MARCHI D’IMPRESA: il marchio GSE è un marchio debole

La Corte di Cassazione ha stabilito, al termine di una lunga vertenza, iniziata nel 2006, che il marchio GSE, registrato da Prodeco Pharma s.r.l., è un marchio debole e, quindi, la stessa sigla GSE poteva essere utilizzata anche da Erbavita s.a., che la aveva inserita in un proprio prodotto, insieme ad altri elementi che erano idonei a escludere la confondibilità con i prodotti GSE di Prodeco Pharma

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 13 giugno 2006, la S.r.l. Prodeco Pharma proponeva ricorso D.Lgs. n. 30 del 2005, ex art. 129 davanti al tribunale di Venezia, sezione specializzata nella materia della proprietà industriale. Chiedeva fossero inibiti ad Erbavita s.a. con sede nella Repubblica di San Marino, la produzione, il commercio e l’uso di prodotti recanti la sigla GSE, in quanto costituente violazione del marchio registrato da essa istante, relativo a prodotti contenenti estratto di semi di pompelmo (grapfruit seed extract, realizzato nell’acronimo GSE). Il tribunale accoglieva il ricorso.
Erbavita conveniva Prodeco davanti allo stesso tribunale con atto del 22-25 settembre 2006 chiedendo dichiararsi la nullità del marchio della convenuta in quanto descrittivo, ovvero, in subordine, che fosse accertata la debolezza del marchio stesso e la inesistenza di ogni contraffazione. Il tutto con pubblicazione della sentenza richiesta e condanna al risarcimento dei danni per concorrenza sleale. Resisteva Prodeco deducendo essa la contraffazione del proprio marchio, da considerarsi segno forte, nonchè la concorrenza sleale da parte dell’attrice delle cui domande chiedeva il rigetto con conferma delle statuizioni emesse in sede cautelare, e risarcimento del danno. Il tribunale, con sentenza del febbraio 2008, riteneva il marchio in questione, valido in quanto debole. Escludeva peraltro, attesa detta natura del segno, la contraffazione affermata in considerazione delle differenze introdotte nelle confezioni dei prodotti Erbavita, tali da impedire confusione da parte dei consumatori e dunque la conseguente concorrenza sleale. Rigettava tutte le domande di Prodeco nonchè quella di concorrenza sleale proposta da Erbavita. Prodeco proponeva appello articolato in nove motivi. Si costituiva Erbavita, chiedeva il rigetto dell’appello e proponeva appello incidentale insistendo nella propria domanda di risarcimento del danno per la concorrenza sleale posta in essere da Prodeco.
La Corte di merito, rigettata l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza del tribunale, decideva la causa rigettando entrambi gli appelli. Per quel che rileva nella presente fase la corte di Venezia confermava la sentenza del Tribunale sul punto della natura giuridica del marchio in questione, confermandone la identificazione in marchio debole. Negava che nella specie sussistesse confondibilità tra i segni in contrasto rilevando che la sigla GSE che costituiva cuore del marchio Prodeco era riportata nell’insieme del marchio di Erbavita ma accanto alla denominazione Fitoseptic, questa evidenziata agli occhi del consumatore perchè più lunga, e con maggiori spazi fra una lettera e l’altra, e peraltro scritta in caratteri di maggiori dimensioni. Rilevava altresì che la foglia stilizzata, presente in entrambi i marchi, appariva difficile da notare tanto nell’uno quanto l’altro segno e non era tale da costituire elemento di confusione, appunto per tale secondarietà.
Conseguentemente rigettava tutte le domande concorrenza sleale connesse alla negata confondibilità.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione Prodeco Pharma S.r.l.
con atto articolato su cinque motivi. Resiste con controricorso Erbavita S.p.A. già Erbavita s.a, e deposita memoria.

DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso Prodeco lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 30 del 2005, artt. 7 e 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene che la Corte veneta ha emesso il proprio giudizio di descrittività del marchio GES, deducendone quindi la minor protezione di marchio debole rispetto a quella di marchio forte, utilizzando come termine di paragone non già il consumatore medio avveduto, bensì l’utilizzatore informato, ovverosia il farmacista, l’erborista, ed il medico. In tal modo la Corte di merito avrebbe ristretto la platea dei consumatori alla quale il giudice deve guardare per identificare la corretta percezione di mercato, a quelle degli specialisti del campo, e pertanto negando una confondibilità che invece ove si fosse avuto riguardo al consumatore tipico del prodotto in questione, si sarebbe dovuta affermare.
