.

La testuale disposizione della norma, che autorizza l’uso del proprio patronimico “nell’attività economica”, non lascia margini di dubbio in proposito: ciò è consentito purchè l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale “e quindi non in funzione di marchio”, ma solo in funzione descrittiva. Ciò significa che il patronimico, in questi casi, non può essere inserito nel marchio, che ha funzione distintiva (attraverso tutti gli elementi di cui è composto) e non già descrittiva (Cass. 22 novembre 1996 n. 10351;

Cass. 22 aprile 2003 n. 6424).

9. In conclusione il ricorso è accolto e la sentenza è cassata. La causa è rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa corte territoriale la quale, nel riesaminare – in altra composizione – la domanda dell’appellante, si atterrà ai seguenti principi di diritto:

– ai fini della qualificazione del marchio patronimico come marchio forte deve aversi riguardo non già alla diffusione del nome, bensì alla sua relazione con i prodotti o servizi contrassegnati;

– in tema di tutela del marchio patronimico, non vale ad escludere la contraffazione la circostanza che nel marchio accusato il patronimico protetto sia accompagnato da altri elementi;

in tema di marchio patronimico registrato, la L. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1 bis, comma 1 introdotto dal D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, nel consentire ai terzi l’uso dello stesso patronimico nell’attività economica in funzione descrittiva, esclude che esso possa essere inserito nel proprio marchio.
PQM
P.Q.M.La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti della Lipar s.r.l.; accoglie il ricorso nei confronti delle altre parti, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla corte d’appello di Roma in altra composizione.

Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della prima sezione della Corte suprema di cassazione, il 12 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011




Prova del diritto a presentare opposizione

prova del diritto a presentare opposizione

Prova del diritto a presentare opposizione

L’opponente deve dare prova del diritto a presentare l’opposizione, se non dà prova di essere titolare o licenziatario del marchio l’opposizione è respinta.

Se l’opposizione contro la registrazione di un marchio comunitario è basata su un marchio registrato che non è un marchio comunitario, l’opponente deve dare prova del diritto a presentare opposizione presentando una copia del relativo certificato di registrazione ed eventualmente dell’ultimo certificato di rinnovo, da cui risulti che il periodo di protezione del marchio si estende oltre il termine di cui al paragrafo 1, e le eventuali proroghe, o i documenti equivalenti, rilasciati dall’amministrazione dalla quale il marchio è stato registrato regola 19, paragrafo 2, lettera a), punto ii), REMC

Nel caso in esame l’opponente non ha dato prova del diritto e quindi non ha dimostrato di essere titolare nè licenziatario del marchio sul quale si fondava l’opposizione, quindi l’opposizione è stata respinta.

UFFICIO PER L’ARMONIZZAZIONE NEL MERCATO INTERNO (MARCHI, DISEGNI E MODELLI)

Divisione di opposizione

OPPOSIZIONE N. B 2 544 123 – prova del diritto

FIN.ING. S.R.L., Italia (opponente)

c o n t r o

Manifatture di Fiammetta Pancaldi S.R.L., Italia (richiedente)

Il 30.11.2015, la Divisione d’Opposizione emana la seguente

DECISIONE:

1.       L’opposizione n. B 2 544 123 è totalmente respinta.

2.       L’opponente sopporta l’onere delle spese, fissate a 300 EUR.

MOTIVAZIONE (prova del diritto)

L’opponente ha presentato opposizione contro una parte dei prodotti e servizi della domanda di marchio comunitario n. 13 815 196, vale a dire contro tutti i prodotti compresi nella classe 25. L’opposizione si basa sulla registrazione di marchio comunitario n. 4 095 741 nella classe 25 e sulla registrazione di marchio italiano n. 480 716 nella classe 25. L’opponente ha invocato l’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), RMC.

PANCALDI & B
(Marchio comunitario n. 4 095 741)

PANCALDI
(Marchio italiano n. 480 716)
Marchi anteriori

vs 

FIAMMETTAPANCALDI
Marchio impugnato

PROVA DELL’ESISTENZA E VALIDITÀ DEI DIRITTI ANTERIORI (prova del diritto)

Ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 1, RMC, nel corso del procedimento l’Ufficio procede d’ufficio all’esame dei fatti. Tuttavia, nei procedimenti concernenti impedimenti relativi alla registrazione, l’Ufficio si limita, in tale esame, ai fatti, alle prove e agli argomenti addotti e alle richieste presentate dalle parti.

Ne discende che l’Ufficio non può tenere conto di diritti asseriti per i quali l’opponente non abbia prodotto prove adeguate.

Conformemente alla regola 19, paragrafo 1, REMC, l’Ufficio dà alla parte opponente l’opportunità di presentare i fatti, le prove e le osservazioni a sostegno della sua opposizione o di completare eventuali fatti, prove od osservazioni che siano già stati presentati insieme con l’atto di opposizione entro un termine fissato dall’Ufficio.

Conformemente alla regola 19, paragrafo 2, REMC, entro il termine di cui sopra, l’opponente deposita inoltre le prove dell’esistenza, della validità e della portata della protezione del suo marchio anteriore o diritto anteriore, nonché la prova del suo diritto a proporre opposizione.

Ai sensi dell’articolo 41 RMC possono fare opposizione nei casi di cui all’articolo 8, paragrafi 1 e 5,  i titolari di marchi anteriori di cui all’articolo 8, paragrafo 2, così come i licenziatari autorizzati dai titolari di tali marchi.

Ai sensi della regola 15, paragrafo 2, lettera h), lettere iii) REMC se l’opposizione viene proposta da un licenziatario o da una persona che, secondo la corrispondente normativa nazionale, può esercitare un diritto anteriore, l’opponente deve produrre una dichiarazione a tal fine con indicazioni relative alla autorizzazione o al diritto di proporre un’opposizione.

In particolare, se l’opposizione è basata su un marchio registrato che non è un marchio comunitario, l’opponente deve presentare una copia del relativo certificato di registrazione ed eventualmente dell’ultimo certificato di rinnovo, da cui risulti che il periodo di protezione del marchio si estende oltre il termine di cui al paragrafo 1, e le eventuali proroghe, o i documenti equivalenti, rilasciati dall’amministrazione dalla quale il marchio è stato registrato regola 19, paragrafo 2, lettera a), punto ii), REMC.

