FORNO BUONO – EUIPO 07.06.2017

FORNO BUONO  – EUIPO 07.06.2017

È evidente che il termine FORNO , in associazione con l’aggettivo “BUONO”, possa essere inteso come facente parte di un’espressione che in lingua italiana equivale, senza la necessità di ulteriori sforzi interpretativi particolarmente complessi, a “bottega del fornaio di qualità soddisfacente/conveniente”. Trattandosi di prodotti da forno, è chiaro che i suddetti termini semplicemente indichino la loro comune origine produttiva, trasmettendo un’informazione ovvia e diretta sui prodotti stessi.

 

Rifiuto di una domanda di marchio dell’Unione europea ex articolo 7, RMUE, e regola 11, paragrafo 3, REMUE Alicante

07/06/2017 PERANI & PARTNERS SPA Piazza San Babila, 5 I-20122 Milano ITALIA Fascicolo nº: 016009144

Vostro riferimento: C007809 Marchio: FornoBuono

Tipo de marchio: Marchio figurativo

Nome del richiedente: DECO INDUSTRIE S.COOP.P.A. Via Caduti del Lavoro, 2 I-48012 Bagnacavallo (RA) ITALIA

In data 15/12/2016 la Divisione d’Esame, dopo aver riscontrato che il marchio in questione è descrittivo e privo di carattere distintivo, ha sollevato un’obiezione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettere b)-c) e dell’articolo 7, paragrafo 2, RMUE, per i motivi esposti nella lettera allegata. In data 12/04/2017 la richiedente ha presentato le sue osservazioni, che possono essere sintetizzate come segue:

1. Nel caso in esame non vi è una correlazione diretta e palese tra l’espressione “FORNO BUONO” e i prodotti per i quali è richiesta la registrazione. Il principale significato del termine “FORNO” non è “bottega del fornaio”, quanto piuttosto la “costruzione in muratura a volta, con apertura semicircolare o rettangolare (detta bocca) che viene scaldata con fascine accese o elettricamente […]”, come esplicitato nella prima definizione attinta dal Vocabolario Treccani. Per il consumatore di lingua italiana il sostantivo “FORNO” è principalmente utilizzato per denotare uno specifico apparecchio di riscaldamento. Il “FORNO” è quindi un prodotto ascrivibile alla classe 11 della classificazione di Nizza e il carattere descrittivo di detto termine varrebbe soltanto per prodotti compresi nella suddetta classe. Non è poi il “FORNO” ad essere “BUONO”, quanto i prodotti cotti al suo interno.

2. L’Ufficio ha già concesso numerose registrazioni analoghe contenenti il termine “FORNO” e per prodotti della stessa tipologia nella classe 30, quali “FORNO DI QUALITÀ”, “I PIACERI DEL FORNO”, “PANE FORNO ITALIANO”, “IL FORNO DELLE BUONE IDEE”, “BONFORNO”, “FORNO A LEGNA”, “ANTICO FORNO A LEGNA”, “FORNOCOTTO” e molti altri. Avenida de Europa, 4 •