2. Con il secondo motivo del suo ricorso, che in quanto connesso al primo va esaminato insieme ad esso, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 30 del 2005, artt. 20 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene che la Corte di Venezia ha negato la contraffazione sulla base della ritenuta natura di marchio debole del segno di essa ricorrente(GSE), trascurando che nell’asserito marchio Fitoseptic, il cuore, ovvero il nucleo ideologico, è per l’appunto la parola GSE è non come ritenuto dalla sentenza, il predetto logo.
2.a.Osserva il collegio che riguardo alla questione concernente la distinzione tra marchio forte e marchio debole la Corte di Cassazione ha dato luogo da tempo ad una giurisprudenza stabile alla quale non vi sono ragioni per discostarsi (cass nn. 4405 del 2006, 11017 del 1992, 14787 del 2006).
E’ ben noto che l’intensità della tutela riconosciuta dalla legge ad un segno muta a seconda del grado di originalità di cui il medesimo è dotato. Sotto questo profilo dunque il segno viene definito debole giacchè la protezione che la legge gli assicura impedisce l’imitazione da parte del concorrente di quei suoi elementi caratteristici che operando sul suo contenuto o aggiungendosi ad esso arricchiscono la descrittività, e per l’appunto ne costituiscono una caratteristica e giustificano la identificazione di un tasso di originalità, meritevole di tutela. Ed è l’accertamento di fatto che, caso per caso, individua il confine tra segno forte e segno debole giacchè, da un canto, marchi forti non sono soltanto quelli cosiddetti di fantasia ma anche quelli costituiti da parole del linguaggio comune, e dall’altro marchi deboli non sono da considerarsi semplicemente i marchi indicativi della natura o della funzione del prodotto, ma possono essere anche parole del linguaggio comune ovvero divenute comuni nel linguaggio commerciale. Nel caso di cui si tratta l’acronimo GSE, pacificamente indicatore del contenuto del prodotto, e dunque descrittivo, esclude in quanto insussistente il grado di creatività più alto, la possibilità di attribuire la tutela del marchio forte. GSE vuoi dire, secondo la comune tecnica espressiva che appunto si definisce acronimo, estratto di succo di pompelmo. Indica dunque il contenuto merceologico di un prodotto legittimamente commerciabile, cosicchè la ricerca della originalità distintiva si è esercitata intorno ad un dato ontologicamente ed ineliminabilmente descrittivo, nella logica dell’art. 13, n. 1 del codice della proprietà industriale che, escludendo la validità solo per i segni costituiti “esclusivamente” da denominazioni generico descrittive, consente una sia pur più limitata tutela benchè in presenza di un gradiente di descrittività.
2.b.Nel caso che ne occupa in particolare la ricorrente afferma che la individuazione della parola GSE come acronimo è possibile solo da una particolare consumatore, ovvero dal commerciante, dal farmacista, dal rappresentante, del prodotto medesimo e non dal normale consumatore, il quale invece percepirebbe esclusivamente il segno in questione, e dunque come dotato di autonomia sua propria.
Osserva il collegio che siffatta conclusione spetta al giudice del merito. Tuttavia, in via di principio, pare opportuno precisare che ogni acronimo, ovvero ogni sigla, è tale da determinare nel consumatore di quel tipo di prodotto, e non in una platea indistinta di possibili consumatori, l’interesse a conoscerne il significato.
Per sua natura l’acronimo,quando le lettre che lo compongono non abbiano un significato noto nel mercato, giustifica la supposizione che esso all’utilizzatore possibile di un certo tipo di prodotto, come nel caso che ci riguarda il succo di frutta o altro un prodotto commestibile, indichi oggettivamente l’esistenza di un significato esplicito, commercialmente rilevante. Non può affermarsi che sempre, nel vivente meccanismo di comunicazione commerciale e di comunicazione tout court, l’acronimo sia linguaggio da iniziati, come sottintende il ricorrente quando fa riferimento ad un consumatore “informato”, diverso dall’utilizzatore avveduto, in quanto addirittura specializzato.