Nel presente caso, in relazione al marchio anteriore italiano n. 480 716, l’opponente ha presentato l’ultimo certificato di rinnovo rilasciato dall’UIBM. In detto certificato appare indicato come titolare del marchio: ‘IN.PRO.DI. – INGHIRAMI PRODUZIONE DISTRIBUZIONE S.P.A.’.  Pertanto, il nome del titolare del marchio che appare nel certificato di rinnovo non corrisponde al nome dell’opponente, FIN.ING. S.R.L.

Con riferimento al marchio anteriore comunitario n. 4 095 741 anch’esso risulta essere a nome della  ‘IN.PRO.DI. – INGHIRAMI PRODUZIONE DISTRIBUZIONE S.P.A.’.

In data 09/07/2015 sono stati concessi all’opponente due mesi, a decorrere dalla fine del periodo di riflessione, per presentare il materiale probatorio di cui sopra. Questo termine è scaduto in data 14/11/2015.

Nel presente caso, l’opponente non ha presentato nessuna prova del suo diritto a proporre un’opposizione.

Conformemente alla regola 20, paragrafo 1, REMC, se, entro il termine di cui alla regola 19, paragrafo 1, RMC l’opponente non ha provato l’esistenza, la validità e la portata della protezione del suo marchio anteriore o del suo diritto anteriore, nonché il suo diritto a proporre l’opposizione, l’opposizione viene respinta in quanto infondata.

L’opposizione deve pertanto essere respinta in quanto infondata.

SPESE

Ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 1, RMC, la parte soccombente in un procedimento d’opposizione deve sopportare l’onere delle tasse e delle spese sostenute dall’altra parte.

Poiché l’opponente è la parte soccombente, deve farsi carico delle spese sostenute dal richiedente nel corso del procedimento.

Conformemente alla regola 94, paragrafi 3 e 7, lettera d), punto ii) REMC, le spese da rimborsare al richiedente sono le spese di rappresentanza, fissate sulla base dell’importo massimo ivi stabilito.

La Divisione d’Opposizione

Prova del diritto a presentare opposizione – MARCHIO PANCALDI

prova del diritto a presentare opposizione

proova del diritto a presentare opposizione




Marchio fiere RIMINI FIERA

marchio fiere Rimini

Il marchio fiere RIMINI FIERA vince il round in cassazione contro il marchio RIMINI FIERE

marchio fiere RIMINI FIERA contro marchio RIMINI FIERE

Attraverso l’uso diffuso nel mercato, un marchio originariamente debole (se non addiritttura nullo) in quanto descrittivitivo del servizio che deve contraddistinguere e neppure formalmente registrato, può diventare forte, celebre (quindi tutelabile anche in altri settori merceologici) e prevalere come marchio di fatto anche su marchi registrati successivamente.

Il preuso di un marchio di fatto con notorietà nazionale comporta tanto il diritto all’uso esclusivo del segno distintivo da parte del preutente, quanto l’invalidità del marchio successivamente registrato ad opera di terzi, venendo in tal caso a mancare il carattere della novità, che costituisce condizione per ottenerne validamente la registrazione.

Cassazione civile  sezione I, 16.11.2015, n. 23393 “marchio fiere”

RIMINI  FIERA  S.P.A. contro RIMINIFIERE  S.R.L.

di seguito la sentenza integrale Marchio fiere – Rimini Fiera

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA CIVILE “marchio fiere”

ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso 15802/2011 proposto da:

RIMINIFIERE  S.R.L.  – ricorrenti –

contro

RIMINI  FIERA  S.P.A. – controricorrenti –

avverso  la  sentenza n. 1714/2010 della CORTE D’APPELLO  di  NAPOLI, depositata il 07/05/2010 “marchio fiere”

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO “marchio fiere”

Con citazione notificata il 12/3/2005, a seguito di pronuncia di incompetenza del Tribunale di Roma preventivamente adito, la s.p.a. Rimini Fiera già Ente Autonomo Fiera di Rimini, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Napoli la Riminifiere srl per ottenere la pronuncia di nullità del marchio Riminifiere depositato dalla convenuta il 12.10.01 e della relativa registrazione.

Si costituiva la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda ed avanzando domanda riconvenzionale perchè fosse dichiarata la nullità del marchio nazionale e comunitario “RiminiFiera” dell’attrice, successivamente registrato.

Rigettata istanza di sospensione del giudizio in attesa dell’esito di altro giudizio promosso dalla convenuta dinnanzi al Tribunale di Rimini, culminato con sentenza di rigetto della domanda ed oggetto di gravame, il Tribunale di Napoli, con sentenza del l’17/3/2007- 13/4/2007, in accoglimento della domanda attrice dichiarava la nullità del marchio “Riminifiere” della convenuta, registrato il 24/3/2003, dichiarava la litispendenza della domanda riconvenzionale di nullità del marchio italiano “Riminifiera” dell’attrice rispetto al giudizio all’epoca pendente dinnanzi alla Corte di Appello di Bologna, dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale di nullità del marchio comunitario dell’attrice, provvedeva sulle spese di lite e altri provvedimenti accessori.

Il Tribunale riteneva provato il preuso del marchio di fatto dell’attrice con notorietà nazionale non limitata in ambito locale almeno fin dagli anni 90, in base alla documentazione prodotta, rilevando l’esistenza di siti internet registrati dall’attrice dal 1997 e fino al 2001, quali segni distintivi autonomi. Rilevava, inoltre, che il marchio di fatto “Riminifiera” era sicuramente valido con capacità distintiva, laddove quello della convenuta era del tutto simile e confondibile, essendo l’unica differenza la vocale finale, “e” invece di “a” di scarsissimo rilievo, atteso anche lo scarso valore dell’aspetto grafico di entrambi i marchi e l’affinità dei settori, anzi la parziale coincidenza dei servizi assicurati dalle parti. Riconosceva, infine il carattere di rinomanza al marchio dell’attrice onde la tutela ultramerceologica, nonchè l’esclusione della novità del marchio registrato dalla convenuta, stigmatizzando il carattere nullo del domain name corrispondente al marchio usato dalla convenuta, di carattere decettivo, generante,cioè confusione negli utenti sulla qualità dei servizi di riferimento, con ulteriore profilo di nullità.