3. Il marchio de quo avrebbe acquisito nel corso degli anni nel territorio di riferimento, ossia l’Italia, un carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto, a norma dell’articolo 7, paragrafo 3, RMUE in particolare per quanto riguarda prodotti di panetteria, biscotti, panettoni, pandori, colombe e dolci per le feste. Sin dal 1995 il marchio de quo è noto al pubblico di lingua italiana per prodotti quali piadine, dolci lievitati, cofrette, ecc. La richiedente ha infatti ottenuto risultati commerciali estremamente confortanti dal settore dei dolciari e dei sostitutivi del pane grazie ai propri brands, per le promozioni dei quali investe da anni in Italia e all’estero. Le fatture allegate dimostrerebbero l’uso del marcio prima del suo deposito e vari articoli di giornale pubblicati tra l’anno 2009 e l’anno 2013 sarebbero la prova della costante crescita di popolarità tra i consumatori italiani. Ai sensi dell’articolo 75 RMUE, l’Ufficio è tenuto a prendere una decisione fondata su motivi in ordine ai quali la richiedente ha potuto presentare le proprie deduzioni. Dopo un’attenta analisi delle argomentazioni presentate dalla richiedente, l’Ufficio ha deciso di mantenere la propria obiezione. L’articolo 7, paragrafo 1, lettera c) RMUE stabilisce che sono esclusi dalla registrazione “i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio”. È giurisprudenza consolidata che i singoli impedimenti alla registrazione indicati all’articolo 7, paragrafo 1, RMUE sono indipendenti l’uno dall’altro ed esigono un esame separato. Inoltre i vari impedimenti alla registrazione vanno interpretati alla luce dell’interesse generale sotteso a ciascuno di essi. L’interesse generale preso in considerazione deve rispecchiare considerazioni diverse, a seconda dell’impedimento in esame (16/09/2004, C-329/02 P, SAT/2, EU:C:2004:532, § 25). Vietando la registrazione quale marchio dell’Unione europea di tali segni o indicazioni, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera c) RMUE persegue una finalità di interesse generale, la quale impone che i segni o le indicazioni descrittivi delle caratteristiche di prodotti o servizi per i quali si chiede la registrazione possano essere liberamente utilizzati da tutti. Tale disposizione osta, quindi, a che siffatti segni o indicazioni siano riservati a una sola impresa in forza della loro registrazione come marchi. (23/10/2003, C-191/01 P, Doublemint, EU:C:2003:579, § 31). “I segni e le indicazioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c) RMUE sono quelli che, in un uso normale dal punto di vista del pubblico interessato, possono servire a designare, direttamente o tramite la menzione di una delle sue caratteristiche essenziali, il prodotto o il servizio per cui è richiesta la registrazione” (26/11/2003, T-222/02, Robotunits, EU:T:2003:315, § 34).