L’apprezzamento che il giudice di merito effettua sulla confondibilità dei segni, soprattutto nel caso di affinità dei prodotti, deve essere compiuto non già in via analitica, attraverso l’esame anche particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento. Deve essere condotto invece in via globale e sintetica, ovvero con riguardo all’insieme degli elementi grafici mediante una valutazione di impressione, la quale deve avere come parametro di riferimento la normale diligenza ed avvedutezza del consumatore di quel genere di prodotti. Cosicchè alla fine il raffronto risulta essere tra il marchio che il consumatore, di quel tipo di prodotti, guarda, ed il ricordo mnemonico del segno in concorrenza.
2.C. E’ singolare, a parere del collegio che il ricorrente sostenga che l’acronimo GSE, unica parola contenuta nel suo segno, pacificamente abbreviativa di una indicazione specificamente descrittiva, debba essere ritenuto cuore ideologico del marchio in concorrenza antagonista, benchè questo contenga anche altra espressione grafica, e dunque dimenticando per l’appunto che la natura descrittiva del segno GSE necessita, perchè il segno che l’acronimo include sia protetto, di una aggiunta di originalità.
Aggiunta che, dal punto di vista grafico il segno di Erbavita, come apprezzato dal giudice del merito, sicuramente mostra.
Orbene, il marchio Erbavita accusato di contraffazione, è segno complesso consistente nella composizione oltre che del predetto acronimo anche della parola fitoseptic. Dunque fra i due segni così come essi sono analiticamente descritti dalla sentenza impugnata, esiste una vistosa differenza grafica. Il giudice di merito ha considerato anzitutto tale differenza, quindi ha ritenuto che l’acronimo GSE contenuto nel marchio di Erbavita sia tutt’altro che preponderante rispetto alla parola Fitoseptic, più grande e con caratteri grafici che la evidenziano meglio, cosicchè più che mai in tale segno di Erbavita, nella ricostruzione fatta dal giudice di merito, esso conserva una funzione descrittiva e non individualizzante, che, nella vicenda, esclude l’effetto contraffattorio.
2.d. I due motivi sono entrambi infondati giacchè il giudice di merito ha fatto buon governo delle norme applicate, ha tenuto conto della giurisprudenza, ed ha esaminato, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, in modo sintetico i segni in conflitto motivando sulle questioni relative.
3. Con il terzo motivo del suo atto il ricorrente lamenta la motivazione omessa ed insufficiente, ovvero ancora illogica ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, su un punto decisivo della causa. Osserva che la Corte di Venezia non si è accorta della doglianza avverso il punto della decisione di primo grado relativo alla circostanza, non esaminata dal primo giudice, per la quale il marchio GSE è posto anche su prodotti non contenenti estratti dei semi di pompelmo.
3. a. Osserva il collegio che sul punto la Corte di merito si è pronunciata, (vedi foglio 21 della sentenza impugnata), ed ha considerato marginale ed irrilevante la circostanza stessa attesa la proporzione tra prodotti a contenuto di succo di pompelmo, e prodotti nei quali tale succo era assente. Il ricorrente non va oltre una doglianza generica. Il motivo è pertanto inammissibile.
4. Con il quarto motivo del suo atto il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2598 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Sostiene che la Corte di merito ha rigettato la domanda concorrenza sleale ritenendola erroneamente fondata sugli stessi motivi addotti a sostegno dell’accusa di contraffazione.
4.a. Il motivo è infondato. Nemmeno oggi il ricorrente indica quali circostanze, non dipendenti dalla affermata contraffazione, giustificherebbero l’ulteriore, ovvero autonoma, accusa di concorrenza sleale.
5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la motivazione omessa o insufficiente in relazione al punto specifico oggetto del sesto di specifica censura nell’atto di appello.
5.a. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente indica il sesto motivo di appello come non esaminato ovvero non esaminata adeguatamente dalla corte di merito, tuttavia non indica in alcun modo la circostanza che, ancora una volta, costituirebbe atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., ulteriore a quella conseguente alla affermata contraffazione, questione oggetto del predetto motivo di appello.
6. Il ricorso deve essere respinto. Il ricorrente deve essere condannato pagamento delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7200,00 di cui Euro 200,00 per spese oltre ad oneri di legge.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2012.