Avverso tale decisione proponeva appello la convenuta, lamentando il mancato accoglimento dell’istanza di sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello pendente tra le parti presso la Corte di Appello di Bologna, nonchè la pronuncia di litispendenza sulla sua domanda riconvenzionale e la pronuncia di inammissibilità della domanda concernente il marchio comunitario, ritenuta erroneamente priva di connessione con le domande svolte in giudizio.

Nel merito, l’appellante ribadiva la piena validità del proprio marchio, come segno nuovo ed originale, che doveva qualificarsi come marchio forte. L’appellante ribadiva che il segno della appellata non poteva considerarsi marchio valido o marchio di fatto nonchè l’assenza di rischio confusorio anche, con riferimento al domain name e che l’attività svolta su internet era del tutto lecita, essendosi essa limitata, nel suo sito a pubblicare un elenco delle manifestazioni organizzate a Rimini.

Riprendeva poi le difese in materia di abuso di posizione dominante da parte dell’appellata di violazione del diritto al nome e sosteneva che il marchio di fatto di quest’ultima non poteva considerarsi di rinomanza al fine del riconoscimento di una tutela ultramerceologica, ribadendo la sua assenza di mal fede.

Si costituiva l’appellata, deducendo la pretestuosità nonchè l’infondatezza del gravarne chiedendo la conferma della sentenza.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza 1714/10 rigettava l’appello. “marchio fiere”

Avverso la detta decisione ricorre per cassazione la Riminifiere srl sulla base di sei motivi cui resiste con controricorso la Riminifìera spa.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto “marchio fiere”

MOTIVI DELLA DECISIONE “marchio fiere”

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 300 c.p.c., per la mancata interruzione del processo a seguito della trasformazione dell’Ente autonomo Fiera di Rimini,parte originaria nel giudizio, in Rimini Fiera spa.

Con il secondo motivo nega che l’espressione Riminifiera costituisca un marchio di fatto, e per di più “forte”, con capacità distintiva acquisita grazie alla registrazione come nome a dominio.

Con il terzo motivo contesta la tesi sostenuta dalla sentenza secondo cui il termine “fiera” non potesse essere utilizzato se non dagli enti e dalla imprese la cui attività consistesse nella organizzazione di manifestazioni fieristiche e non da imprese che svolgessero un diverso tipo di attività.

Con il quarto motivo deduce nuovamente con più approfondite argomentazioni che l’espressione Riminifiera non riveste natura di marchio forte.

Con quinto ed il sesto motivo contesta il carattere di rinomanza riconosciuto al marchio Riminifiera e l’esistenza di un rischio di confusione tra i due marchi oggetto di controversia anche in ragione delle diverse classi merceologiche cui essi si riferiscono.

Va preliminarmente esaminata la questione di nullità del processo sollevata in udienza dal PG per non essere stato il PM parte nei giudizi di primo e secondo grado con conseguente richiesta di rinvio della causa in primo grado per l’integrazione del contraddittorio.

L’eccezione non può essere accolta. “marchio fiere”

Questa Corte ha già chiarito in via generale che nei procedimenti in cui sia previsto l’intervento obbligatorio del P.M., la nullità derivante dalla sua omessa partecipazione al giudizio si converte in motivo di gravame ai sensi degli artt. 158 e 161 c.p.c., secondo un orientamento consolidato, il rinvio contenuto nell’ultima parte dell’art. 158 c.p.c., al successivo art. 161, comporta la conversione, anche con riferimento all’ipotesi della nullità derivante dalla mancata partecipazione del pubblico ministero, in mezzo di impugnazione (Cass., 31 marzo 2011, n. 7423; Cass., 3 maggio 2000, n. 5504; Cass., 23 febbraio 2000, n. 2073).

Avuto riguardo anche alla disposizione contenuta nell’art. 397 c.p.c., n. 1, che prevede l’ipotesi specifica della revocazione proponibile dal solo pubblico ministero nelle cause in cui il proprio intervento è obbligatorio, deve ritenersi che le altre parti non siano legittimate, in via concorrente, a proporre impugnazione in relazione a tale omissione (Cass., 2 dicembre 1993, n. 11960; Cass. 16361/14).

Nella presente causa nessuna impugnazione è stata proposta da nessuna delle parti nè dal PM. Si aggiunge peraltro che nel caso di specie, in cui si verte in tema di proprietà industriale, è stato altresì chiarito che l’art. 122 del codice della proprietà intellettuale (D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) prevede che “in deroga all’art. 70 c.p.c., l’intervento in causa del P.M. non è obbligatorio” nelle cause che vertono sulla decadenza o nullità di un titolo di proprietà industriale, nè il successivo art. 245, che contiene le disposizioni di carattere transitorio, ha introdotto alcun elemento di novità nell’ordinamento, con la conseguenza che le nuove disposizioni processuali trovano immediata applicazione ai processi in corso relativamente agli atti da compiere successivamente alla loro entrata in vigore, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 preleggi. Pertanto, non essendo più obbligatoria la partecipazione del P.M. al giudizio, a partire dal 19 marzo 2005 (data in cui è entrato in vigore il predetto codice), questi non acquista la qualità di parte necessaria, ove, come nella specie, non sia intervenuto in giudizio, sicchè non sussiste, in grado di appello, la necessità d’integrare il contraddittorio nei suoi confronti, (Cass. 9548/12).

E’ appena il caso di rilevare che alla fattispecie in esame è applicabile ratione temporis il citato art. 122 c.p.i, poichè il giudizio è iniziato con citazione del 12.3.05 onde lo stesso si è svolto sotto il vigore della nuova normativa.

Il primo motivo è infondato. “marchio fiere”

Nel caso di specie si è verificata la privatizzazione di un ente pubblico in società per azioni.

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che in caso di c.d. privatizzazione degli enti pubblici realizzata senza l’estinzione del preesistente soggetto a fronte della costituzione di quello nuovo, con trasferimento a quest’ultimo dei rapporti attivi e passivi di cui il primo era in precedenza titolare, si ha mera trasformazione del soggetto preesistente in un diverso tipo di persona giuridica. (Cass. 27139/06).

Nel caso di specie, la legge regionale Emilia Romagna 12/2000 non contiene espressa menzione dell’estinzione dell’Ente, nè ne prevede la soppressione e la liquidazione per cui il medesimo risulta meramente trasformato in società di capitali, senza estinzione nè mutamento di stato – bensì solo di forma di organizzazione – a tale vicenda pertanto sopravvivendo senza soluzione di continuità con mantenimento della propria identità soggettiva.