Nel presente caso, come già rilevato nella precedente comunicazione, i prodotti non registrabili coperti dal marchio oggetto della domanda, ovvero preparati fatti di cereali; farine alimentari; alimenti a base di farina; piadine; focacce; tigelle; crostini; pizza; tortillas; paste alimentari; pane e prodotti della panificazione; biscotti; fette biscottate; crackers; grissini; panettoni; pandori; colombe; pasticceria e prodotti di pasticceria nella Classe 30 sono prodotti di consumo quotidiano e sono principalmente destinati al consumatore medio la cui consapevolezza sarà quella del consumatore medio che è normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Il marchio contiene vocaboli in italiano ed è pertanto di lingua italiana il pubblico di riferimento rispetto al quale devono essere esaminati gli impedimenti assoluti. La richiedente sostiene innanzitutto che il termine “FORNO” possieda un significato principale, ossia quello di costruzione in muratura a volta, con apertura semicircolare o rettangolare (detta bocca) che viene scaldata con fascine accese o elettricamente e non sarà associato all’idea di “bottega del fornaio, in cui si cuoce e si vende il pane”, come rilevato dalla Divisione d’Esame. Tuttavia, è palese che quanto asserito dalla richiedente, per quanto verosimile, costituisca un quadro interpretativo piuttosto limitato, e in particolar modo siain contrasto con la più ricorrente giurisprudenza sul tema. Infatti, perché l’EUIPO possa opporre il diniego di registrazione ex articolo 7, paragrafo 1, lettera c) RMUE, non è necessario che i segni e le indicazioni componenti il marchio previsti dal detto articolo siano effettivamente utilizzati, al momento della domanda di registrazione, a fini descrittivi di prodotti o servizi come quelli oggetto della domanda ovvero di caratteristiche dei medesimi. È sufficiente, come emerge dal tenore letterale della detta disposizione, che questi segni e indicazioni possano essere utilizzati a tal fine. Un segno denominativo dev’essere quindi escluso dalla registrazione, ai sensi della detta disposizione, qualora designi, quantomeno in uno dei suoi significati potenziali, una caratteristica dei prodotti o servizi di cui trattasi. (23/10/2003, C-191/01 P, Doublemint, EU:C:2003:579, § 32, sottolineatura aggiunta). Nel presente caso, come anche ammesso dalla richiedente, almeno uno dei significati del termine “FORNO” è quello citato poc’anzi. È evidente che detto termine, in associazione con l’aggettivo “BUONO”, possa essere inteso come facente parte di un’espressione che in lingua italiana equivale, senza la necessità di ulteriori sforzi interpretativi particolarmente complessi, a “bottega del fornaio di qualità soddisfacente/conveniente”. Trattandosi di prodotti da forno, è chiaro che i suddetti termini semplicemente indichino la loro comune origine produttiva, trasmettendo un’informazione ovvia e diretta sui prodotti stessi. Per quanto riguarda gli elementi figurativi del marchio, la richiedente non ha sollevato alcuna obiezione su quanto rilevato dalla Divisione d’Esame nella precedente comunicazione, il cui contenuto al riguardo si cita integralmente: gli elementi figurativi sono così minimi per natura da non dotare di carattere distintivo il marchio nel suo insieme, e al limite non fanno che trasmettere informazioni ovvie e dirette circa gli ingredienti dei prodotti nella Classe 30. Alla luce di tutto quanto precede, va da se che il marchio de quo sia pure da ritenersi privo di carattere distintivo che permetta di distinguere i prodotti per cui è chiesta la registrazione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 2, RMUE. 3 /7 La richiedente allega poi la circostanza secondo la quale l’Ufficio ha già concesso numerose registrazioni analoghe contenenti il termine “FORNO” e per prodotti della stessa tipologia nella classe 30, quali “FORNO DI QUALITÀ”, “I PIACERI DEL FORNO”, “PANE FORNO ITALIANO”, “IL FORNO DELLE BUONE IDEE”, “BONFORNO”, “FORNO A LEGNA”, “ANTICO FORNO A LEGNA”, “FORNOCOTTO” e molti altri. Per quanto riguarda il suddetto argomento della richiedente in base a cui diverse registrazioni simili sono state accettate dall’EUIPO, secondo la giurisprudenza consolidata le decisioni relative alla registrazione di un segno come marchio dell’Unione europea, “rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non in quello di un potere discrezionale”. Pertanto, la registrabilità di un segno come marchio dell’Unione europea dev’essere valutata unicamente sulla base di questo regolamento, come interpretato dal giudice dell’Unione, e non sulla base di una prassi decisionale precedente dell’Ufficio (15/09/2005, C-37/03 P, BioID, EU:C:2005:547, § 47; e 09/10/2002, T-36/01, Glass pattern, EU:T:2002:245, § 35). “Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, l’osservanza del principio della parità di trattamento deve conciliarsi con il rispetto del principio di legalità, secondo cui nessuno può far valere, a proprio vantaggio, un illecito commesso a favore di altri” (27/02/2002, T-106/00, Streamserve, EU:T:2002:43, § 67). Anche senza entrare in dettaglio nell’analisi della lista di marchi prodotta dalla richiedente come Allegato B, è evidente che si tratti di marchi che presentano caratteristiche diverse e tratti chiaramente dissimili, soprattutto dal punto di vista semantico, a causa della loro composizione. Anche questo argomento della