Ne consegue che nessun evento interruttivo si è verificato ancorchè la detta trasformazione sia intervenuta in corso di causa. (Cass. sez. un 6841/96).

Si osserva, in particolare, che l’art. 8, della citata legge regionale, laddove prevede che “gli entri autonomi fieristici di Bologna, Parma, Piacenza e Rimini sono tenuti a trasformarsi in distinte società per azioni “entro il termine di 730 giorni dalla entrata in vigore della legge”, lascia persistere la soggettività dell’ente non prevedendone l’estinzione o la liquidazione bensì la semplice trasformazione.

Nel caso di specie peraltro il motivo risulta manifestamente infondato poichè la causa è stata iniziata nel 2004 dalla Rimini Fiera spa ben quattro anni dopo l’avvenuta trasformazione onde nessun problema di estinzione del soggetto processuale sussiste.

Il secondo motivo con cui si contesta il carattere forte del marchio della contro ricorrente è in parte inammissibile ed in parte infondato. “marchio fiere”

Occorre preliminarmente rammentare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il preuso di un marchio di fatto con notorietà nazionale comporta tanto il diritto all’uso esclusivo del segno distintivo da parte del preutente, quanto l’invalidità del marchio successivamente registrato ad opera di terzi, venendo in tal caso a mancare (fatta salva la convalidazione di cui al R.D. 21 giugno 1942, n. 929, art. 48) il carattere della novità, che costituisce condizione per ottenerne validamente la registrazione. (Cass. 14342/03).

Nel caso di specie la Corte d’appello di Napoli ha accertato il preuso a carattere nazionale del Marchio Riminifiera della contro ricorrente essendo lo stesso stato adoperato in occasione di fiere, saloni internazionali,inserito in pubblicazioni internazionali e adoperato su siti internet registrati dal 1997.

La Corte di appello ha rilevato con la motivazione dianzi descritta la sussistenza del secondary meaning per cui il marchio, di per sè descrittivo, in ragione della sua diffusione non solo a livello nazionale ma anche internazionale ha acquisito per effetto della predetta divulgazione un carattere distintivo particolarmente intenso tal da doversi considerare non solo un marchio forte ma addirittura un marchio notorio tale da ottenere un tutela ultramerceologica.

Il motivo non contesta tali circostanze ma si limita a contestare il carattere forte del marchio in esame sostenendo che, essendo lo stesso puramente descrittivo e generico, sarebbe in realtà un marchio debole.

Ciò rende in primo luogo la censura inammissibile in quanto non censura la ratio decidendi non contestando la rilevanza delle argomentazioni circa la acquisita notorietà del marchio.

La stessa sarebbe comunque priva di fondamento.

Questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui la tutela del cosiddetto “secondary meaning“, prevista dal R.D. 21 giugno 1942, n. 929, art. 47 bis, introdotto dal D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, si riferisce ai casi in cui un segno, originariamente sprovvisto di capacità distintive per genericità, mera descrittività o mancanza di originalità, acquisti in seguito tali capacità, in conseguenza del consolidarsi del suo uso sul mercato, così che l’ordinamento si trova a recepire il “fatto” della acquisizione successiva di una “distintività” attraverso un meccanismo di “convalidazione” del segno (Cass. 8119/09).

Va ulteriormente osservato che il principio del secondary meaning è estensibile anche al caso di trasformazione di un marchio originariamente debole in un marchio forte.

Questa Corte ha infatti già chiarito che, la distinzione tra marchi forti e marchi deboli non si specifica ulteriormente, quanto ai marchi forti, a seconda che tale natura sia originaria oppure acquisita con l’uso di mercato, onde, in presenza di un fenomeno di “secondary meaning”, va riconosciuta al marchio “originariamente” debole la stessa tutela accordata ai marchi “originariamente” forti e l’accertamento della relativa contraffazione va effettuato secondo i criteri che presiedono alla tutela del marchio forte, atteso che il segno risultante in origine caratterizzato da una minor capacità individualizzante, una volta pervenuto alla convalidazione dovuta all’uso, abbisogna della più rigorosa tutela riconosciuta al marchio forte, in mancanza della quale anche le lievi modificazioni che il marchio debole deve invece tollerare otterrebbero l’effetto di frustrare il risultato conseguito attraverso l’uso di mercato. (Cass. 5091/00 – Cass. 12940/03 – v. anche Cass. 10071/08).

Anche il terzo motivo risulta infondato. “marchio fiere”

La società ricorrente contesta in sostanza che al marchio della sua controparte non poteva essere riconosciuta la protezione ultramerceologica.

Tuttavia il motivo non si incentra in termini specifici sulla questione della rinomanza attribuita al marchio della controricorrente dalla Corte d’appello sostenendo, invece, la diversa argomentazione secondo cui, non svolgendo essa attività di carattere fieristico, non le si poteva precludere l’uso del marchio recanti i nomi Fiera e Rimini.

Tale censura non coglie in alcun modo la ratio decidendi della sentenza che ha fatto discendere dalla natura di marchio celebre della controricorrente il fatto che lo stesso godesse di protezione ulteramerceologica.

E’ fin troppo nota la giurisprudenza sul punto di questa Corte secondo cui in relazione ai marchi cosiddetti “celebri”, infatti, deve accogliersi una nozione più ampia di “affinità” la quale tenga conto del pericolo di confusione in cui il consumatore medio può cadere attribuendo al titolare del marchio celebre la fabbricazione anche di altri prodotti non rilevantemente distanti sotto il piano merceologico e non caratterizzati – di per sè – da alta specializzazione. (Cass. 14315/99) cosicchè il prodotto meno noto si avvantaggi di quello notorio e del suo segno.. (Cass. 13090/13).

Del tutto correttamente quindi la Corte d’appello ha ritenuto che il carattere di rinomanza del marchio della contro ricorrente escludesse la possibilità di una sua utilizzazione anche per merci e servizi non affini e la censura, non cogliendo siffatta ratio, deve ritenersi inammissibile.

Il quarto motivo è infondato. “marchio fiere”

L’assunto della ricorrente secondo cui il proprio marchio Rimini Fiere sarebbe un marchio forte perchè, non svolgendo essa attività fieristica, costituirebbe un marchio di fantasia.

L’infondatezza di tale assunto discende da quanto affermato in occasione del motivo precedente e, cioè che, essendo il marchio della contro ricorrente un marchio notorio, non è consentito ad altri soggetti l’utilizzo dello stesso marchio anche per prodotti o servizi non affini, a prescindere che il marchio della ricorrente possa in astratto essere considerato un marchio forte.

Infondato è poi l’assunto secondo cui il marchio della contro ricorrente sarebbe un marchio denominativo mentre quello della ricorrente sarebbe un marchio complesso in cui è inserito anche il termine Riminifiere.

E’ fin troppo nota sul punto la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il marchio complesso è costituito da una composizione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante, il cui esame da parte del giudice deve effettuarsi in modo parcellizzato per ciascuno di essi, pur essendone la forza distintiva affidata all’elemento costituente il c.d. cuore del marchio. Esso si distingue dal marchio d’insieme, in cui manca l’elemento caratterizzante e tutti i vari elementi sono singolarmente privi di distintività, derivando il valore distintivo, più o meno accentuato, soltanto dalla loro combinazione o, appunto, dal loro “insieme”. Ne deriva che, mentre nel marchio complesso ogni singolo segno in esso incluso che abbia capacità distintiva è tutelabile autonomamente come marchio, in quello d’insieme i singoli segni non sono autonomamente tutelabili come privative. (Cass. 24610/10).

In primo luogo la ricorrente non precisa quali sarebbero gli ulteriori elementi distintivi inseriti nel proprio marchio complesso dotati di autonoma capacità distintiva. Va inoltre rammentato che, di regola e salvo diversa espressa allegazione e prova, il carattere distintivo di un marchio complesso va di regola individuato nella sua parte denominativa onde nel caso di specie deve ritenersi che,in assenza di ogni ulteriore allegazione della ricorrente, il termine Riminifiere sia quello avente capacità distintiva, ma per quanto in precedenza detto tale segno risulta contraffazione del marchio della ricorrente.

La ricorrente deduce anche una violazione del diritto al nome ai sensi dell’art. 7 c.c..

Tale assunto è manifestamente infondato poichè tale norma è inerente ai diritti della personalità della persona fisica mentre la ditta rientra nella protezione dei “segni distintivi” nell’ambito del diritto commerciale, ossia quella della L. n. 929 del 1942, art. 21, (Cass. 16022/00; Cass. 2735/98; 24620/10).

Infondato è anche il quinto motivo che si basa sull’assunto che il marchio della Rimini Fiere spa sia un marchio debole quando invece lo stesso è stato riconosciuto forte e di rinomanza come evidenziato in occasione dell’esame del secondo motivo.

Valgono sul punto le argomentazioni in precedenza espresse.

Il sesto motivo è inammissibile prima ancora che infondato. “marchio fiere”

Con tale motivo si contesta la ritenuta confondibilità tra i due marchi.

La censura risulta invero del tutto generica.

Non vengono invero addotti argomenti specifici per cui la valutazione della Corte d’appello sarebbe inadeguata limitandosi a sostenere che non era stata analizzata la documentazione prodotta, di cui peraltro, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non viene indicato di quali documenti si trattasse e dove gli stessi siano rinvenibili tra la documentazione della fase di merito e facendo addirittura invito a questa Corte di analizzare il contenuto del sito web; attività preclusa in questa sede di legittimità.

In ogni caso, si rileva che sul punto la Corte d’appello ha osservato che la veste grafica dei due marchi era irrilevante e che la confondibilità risultava dal fatto che i due marchi divergevano solo per la lettera finale.

Tale motivazione risulta del tutto corretta anche se sintetica e sul punto ci si riporta a quanto espresso in occasione del quarto motivo circa i marchi complessi ed i marchi denominativi.

E’ infatti evidente che la Corte d’appello ha ritenuto che nel caso specie l’elemento qualificante e distintivo del marchio della ricorrente fosse il termine Riminifiera avente carattere determinante mentre gli altri elementi grafici non avevano alcun carattere distintivo autonomo.

Non sussistono infine le condizioni per la rimessione alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 del TFUE. La questione di cui il ricorrente chiede la rimessione alla Corte di giustizia è la seguente “si chiede all’Ecc.mo Collegio di trasmettere gli atti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee alfine di verificare se la registrazione da parte di una società di un marchio corrispondente alla propria denominazione possa essere considerata nulla in ragione peraltro del fatto che il segno distintivo sia in grado di assumere i connotati del marchio forte, non essendo direttamente ricollegabile all’attività svolta dalla società stessa”.

In primo luogo la richiesta è del tutto priva di argomentazioni illustrative ed esplicative non essendo tra l’altro neppure indicato in relazione a quale articolo della direttiva comunitaria 89/104 CE si richiede l’interpretazione della Corte di Giustizia.

Inoltre, la stessa è del tutto irrilevante in relazione alla decisione adottata.

Il principio affermato è che il marchio della controricorrente è un marchio di rinomanza con estensione della protezione ultramerceologica. Posto che il marchio della ricorrente è successivo, vale il principio generale di cui all’art. 4, n. 2, della direttiva 89/104 CEE secondo cui è escluso dalla registrazione o se registrato può essere dichiarato nullo il marchio se questo è identico o simile ad un marchio anteriore e l’identità o la somiglianzà dei prodotti o dei servizi crea un rischio di confusione per il pubblico in ragione anche del rischio di associazione tra i due marchi.

Vale poi nel caso di specie il principio specifico di cui all’art. 4, comma 4, della citata direttiva secondo cui il marchio identico o simile ad altro già registrato non è suscettibile di registrazione anche in relazione a prodotti non affini rispetto a quelli cui si riferisce il marchio già registrato se quest’ultimo gode di notorietà.

In siffatte previsioni normative è del tutto irrilevante il carattere forte o debole del marchio successivo.

Il ricorso va in conclusione respinto. “marchio fiere”

La società ricorrente va di conseguenza condannata al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 8000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre spese forfettarie ed accessori di legge. Manda alla cancelleria per la comunicazione del dispositivo della presente sentenza all’UIBM. Così deciso in Roma, il 25 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2015 “marchio fiere”

Centro Elaborazione Dati Cassazione, 2015

marchio fiere

marchio fiere – RIMINI FIERA




Richiesta di annullamento di un marchio per non uso – marchio UFO

richiesta di annullamento di un marchio per non uso UFO

RICHIESTA DI ANNULLAMENTO DI UN MARCHIO PER NON USO

È possibile fare richiesta di annullamento di un marchio per non uso, quando il titolare non lo abbia usato (e non dimostri di averlo usato) per un periodo ininterrotto di cinque anni nella Comunità per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e non vi sono ragioni legittime per la mancata utilizzazione.