richiedente deve pertanto essere rigettato. La richiedente sostiene infine che il marchio de quo avrebbe acquisito nel corso degli anni nel territorio di riferimento, ossia l’Italia, un carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto, a norma dell’articolo 7, paragrafo 3, RMUE in particolare per quanto riguarda prodotti di panetteria, biscotti, panettoni, pandori, colombe e dolci per le feste. Per quanto concerne il suddetto argomento secondo il quale il segno avrebbe acquisito capacità distintiva in seguito all’uso, va ricordato che In forza dell’articolo 7, paragrafo 3 [RMUE], gli impedimenti assoluti alla registrazione indicati dall’articolo 7, paragrafo 1, lettere b)-d), dello stesso regolamento non ostano alla registrazione di un marchio se questo ha acquisito, per i prodotti o servizi per i quali si chiede la registrazione, un carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto. Infatti, nell’ipotesi di cui all’articolo 7, paragrafo 3, RMUE, il fatto che il segno che costituisce il marchio di cui trattasi sia effettivamente percepito dal pubblico di riferimento come un’indicazione dell’origine commerciale di un prodotto o di un servizio è il risultato di uno sforzo economico della richiedente. Orbene, tale circostanza giustifica che vengano meno le considerazioni d’interesse generale sottostanti all’articolo 7, paragrafo 1, lettere b)-d) [RMUE], le quali impongono che i marchi oggetto di tali disposizioni possano essere liberamente utilizzati da tutti al fine di evitare di creare un vantaggio concorrenziale illegittimo a favore di un solo operatore economico … . In primo luogo, emerge dalla giurisprudenza che l’acquisto di un carattere distintivo in seguito all’uso del marchio esige che quantomeno una 4 /7 frazione significativa del pubblico pertinente identifichi grazie al marchio i prodotti o i servizi di cui trattasi come provenienti da una determinata impresa. Tuttavia, le circostanze in cui la condizione per l’acquisizione del carattere distintivo in seguito all’uso può essere considerata soddisfatta non possono essere dimostrate soltanto in relazione ai dati generali e astratti, come percentuali determinate … . In secondo luogo, per fare accettare la registrazione di un marchio ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, RMUE, il carattere distintivo acquistato in seguito all’uso di tale marchio deve essere dimostrato nella parte della Unione in cui esso ne era privo alla luce dell’articolo 7, paragrafo 1, lettere b), c) e d), del detto regolamento … . In terzo luogo, occorre tener conto, ai fini della valutazione, in un caso di specie, dell’acquisto di un carattere distintivo in seguito all’uso, di fattori come, in particolare, la quota di mercato detenuta dal marchio, l’intensità, l’estensione geografica e la durata dell’uso di tale marchio, l’entità degli investimenti effettuati dall’impresa per promuoverlo, la percentuale degli ambienti interessati che identifica il prodotto come proveniente da un’impresa determinata grazie al marchio nonché le dichiarazioni di camere di commercio e industria o di altre associazioni professionali. Qualora, sulla scorta di tali elementi, gli ambienti interessati o quantomeno una frazione significativa di questi identifichino grazie al marchio il prodotto come proveniente da un’impresa determinata, se ne deve concludere che la condizione imposta dall’articolo 7, paragrafo 3, RMUE per la registrazione del marchio è soddisfatta … . In quarto luogo, secondo la giurisprudenza, il carattere distintivo di un marchio, ivi compreso quello acquisito in seguito all’uso, deve altresì essere valutato in rapporto ai prodotti o ai servizi per cui viene richiesta la registrazione del marchio e prendendo in considerazione la percezione presunta di un consumatore medio della categoria dei prodotti o dei servizi in questione normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto … . ((10/11/2004, T-396/02, Karamelbonbon, EU:T:2004:329, § 55-59; 04/05/1999, C-108/97 & C-109/97, Chiemsee, EU:C:1999:230, § 52; 22/06/2006, C-25/05 P, Bonbonverpackung, EU:C:2006:422, § 75; e 18/06/2002, C-299/99, Remington, EU:C:2002:377, § 63). Come già chiarito nella precedente comunicazione, il pubblico di riferimento cui sono diretti i prodotti in questione è composto da consumatori medi di lingua italiana. Di conseguenza, l’estensione geografica dell’obiezione è unicamente relativa all’Italia, pertanto le informazioni inerenti altri paesi non sono rilevanti al fine della determinazione della distintività acquisita in seguito all’uso. Nel caso presente è necessario determinare se una parte significativa del pubblico italiano sia stata “esposta” al segno in esame per un “congruo” periodo di tempo in modo tale da essere immediatamente in grado di riconoscere il segno stesso come l’indicazione di una ben determinata origine imprenditoriale. Al fine precipuo di dimostrare che il proprio marchio ha acquisito per i prodotti per i quali si chiede la registrazione un carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto la richiedente ha prodotto in data 07/04/2017 la seguente documentazione: 5 /7 • Allegato C: Articolo contente informazioni sull’attività e le vendite della richiedente in forma di tabelle e un’intervista al direttore commerciale. Il marchio de quo non compare in quanto tale nell’allegato. • Allegato D: Catalogo di prodotti della richiedente estratto