La richiesta normalmente viene fatta in difesa da una contestazione (il titolare del marchio X contesta la registrazione o l’uso del marchio X ad una altro soggetto che si difende chiedendo la decadenza per non uso da parte del primo) ma può essere fatta anche in modo autonomo

di seguito la prouncia della Divisione di annullamento sulla richiesta di annullamento di un marchio per non uso

UFFICIO PER L’ARMONIZZAZIONE NEL MERCATO INTERNO (MARCHI, DISEGNI E MODELLI)

Divisione di annullamento 

ANNULLAMENTO N.10784 C (DECADENZA) sulla richiesta di annullamento di un marchio per non uso

Maschio Gaspardo S.p.A, … contro Kuhn S.A. (titolare del marchio comunitario)

Il 01/10/2015, la divisione di annullamento emana la seguente

DECISIONE sulla richiesta di annullamento di un marchio per non uso

1. La domanda di decadenza è accolta.

2. Il titolare del marchio comunitario è decaduto interamente dai suoi diritti in relazione al marchio comunitario n. 2 666 188 a decorrere dal 23/04/2015.

3. Il titolare del marchio comunitario sopporta l’onere delle spese, fissate a 1 150 EUR

MOTIVAZIONI  sulla richiesta di annullamento di un marchio per non uso

Il richiedente ha presentato una domanda di decadenza per il marchio comunitario n. 2 666 188 UFO (marchio denominativo) (il marchio comunitario). La richiesta è diretta contro tutti i prodotti coperti dal marchio comunitario: 7 Macchine agricole per la lavorazione e preparazione del terreno, quali macchine vangatrici, macchine zappatrici, motocoltivatori; macchine agricole industriali movimento terra, quali escavatori, ruspe, bulldozer; macchine agricole per la semina; macchine agricole per la concimazione; macchine agricole per disidratare o per essiccare materiale vegetale; macchine agricole per la manutenzione delle piante e dei prati, quali decespugliatori, motofalciatrici, spazzatrici, trinciatrici, macchine per la potatura, rasaerba, decorticatrici, estirpatori, trapiantatrici, tagliarami, taglialegna, deceppatrici, defogliatrici; utensili motorizzati per macchine agricole per il trattamento delle piante e dei prati, quali dischi e lame motorizzati per tagliare e segare, dischi ed utensili rotanti motorizzati per decespugliatori; macchine agricole per la raccolta ed il trattamento di frutta, legumi, verdure, barbabietole da zucchero, tè, caffè, tabacco, frumento e foraggio, quali falciatrici, falciacondizionatrici, falciancondizionandanatrici, andanatrici, trasportatori, caricaballe, caricatori, elevatori, presse imballatrici, trebbiatrici, voltafieno e spandifieno, trinciatrici; macchine agricole per la raccolta di pietre; macchine agricole per la molitura e miscelazione del mangime; macchine e dispositivi agricoli per l’irrigazione; spazzaneve; attrezzature agricole, quali aratri, erpici, pale caricatrici agricole; dispositivi raccoglitori per trebbiatrici.  9 Dispositivi elettrici di diffusione di frequenze sonore per l’allontanamento di animali; dispositivi di controllo e di ispezione; dispositivi elettrici di controllo di macchine agricole ed industriali; apparecchi e strumenti di misura di peso e di volume di materiali agricoli. 12 Carrelli elevatori, trattori, trattorini da giardinaggio, veicoli per aree verdi; rimorchi.

Il richiedente ha invocato l’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), RMC.

MOTIVI DELLA DECISIONE  sulla richiesta di annullamento di un marchio per non uso

Ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), RMC, il titolare del marchio comunitario decade dai suoi diritti su domanda presentata all’Ufficio se il marchio, per un periodo ininterrotto di cinque anni, non ha formato oggetto di un uso effettivo nella Comunità per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e non vi sono ragioni legittime per la mancata utilizzazione. Nei procedimenti di decadenza che si basano sulla mancata utilizzazione, l’onere della prova spetta al titolare del marchio comunitario poiché il richiedente non può essere tenuto a fornire la prova di un fatto negativo, ossia che il marchio non è stato utilizzato per un periodo ininterrotto di cinque anni. Spetta pertanto al titolare del marchio comunitario dimostrare l’uso effettivo nell’Unione europea o presentare le ragioni legittime per la mancata utilizzazione. In questo caso il marchio comunitario è stato registrato in data 30/07/2003. La richiesta di decadenza è stata depositata il 23/04/2015. Di conseguenza, alla data di deposito della domanda il marchio comunitario era registrato da oltre cinque anni. Il 30/04/2015, la divisione di annullamento ha debitamente notificato al titolare del marchio comunitario la domanda di decadenza concedendo un termine di tre mesi per presentare la prova dell’uso del marchio comunitario per tutti i prodotti per cui è registrato. Il titolare del marchio comunitario non ha presentato osservazioni o prove dell’uso in risposta alla domanda di decadenza entro il termine prestabilito. Secondo la regola 40, paragrafo 5, RMC, se il titolare del marchio comunitario non fornisce la prova dell’effettiva utilizzazione del marchio contestato entro il termine fissato dall’Ufficio, il marchio comunitario sarà dichiarato decaduto. In mancanza di risposta da parte del titolare del marchio comunitario, non sussiste alcuna prova dell’effettiva utilizzazione del marchio comunitario nell’Unione europea per uno qualsiasi dei prodotti per cui è registrato. Ai sensi dell’articolo 55, paragrafo 1, RMC, il marchio comunitario deve essere considerato, a decorrere dalla data della domanda di decadenza, privo degli effetti specificati nel regolamento RMC nella misura in cui il titolare sia dichiarato decaduto dai suoi diritti. Di conseguenza, il titolare del marchio comunitario deve decadere interamente dai suoi diritti, che sono considerati privi di effetti a decorrere dal 23/04/2015.

SPESE sulla richiesta di annullamento di un marchio per non uso

Ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 1, RMC, la parte soccombente in una procedura di annullamento sopporta l’onere delle tasse e delle spese sostenute dall’altra parte. Poiché risulta soccombente, il titolare del marchio comunitario deve sopportare l’onere delle tasse di annullamento nonché tutte le spese sostenute dal richiedente nel corso di tale procedimento. Secondo la regola 94, paragrafi 3, 6 e 7, lettera d), punto iii), REMC, le spese da rimborsare al richiedente sono le tasse di annullamento e le spese di rappresentanza, che devono essere determinate sulla base degli importi massimi ivi stabiliti.

La divisione di annullamento Kate HOGAN Graziella MEDDE Victoria DAFAUCE MENÉNDEZ Ai sensi dell’articolo 59 RMC, ognuna delle parti di un procedimento conclusosi con una decisione può ricorrere contro la decisione stessa ove quest’ultima non abbia accolto le sue richieste. Ai sensi dell’articolo 60 RMC, il ricorso deve essere presentato per iscritto all’Ufficio entro due mesi a decorrere dal giorno di notifica della decisione. Inoltre, entro quattro mesi da tale data deve essere presentata una memoria scritta con i motivi del ricorso. Il ricorso si considera presentato soltanto se la tassa di ricorso di 800 EUR è stata pagata. L’importo fissato nell’atto di determinazione delle spese potrà essere rivisto solo su richiesta mediante decisione della divisione di annullamento. Ai sensi della regola 94, paragrafo 4, REMC, tale richiesta deve essere presentata entro un mese dalla data di notifica dell’atto di determinazione delle spese e si considera presentata soltanto ad avvenuto pagamento della tassa per la revisione della determinazione delle spese, fissata in 100 EUR (articolo 2, punto 30, RTMC).

Richiesta di annullamento di un marchio per non uso – MARCHIO UFO

richiesta di annullamento di un marchio per non uso UFO

richiesta di annullamento di un marchio per non uso UFO




Marchio per prodotti di bellezza VENUS

Marchio di prodotti di bellezza Venus

Marchio di prodotti di bellezza VENUS

Il marchio di prodotti di bellezza VENUS vince sul posteriore marchio VENEX

Il machio VENEX è confondibile col marchio di prodotti di bellezza VENUS

La difesa del marchio VENEX si era concentrata sul diverso significato semantico e concettuale (riferimento della parolta “venex” alle patologie e gli inestetismi delle vene) rispetto al marchio di prodotti di bellezza VENUS (che richiama Venere, la dea della bellezza). I giudici, però, hanno ritenuto gli aspetti semantici e concettuali dei due marchi poco rilevanti, per la loro indeterminatezza. In particolare i giudici hanno ritenuto che  il marchio Venex non abbia un significato chiaro e determinato, di modo tale che il pubblico possa direttamente comprenderlo.

Di seguito la sentenza integrale relativa al caso del marchio di prodotti di bellezza VENUS contro il marchio VENEX

Corte di Cassazione 28.07.2015 n. 15840 Marchio di prodotti di bellezza Venus

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Torino ha confermato la dichiarazione di nullità del marchio Venex, registrato dalla Erboristera Magentina s.r.l., per carenza di novità rispetto al marchio Venus, registrato dalla Kelemata s.r.l., ribadendo altresì l’accertamento della contraffazione per confondibilità dei due segni distintivi. Hanno ritenuto i giudici del merito che è risultata accertata la confondibilità fonetica e visiva dei due marchi, destinati a contrassegnare prodotti analoghi offerti nell’ambito del medesimo mercato per l’eliminazione o la riduzione di modeste alterazioni fisiche o estetiche. Sicchè le pur esistenti differenze semantiche o concettuali non sono tanto rilevanti da risultare caratterizzanti, neppure il marchio Venus essendo universalmente noto come evocativo della bellezza.

Ricorre per cassazione la Erboristera Magentina s.r.l. e propone due motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso la Kelemata s.r.l. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Benchè proposti nelle due diverse prospettive della violazione di legge e del vizio di motivazione, i due motivi del ricorso attengono entrambi al medesimo tema della confondibilità dei due marchi in conflitto.

1.1 Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12, comma 1, lett. d), art. 25, comma 1, lett. a), e art. 20, comma 1, lett. b), dell’art. 4, paragrafo 1 Direttiva comunitaria 2008/95/CE, delle norme relative al confronto tra i marchi ai fini dell’accertamento del rischio di confusione e la conseguente dichiarazione della nullità e della contraffazione.

Premessa la necessità di una valutazione globale dei marchi nel rispetto dei principi che presiedono all’apprezzamento del rischio di confusione, sostiene che le somiglianze fonetiche e visive debbano risultare neutralizzate dalle differenze concettuali o semantiche, quando, come nel caso in esame, siano rilevanti gli ambiti denotativi dei marchi. Infatti il marchio Venus evoca il nome di Venere, dea latina della bellezza, mentre il marchio Venex evoca le patologie e gli inestetismi delle vene, con le conseguenti diverse destinazioni di mercato (donne giovani l’uno, donne mature l’altro). Ma la corte d’appello sovrappone illogicamente notorietà e significato del marchio Venus; mentre esclude che il marchio Venex abbia un significato chiaro e determinato, benchè il tribunale ne avesse riconosciuto la natura espressiva appunto in ragione della sua capacità denotativa. Solo in questa contraddittoria prospettiva i giudici del merito hanno potuto negare l’abissale distanza concettuale tra i due marchi, che per questa ragione non si sono mai incrociati sul mercato, come risulta dagli stessi atti difensivi della Kelemata s.r.l..

D’altro canto risultano viziati anche i confronti fonetico e visivo tra i due marchi, che hanno diversa rilevanza secondo che si riferiscano a merci destinate a un’apprensione diretta o a una richiesta vocale da parte del consumatore. Sicchè, nel caso di merci che non debbano essere richieste a voce, come i prodotti da erboristeria, il confronto visivo deve prevalere su quello fonetico.

Ma nel caso in esame il marchio Venus, non essendo figurativo bensì denominativo, come la stessa corte d’appello riconosce, non è caratterizzato da peculiarità di scrittura o di colore. Ne consegue l’erroneità della decisione impugnata, fondata appunto sul carattere corsivo della scrittura e sul colore del marchio Venus.

1.2 Con il secondo motivo la ricorrente deduce vizi di motivazione della decisione impugnata, censurando le argomentazioni in fatto della decisione nei medesimi aspetti già censurati per violazione di legge.