dalla relativa pagina web. Il marchio de quo compare solo sulle confezioni di panettoni, pandori e “dolce Gran Cioccolato”. Su altri prodotti il marchio presenta caratteristiche distinte, in particolare per quanto riguarda forma e colori. • Allegato E: Numerose fatture emesse dalla richiedente nel periodo compreso tra gli anni 2012 e 2017 relative a prodotti elencati come “FORNOB” e “FORNOBUONO” distribuiti a clienti siti nel territorio italiano. • Allegato F: Raccolta di articoli di giornale pubblicati tra il 2009 e il 2013 nei quali si fa riferimento a vari marchi, tra i quali compare “FORNOBUONO”, e si descrive il successo dell’azienda in termini di vendite e aumento di assunzioni per far fronte alle crescenti necessità produttive. • Allegato G: Articolo del 17/12/2014 pubblicato sul quotidiano “Il Resto del Carlino” nella sezione “Storie di Aziende” nel quale sono contenute informazioni circa l’attività economica della richiedente e nel quale si cita il “buon andamento dei marchi Pineta e FornoBuono”. Ad avviso della Divisione d’Esame, la documentazione trasmessa non è in grado di fornire indicazioni chiare e convincenti al riguardo. Per quanto riguarda le fatture di cui all’allegato E esse sono indubbiamente in grado di fornire informazioni rilevanti per quanto riguarda l’uso del marchio in relazione a prodotti nella Classe 30. Tuttavia, si tratta di informazioni che potrebbero risultare utili al fine di dimostrare l’uso effettivo ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 2, RMUE, non di certo per dimostrare l’acquisizione del carattere distintivo in seguito all’uso ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, RMUE. Si consideri infatti che a norma dell’articolo 7, paragrafo 3, RMUE, è necessario dimostrare un uso qualificato, tale che il pubblico di riferimento percepisca come distintivo un segno che intrinsecamente è privo di carattere distintivo, mentre il motivo alla base della prova dell’uso effettivo è completamente diverso, ossia limitare il numero di marchi registrati e protetti e di conseguenza il numero di conflitti fra loro. Per quanto poi concerne i documenti di cui agli allegati C, D, F e G è evidente che non si trovi in essi alcuna informazione, che sarebbe di fondamentale importanza per attribuire a essi un certo peso probatorio, relativa alla loro diffusione, sia in termini di volume complessivo che di copertura territoriale. Non è dato di sapere ad esempio quale tiratura abbiano avuto i numeri pertinenti. È palese che la richiedente non abbia fornito cifre globali relative al fatturato per quanto concerne in dettaglio il marchio de quo, né abbia specificato le quote di mercato detenute dal marchio, né abbia trasmesso risultati di indagini demoscopiche o dichiarazioni da parte di associazioni professionali e camere di commercio. La Divisione d’Esame sottolinea altresì che la richiedente non ha prodotto alcun dato relativo agli investimenti pubblicitari sostenuti, la cui entità avrebbe potuto fornire un quadro più completo e preciso della situazione per quanto concerne il marchio 6 /7 . Giova notare che tali elementi di prova sono da considerarsi, secondo la giurisprudenza dell’Unione, come “direct proof” dell’acquisizione di capacità distintiva in contrapposizione alla cosiddetta “secondary evidence”, costituita in buona sostanza dal volume delle vendite e dal materiale pubblicitario. Tale “secondary evidence”, se può essere utile per corroborare i suddetti elementi di prova, non è certo in grado di sostituirsi ad essi (12 settembre 2007, T-141/06, Texture d’une surface de verre, ECLI:EU:T:2007:273, §§ 41 e 44). La Divisione d’Esame non può esimersi dal rilevare come nessuno degli elementi di prova qualificati come “direct proof” sia stato presentato dalla richiedente nel presente caso. Sulla base delle circostanze di fatto più sopra menzionate è quindi impossibile valutare con ragionevole certezza se una parte significativa del pubblico di riferimento sia stata effettivamente “esposta” al segno in esame in modo tale da poterlo riconoscere come una chiara indicazione di una ben precisa origine imprenditoriale. Di conseguenza, si ritiene che l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 3 RMUE sia da considerarsi esclusa. Per le ragioni di cui sopra, e ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettere b)-c), e dell’articolo 7, paragrafo 2 RMUE, la domanda di marchio dell’Unione europea n. 16 009 144 è respinta per i seguenti prodotti: Classe 30 Preparati fatti di cereali; farine alimentari; alimenti a base di farina; piadine; focacce; tigelle; crostini; pizza; tortillas; paste alimentari; pane e prodotti della panificazione; biscotti; fette biscottate; crackers; grissini; panettoni; pandori; colombe; pasticceria e prodotti di pasticceria. La domanda può proseguire per i rimanenti prodotti. Ai sensi dell’articolo 59 RMUE, Lei ha facoltà di proporre un ricorso contro la presente decisione. Ai sensi dell’articolo 60 RMUE il ricorso deve essere presentato per iscritto all’Ufficio entro due mesi a decorrere dal giorno della notifica della decisione. È presentato nella lingua della procedura in cui è stata redatta la decisione impugnata. Inoltre deve essere presentata una memoria scritta con i motivi del ricorso entro quattro mesi da tale data.

Il ricorso si considera presentato soltanto se la tassa di ricorso di 720 EUR è stata pagata. Andrea VALISA