Lamenta innanzitutto che contraddittoriamente i giudici del merito abbiano negato un qualsiasi significato del marchio Venus, cui pure hanno contestualmente riconosciuto la capacità evocativa della dea Venere; e per superare poi questa evidente contraddizione, hanno aggiunto che comunque il marchio Venus, pur caratterizzato da elevata notorietà, non sia universalmente noto.

Si duole in secondo luogo la ricorrente dell’affermazione dei giudici d’appello che il marchio Venex sia privo di significato concettuale o semantico, in contrasto con la natura espressiva riconosciuta al marchio dal tribunale.

2. I due motivi del ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè, come s’è detto, investono in distinte prospettive i medesimi temi. E risultano entrambi infondati.

Il marchio è un contrassegno indicativo della provenienza di un prodotto o di un servizio da una determinata impresa industriale o commerciale. Come questa Corte ha più volte chiarito, “l’azione di contraffazione del marchio d’impresa ha natura reale, e tutela il diritto assoluto all’uso esclusivo del segno come bene autonomo, sulla base del riscontro della confondibilità dei marchi, mentre prescinde dall’accertamento della effettiva confondibilità tra prodotti e delle concrete modalità di uso del segno, accertamento riservato, invece, al giudizio di concorrenza sleale” (Cass., sez. 1^, 25 settembre 1998, n. 9617, m. 519177, Cass., sez. 1^, 4 dicembre 1999, n. 13592, m. 532394).

Azione di contraffazione e azione di nullità hanno invece un comune presupposto nella confondibilità dei marchi in conflitto.

Ciò che rileva ai fini della tutela del marchio, infatti, è il suo significato di indicazione della provenienza di un prodotto o di un servizio da una determinata impresa; e questo significato del contrassegno può dipendere non solo dal significato proprio delle parole che eventualmente lo compongano, ma anche dal contesto cromatico e grafico e fonetico della comunicazione in cui esso si esprime. Per questa ragione è indiscusso nella giurisprudenza che l’accertamento sulla confondibilità dei segni non deve essere compiuto in via analitica, attraverso la separata considerazione dei singoli elementi di valutazione (Cass., sez. 1^, 7 marzo 2008, n. 6193, m. 602620), “ma in via globale e sintetica, vale a dire con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici, visivi e fonetici, intendendosi con quest’ultimo termine tutti gli effetti acustici (cioè auditivi, fonici) delle espressioni usate, in relazione al normale grado di percezione delle persone alle quali il prodotto è destinato” (Cass., sez. 1^, 28 ottobre 2005, n. 21086, n. 583842).

Ovviamente, quando il marchio ha un riferimento anche concettuale o semantico al prodotto contrassegnato, questa capacità denotativa assume un rilievo peculiare, ma giammai esclusivo, appunto perchè, essendo connessa al comune significato di parole o espressioni, la sua specifica idoneità a indicare la provenienza di un prodotto dipende comunque dall’insieme complessivo dei suoi elementi costitutivi (Cass., sez. 1^, 28 gennaio 2010, n. 1906, m. 611399, Cass., sez. I, 28 febbraio 2006, n. 4405, m. 589976), anche se la rilevanza degli elementi grafici o fonetici può risultare inversamente proporzionale alla idoneità denotativa propria delle parole impiegate (Cass., sez. 1^, 2 febbraio 2015, n. 1861, m. 634265, Cass., sez. 1^, 9 febbraio 2015, n. 2405, m. 634215).

Nel caso in esame i giudici del merito hanno compiuto un confronto appunto globale e sintetico tra i marchi in conflitto, esaminandone gli elementi sia grafici sia fonetici sia concettuali. E quindi hanno applicato i criteri di valutazione prescritti.

La ricorrente lamenta che non siano state considerate adeguatamente le differenze concettuali o semantiche dei due marchi. Ma in realtà, come la stessa ricorrente riconosce, anche gli aspetti semantici e concettuali dei due marchi sono stati valutati dalla corte d’appello, che peraltro li ha considerati poco rilevanti, per la loro indeterminatezza.

La ricorrente censura tuttavia per contraddittorietà questa sottovalutazione degli elementi concettuali. Ma si tratta di censura inammissibile, perchè attiene al merito della decisione impugnata.

Quanto al marchio Venus, i giudici del merito ne hanno infatti riconosciuto la capacità evocativa dell’idea bellezza, ma hanno incensurabilmente escluso che ne sia universalmente riconoscibile una specifica idoneità denotativa. E altrettanto incensurabilmente hanno escluso i giudici d’appello che il marchio Venex, pur qualificato come denominativo dai giudici di primo grado, abbia “un significato chiaro e determinato, di modo tale che il pubblico possa direttamente comprenderlo“.

Per quanto opinabili queste valutazioni possano apparire, esse sono dunque conformi ai criteri fissati dalla giurisprudenza; e si sottraggono pertanto a qualsiasi censura di legittimità

Si deve dunque concludere con il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza.

PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00, per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2015

Marchio di prodotti di bellezza Venus

Marchio di prodotti di bellezza Venus

Marchio di prodotti di bellezza Venus




Marchio mobili DIVANI E DIVANI

marchio mobili divani e divani

Il marchio mobili DIVANI E DIVANI vince il round in cassazione contro il marchio DIVINI E DIVANI

marchio mobili DIVANI E DIVANI contro marchio DIVINI E DIVANI

Cassazione civile sezione I, 02.02.2015, n. 1861

Natuzzi S.p.A. contro Divini & Divani S.r.l.

BENI – Immateriali – Marchio – Debole o forte – Marchio debole – Tutela contro la contraffazione – Presupposti – Adozione di mere varianti formali – Sufficienza – Fattispecie
In tema di marchi di impresa, la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non preclude la tutela nei confronti della contraffazione in presenza dell’adozione di mere varianti formali, in sé inidonee ad escludere la confondibilità con ciò che del marchio imitato costituisce l’aspetto caratterizzante, non potendosi, invero, limitare la tutela del marchio debole ai casi di imitazione integrale o di somiglianza prossima all’identità, cioè di sostanziale sovrapponibilità del marchio utilizzato dal concorrente a quello registrato anteriormente. (In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto insuscettibile di tutela il marchio costituito dalla combinazione di parole di uso comune “Divani & Divani” benché le stesse avessero assunto efficacia individualizzante del prodotto). (Cassa con rinvio, Bari, 21/04/2008)

Centro Elaborazione Dati Cassazione, 2015

marchio mobili divani e divani

marchio mobili divani e divani